Esiste a Pordenone una vasta area, che oggi, con fare militaresco, i pacifici arboricoli cittadini, chiamano quadrante, su cui incidono alcuni importanti progetti di rigenerazione urbana.
Basterebbe, in una società civile e che guarda al bene comune (non BENE COMUNE), questo per valutare un’amministrazione come attiva e in grado di raccogliere fondi e risorse per rigenerare la città che, per almeno 20 anni, era rimasta immobile, e in cui uniche azioni rigenerative erano state asfaltature e Piani Regolatori Partecipati.
La domanda che si pone è semplice: di cosa si vuole parlare?
A leggere i documenti prodotti dai promotori di queste azione, che ha tutte le caratteristiche di un'azione NIMBY (inglese per Not In My Back Yard, "Non nel mio cortile") indica la protesta da parte di membri di una comunità locale contro la realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante in un territorio che viene da loro avvertito come vicino ai loro interessi quotidiani, ma che non si opporrebbero alla realizzazione di tali opere se in un altro luogo per loro meno importante) verrebbe da dire che come minimo hanno le idee confuse.
Ho provato a discutere sui fatti, sulla realtà, il contesto e le finalità delle opere, ma è stato come discutere con un talebano sull’opportunità o meno di tagliare la mano ad un ladro, o con un provita sulla libertà di scelta delle donne. Il livello di empatia è molto simile.
Ci sono persone che non mi salutano e che mi insultano platealmente perché, pur avendo un figlio nella scuola interessata dai progetti, sono a favore e, soprattutto cosa che li fa imbestialire, non firmo e non partecipo ad azioni in cui non credo.
Questo impone un cambio di passo nella discussione, cosa che i comitanti negano ma praticano, che è quello etico, quello che definisce chi è reazionario, oscurantista, tradizionalista e conservatore e chi non lo è.
Ma per non essere ideologico come i promotori del comitato, ma neanche gonzo come la maggior parte (quella in buona fede) dei firmatari della petizione, partirei comunque da una questione di metodo.
Il progetto non è nato sotto i cavoli, né tantomeno i soldi arriveranno piovendo dal cielo. Esiste una amministrazione, una maggioranza, un consiglio comunale, delle commissioni e soprattutto una cosa chiamata democrazia elettiva, rappresentativa.
Di questo sembra che nessuno se ne curi, fra i promotori dell'azione (in)civica ci sono gli stessi consiglieri comunali, gli stessi candidati nelle liste che hanno perso che si guardano bene dal fare il loro mestiere politico a tempo debito ma che sono ben felici di appoggiare un gruppo di cittadini che del rispetto del mandato politico ed elettorale se ne fregano. Ovviamente i democratici sono coloro che se ne fregano, non coloro che pensano che il momento della democrazia sia quello elettivo e quello della politica quello quotidiano.
Così corre strisciando l’ipocrisia, essere eletti in consiglio ma appoggiare chi fa carta da culo della democrazia rappresentativa in nome di una fantomatica democrazia diretta (diretta da chi verrebbe da chiedersi). Quanto il Grillismo, e a ben guardare c’è lo zampino dei soliti grillini territoriali, abbia fatto danni enormi in questo caso è evidentissimo. Purtroppo neanche la tradizione socialdemocratica che dovrebbe alimentare una seria opposizione alla maggioranza di CDX, ha capito la gravità di quello che da quasi dieci anni sta accadendo e si è appecorata alla “politica del Bene Comune”.
Partiamo proprio da questo quesito: a cosa serve un processo democratico se ogni azione politica stabilita nel programma elettorale deve essere discussa con i cittadini autoproclamatesi tutori dell’interesse pubblico?
Perché la questione è tutta qui, nel momento in cui il processo decisionale democratico è screditato e umiliato da una sedicente rappresentanza della cittadinanza, ed è semplice: chi ha delegato i promotori del comitato a rappresentare i cittadini contrari? con quale processo elettivo? con quale grado di rappresentanza?
