chi cerca trova

lunedì 8 novembre 2010

finalmente un partito di opposizione! era ora!

L'intervento di Giafranco Fini alla prima convention di Fli

L'intervento di Fini:
il nostro progetto per l'Italia

di Gianfranco Fini
Care amiche e cari amici di Futuro e libertà, senza alcuna presunzione, umilmente, a bassa voce, credo che per si possa dire che se ci guardiamo intorno, se volgiamo gli sguardi dietro noi, alle settimane e ai mesi passati, possiamo per davvero di poter dire che abbiamo tutto il diritto di essere molto molto soddisfatti perché c’era chi con una certa presunzione, con un approccio superficiale, ci aveva frettolosamente liquidato: “sono quattro gatti, non ha senso politico quel tipo di avventura”. E solo in poche settimane, dal discorso di Mirabello a oggi, ci troviamo in questa splendida cornice di passione, in una manifestazione politica che, sempre senza presunzione, ha pochi precedenti, soprattutto per la molla che l’ha determinata. In poche settimane siamo diventati non marginali, non condannati all’oblio, ma politicamente determinanti per le sorti del governo e soprattutto, ed è più importante, per l’avvenire della nostra patria.

E allora è giusto chiedersi innanzitutto, e me lo chiedo innanzitutto io, questo piccolo grande miracolo da cosa è stato determinato? La risposta è una e una sola: gli artefici siete stati unicamente voi e con voi i tantissimo che oggi non sono qui fisicamente, ma ci sono idealmente. Donne, uomini, giovani, anziani che hanno dimostrato in queste settimane che si può ancora vincere una sfida basata sulla passione e sul coraggio civile, che hanno dimostrato di voler credere in progetto ideale da anteporre a ogni tornaconto personale. Voi siete qui per una certa idea di Italia, non per fedeltà a una persona e nessuno, amici miei, vi chiederà mai di cantare “Meno male che Fini c’è”, perché meno male che ci siete voi! Gli uomini passano, le idee restano, gli uomini sono il progetto, le idee la proiezione nel futuro. Altro che rancori personali, c’è stata una corale assunzione di responsabilità, un crescente desiderio di voltare pagina, una crescente stanchezza nel centrodestra e non solo che ha determinato questa voglia di tornare a essere artefici del proprio destino. Ho ritrovato una bella frase di un poeta troppo frettolosamente giudicato naif, Saint Exupery sulla costruzione di una nave.

Fuori di metafora, in Italia c’è la nostalgia di una politica diversa, pulita, fatta di valori e ideali. Un ringraziamento sincero va a tutti coloro che hanno reso possibile questo piccolo grande miracolo, ma in particolare ai più giovani, ragazzi e ragazze, che sono il motore di Futuro e libertà. A loro ieri ho chiesto di continuare a essere intransigenti senza diventare estremisti, perché l’estremismo è la negazione dell’intelligenza, gli ho chiesto di essere intransigenti nei valori. Un ringraziamento va anche ai tanti che non hanno esperienze politiche precedenti, a coloro che sono qui in rappresentanza di associazioni di volontariato, no profit, terzo settore, ai tanti italiani perbene che vogliono cambiare la società, che non credono più nella politica. Un grazie va anche a coloro che hanno alle spalle una gloriosa militanza politica nella nostra destra e a chi ha alle spalle altre esperienze politiche. E’ stato bello anche nel susseguirsi degli interventi degli amici che hanno preso la parola, constatare che oggi Fli possa realizzare quel disegno che era alla base della nascita del Pdl, la sintesi di quelle esperienze, il superamento delle incomprensioni del Novecento, dei valori supremi che uniscono tutti nell’interesse generale. Ringrazio chi viene da altre esperienze, del cattolicesimo liberale, del socialismo riformista, della cultura liberal: Fli non sarà certo una An in piccolo ma nemmeno una sorta di zattera pronta a raccogliere i naufraghi del Pdl.