Da quel che so nemmeno tutti i genitori della scuola hanno firmato, le firme sono circa trecento, gli alunni 99, le firme raccolte ovunque e senza particolari cure sull'identificazione dei firmatari come minimo non comprendono la mia. E’ una petizione, le ho firmate, scritte anche io so come si fanno, ma a differenza di quelle che firmo o scrivo, questa è ipocrita. Chiede all’amministrazione di non fare un progetto, senza citare le fonti amministrative che lo finanziano e lo avviano, chiede la salvaguardia dello status quo, non parla, non cita , non propone soluzioni ma solo rivendica il diritto di decidere del bene comune (e pubblico) a fronte di una questione meramente etica: gli alberi non si possono tagliare mai.
Hanno aggiustato leggermente il tiro, certo, con la costituzione di un comitato (come previsto dalla legislazione) che sia interlocutore con l’amministrazione, ma purtroppo la base ideologica e populista rimane evidentissima.
Nessuno infatti si è premurato di consultare chi il futuro progetto lo userà, né chi pone alternative all’espianto degli alberi e al loro reimpianto (in una logica di compensazioni Co2), a chi pone come elemento di compromesso l'efficientamento energetico della nuova struttura. Gli alberi non si possono toccare, mai.
I più forti sostenitori della città futura tutta smart, alberi, ciclabili, bus elettrici, citano il nord europa, le grandi città, i progetti degli archistar tutti boschi verticali e case costruite attorno a sequoie millenarie. Al che gli si fa notare che Pordenone non è Oslo e che di patrimonio arboreo in città non ne manca, che il consumo del suolo è aumentato proprio con i rappresentanti delle amministrazioni passate e che oggi gli stessi si incatenano ai tigli. Inutile ti viene rinfacciato che non hai girato il mondo, che non hai visto la ristrutturazione di Berlino e via dicendo. A volte vedere le cose, se poi non si capisce la differenza, è peggio che non vederle.
Cosa non torna nella richiesta del comitato? La visione di lunga durata, la competenza amministrativa e, soprattutto, il senso di cittadinanza e di bene comune.
Gli alberi in oggetto sono alberi, alcuni meravigliosi, piange il cuore l’idea che possano essere tagliati, e per tagliarli ci deve essere un motivo. Nessuno ha guardato il motivo.
Lo avessero fatto, e non tardivamente arrampicandosi sugli specchi per poter giustificare l’intervento populista della petizione e trovando senso di comunità nell'aggregazione giovanile che si svolge spontaneamente nel complesso sportivo. La domanda è: dov’erano queste anime candide quando si programmavano le Politiche giovanili? dove sono oggi nell’interlocuzione con i ragazzi che fra tre o quattro anni avranno un centro sportivo in pieno centro vicino alle scuole superiori? Probabilmente erano a difendere gli alberi quando si facevano fogne, acquedotto e fibra in un’altra via (non sono a favore del risparmio delle acque, della depurazione delle acqua, della città smart?) o quando si sono costruiti chilometri di ciclabili previsti dai piani di mobilità lenta e sostenibile (o preferiscono chilometri di tangenziale?). D’altra parte nella petizione ci si lamentava che la nuova progettazione diminuisse gli stalli per portare a scuola i bambini, perchè gli alberi vanno bene ma a scuola (ed è un plesso in pieno centro con utenza che abita a pochi minuti a piedi dalla sede) bisogna arrivarci in macchina, con il bel SUV di ordinanza (ibrido?) per accompagnare i pargoli (tanto turbati dalla deforestazione amazzonica che li riguarda) ma non disposti a bagnarsi i piedini se piove. Già perché a questi benpensanti, e lo evidenzia bene lo sproloquio del Comitato quadrante sono molto preoccupati del problema viabilità e parcheggi e, invece che pensare ad accessi alternativi all’area, pretendono impianti sportivi vecchi, alberi vecchi e strade vecchie piene di auto nelle ore di punta. D’altra parte sono vecchi.