In altri contesti si era solito dire: porte aperte a tutti, esclusi i perditempo. Qui, in termini politici, diciamo: porte chiuse ad affaristi e carrieristi. Oggi che rappresentiamo una bella novità dobbiamo essere coerenti con il nostro messaggio ideale, dobbiamo vigilare. E’ quello quello ho detto ai nostri ragazzi e a tutti coloro che sono venuti qui senza chiedere nulla, a loro spese, solo perché orgogliosi di partecipare a scrivere una nuova fase politica.
Abbiamo il dovere di avere accortezza, perché il nostro progetto è ambizioso: in poche parole ha la volontà di incarnare e rendere vivi quei valori autentici del centrodestra italiano, che siano il reale collegamento con i valori del centrodestra europeo, col moderatismo che rappresenta in Europa un punto di riferimento per il centrodestra. Nel Manifesto che ha fatto da colonna ideale al nostro evento, ci sono i valori che voglio richiamare, i capisaldi della carta identità di Fli: a cominciare dall’idea di nazione intesa come senso di appartenenza alla comunità, la coscienza di una identità, intesa come certezza che se lo Stato unitario ha affrontato 150 anni di vita, la gens italiana esiste da almeno duemila anni.

Senso di appartenenza, di identità, significa legittimo orgoglio per la nostra storia, l’orgoglio di rappresentare nel mondo il Paese che detiene la più alta percentuale del patrimonio culturale dell’umanità. E - lo dico senza alcuna strumentalizzazione - che dolore, amici, nel leggere quella notizia che ha fatto il giro del mondo, il crollo della domus dei Gladiatori a Pompei, unita a quell’altra notizia che nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo dando un’immagine degli italiani che non meritano. Non si può essere pienamente europei se si perde il senso di identità, di coscienza nazionale.

Il nostro paese ha delle responsabilità nello scenario internazionale e credo che il modo migliore, più onesto, meno retorico per ringraziare i nostri soldati, i nostri eroi - e caro Gianfranco permettimi di dirti che uomini come te sono la dimostrazione di quanta vitalità c’è oggi nella nostra Italia - il modo migliore per rendere omaggio questi uomini è impegnarsi perché l’Italia nel mondo oggi appaia diversa da quella immagine che purtroppo ha in alcuni frangenti. E’ un valore, quello della nazione, che si accompagna a un altro valore riassunto nel nostro manifesto: la legalità. La legalità, il più impegnativo, profondo, doveroso omaggio a chi è in prima linea e la considerazione della magistratura, che è una garanzie della nostra democrazia. La legalità non è solo il pacchetto sicurezza di cui il governo può menar vanto. La legalità è la certezza che se non si insegna ai nostri figli che prima di rivendicare un diritto essere pronti a assumersi un dovere, che se non si dice che senza il rispetto delle istituzioni senza il senso stato non c’è il senso di appartenenza a una comunità nazionale. La legalità bene intesa è la precondizione per la libertà. Senza cultura della legalità non c’è cultura della libertà. Altrimenti la libertà diventa solo quella del più forte verso i più deboli, del potente verso chi non ha certezza di uno Stato garante.

Legalità, nazione e - sempre non in ordine di ideale gerarchia ma in ordine che mi viene dal manifesto – il valore del rispetto della persona umana con il corollario della tutela dei diritti civili di ogni persona umana. Persona umana senza alcuna distinzione e soprattutto senza discriminazioni. Rispettare la persona vuol dire che non si possono distinguere bianchi e neri, cristiani, musulmani ed ebrei, uomini e donne, eterosessuali e omosessuali, cittadini italiani e stranieri. Perché porre la persona al centro non significa negare la necessità per ognuno di adempiere a dei doveri. E’ il concetto pocanzi espresso.