Per questi genitori cinquantenni, che non alzarono un commento venti anni fa quando erano senza figli e potenzialmente attivi, contro lo scempio della Piazza della Città, o quando intere porzioni della città veniva abbandonate al degrado e venivano concessi ampi spazi per fare centri commerciali in periferia. In quegli anni erano a studiare, all’estero, a pensare a dove andare a fare cooperazione internazionale. I commercianti, ladri per principio, del centro non dovevano lamentarsi, i cittadini di zone senza nessun progetto di riqualificazioni tacere.
La presunzione di parlare per voce altrui è un brutto difetto, si perchè se andiamo oltre il clamore mediatico, tutto auto alimentato dalla bolla dei social, se guardiamo alle elezioni tutto questo seguito cittadino forse gli arboricoli non lo hanno. Significa non ascoltarli? No, ma significa dare la giusta dimensione alla questione. Se c’è un comitato che ostacola un progetto, perché non c’è uno che lo promuove?
La risposta è semplice, perché chi lo promuove ha già fatto la sua scelta eleggendo un’amministrazione, gli altri non si rassegnano al fatto che per vincere politicamente si deve agire politicamente a partire da regole condivise e non da teorie complottiste e democrazia populista.
Si chiede all’amministrazione di attuare processi partecipativi, di ascoltare la cittadinanza e di recepire le istanze della società civile. Chissà perché la società è civile solo quando va contro l’amministrazione in carica, significa, forse, che tutti gli altri (la maggioranza) sono incivili? Un minimo di umiltà a questi fautori del bene comune male non farebbe.
Veniamo ai processi partecipativi, allo spontaneismo dal basso si sarebbe detto alcuni decenni fa, alla cittadinanza attiva, all’auditing pubblico, alla rendicontazione sociale a quello che più vi aggrada come terminologia farlocca. Diciamocelo però una volta per tutte: la democrazia non è scegliere lo spontaneismo nimby al posto dei processi democratici stabiliti dalla nostra costituzione. Sono strumenti aggiuntivi, non alternativi alla funzione di tutela del bene pubblico, sono possibilità non obblighi, sono scelte non imposizioni e soprattutto sono cose serie non pagliacciate di uomini e donne di mezz’età che giocano alla rivoluzione delle piccole cose.
Ho lavorato per anni ai processi partecipativi, fin troppo, e se c’è una cosa che ho imparato è che la maggior parte di essi sono elitari, autoreferenziali e dopati da finanziamenti pubblici. In essi si riproduce, malamente, il sistema politico rappresentativo in modo arbitrario, classista e paternalistico. Nessuno viene eletto, nessuno viene neanche nominato d’imperio, è tutto una serie di cortesie fra ex politici, presidenti di associazioni, cittadini sedicenti impegnati, cittadini attivi (chissà cosa vuol dire ), che si arrogano il diritto di rappresentare la comunità, meglio se non integrata e avulsa dai sistemi lobbistici che imperversano nelle pratiche di lavoro di comunità.
Ma torniamo alla questione, io non sono tecnico del verde, non sono urbanista ne tantomeno sportivo, non ho nessuna delle competenze che possono servirmi a interpretare il progetto, Ma ho una capacità: quella politica di votare e di far valere i miei diritti qualora venissero lesi dall’amministrazione che ho votato o non ho votato. Invece siamo, come sempre, tutti esperti, basta un post su FAceBook, una petizione scritta in paraculese, per farci legare ad un albero, per fare un flash mob (preferisco a questo punto i walk around), per farci valutare un’opera per quello che è, e mai e poi mai, guardare oltre il proprio misero orizzonte temporale.
Nessuno ha posto la questione sul futuro, fra 10 anni quando gli stessi bambini di oggi potranno godersi gli alberi (quelli non caduti naturalmente non essendo eterni) in un contesto degradato, rattoppato, ormai vecchio di 100 anni, inquinante e svuotato delle sue funzioni aggregative perché inadatto alle nuove esigenze, avranno dei bellissimi parcheggi al posto delle palestre nuove, avranno l'ombra sull’unica campetto da pallacanestro rattoppato nel cemento. Quanto saranno contenti delle scelte dei propri genitori ecologici?
Poi ci si chiede perché i ragazzi se ne vadano altrove: non perché (non) ci sono più alberi, ma perché oggi gli alberi sono più importanti di loro.