Ma è triste constatare la superficialità o l’arretratezza del dibattito politico-culturale. Lo dico per esempio per la questione di ciò che si deve fare per chi giunge in Italia da altri paesi e non è ancora cittadino, che mette al mondo qui i suoi figli, ragazzi che considerano l’Italia la loro patria anche se l’Italia non è la terra dei loro padri. Mi rifiuto di pensare che questo centrodestra risolva tutto con la propaganda del “gli immigrati clandestini se ne vadano”. Non contestiamo la necessità di allontanare i clandestini, contestiamo la dabbenaggine di chi non capisce che sempre più in futuro la nostra società sarà molto diversa da quella attuale, che avrà sempre di più la necessità di integrare coloro che rispettano la nostra storia, cultura, tradizione. Non c’è in nessuna parte d’Europa su questi temi, diritti civili e cittadinanza, un movimento politico così arretrato culturalmente come mi sembra essere il Pdl al rimorchio della peggior cultura leghista.

E sempre nell’ambito dei valori del nostro manifesto c’è quella che mi piace chiamare l’esaltazione del lavoro in tutte le sue accezioni: manuale o intellettuale, dipendente o autonomo. Il lavoro come luogo fisico dell’economia. Io non demonizzo la finanza, ma quando nell’economia prevale la ricchezza prodotta dalla finanza c’è sempre rischio speculazioni. La centralità del lavoro intesa anche come garanzia di un riscatto sociale, di possibilità per ogni persona di esprimere tutte le capacità che ha. Il lavoro consente a ogni uomo di crescere non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista morale. La centralità del lavoro, che come dimostrano gli anni che abbiamo alle spalle, è diventato e sempre più sarà il naturale alleato se vogliamo un’economia sana e solida del capitale. Oggi possiamo dire che l’antitesti capitale lavoro o, come la chiamavano alcuni, la lotta di classe per far crescere i ceti più deboli si sarebbe rivelato inganno. E, con altrettanta certezza, possiamo dire che non avevano capito coloro i quali pensavano che il capitale fosse la parte trainante dell’economia rispetto al lavoro. Oggi, in ogni parte dell’Occidente e non solo, si cerca una sintesi tra capitale e lavoro come condizione essenziale per un’economia al servizio di un popolo e non solo parte di esso.

Anche la centralità della famiglia, intesa come cellula primaria della società, come principale agenzia educativa: in molti casi ognuno di noi è quello che impara ad essere dai suoi insegnanti, dalla madre, dal padre, la famiglia è un fattore di coesione sociale. Se in Italia non ci fosse la famiglia, al di là del fatto di esserlo legale o di fatto, perché nel secondo caso è innegabile che dobbiamo colmare un divario e allinearci a standard europei, dicevo, se la famiglia non fosse nella condizione attuale, se non svolgesse quel ruolo così centrale, il disagio sociale sarebbe ancora peggiore. Nel Manifesto c’è una centralità riconosciuta della famiglia nella società, ma anche di tutti quei valori che si riflettono in una dimensione continentale, quelli del moderatismo e popolarismo europeo. Fli si riconosce in questi valori e non sarà mai subalterna alla cultura politica della sinistra, dei nostri avversari, di quella cultura politica che rispettiamo e non demonizziamo ma che non ci può insegnare nulla. Io considero risibile che con un centrosinistra alla prese con i suoi travagli e i suoi litigi, c’è chi se la prende ancora con i comunisti; c’è qualcosa di più complesso, ma fino a quando noi avremo i nostri valori non saremo mai subalterni alla sinistra. Per questo dico che se Berlusconi ha bisogno di polemizzare contro di noi, cerchi argomenti più credibili di questo.

Credo di poter dire che Fli non sarà mai sinonimo di pensiero unico, di insipidi e deboli minestroni o incapace di cogliere i tratti civili della nostra identità per metterli al servizio del progetto. Un progetto,il nostro, ambizioso, e che si riassume nella volontà di far nascere un soggetto politico, come era alla base dell’intuizione del Pdl, in grado di dar vita a una grande rivoluzione liberale più volte promessa, che viene presentata in ogni campagna elettorale e che non è mai stata realizzata se non in minima parte. Noi abbiamo l’ambizione di animare e incarnare un moderatismo italiano con uno spirito diverso, perché essere moderati, nel centrodestra europeo, oggi significa non conservare ma cambiare il volto della società: questa è stata una delle grandi scommesse del governo che sono state perdute o mai affontate. Il nostro non è un progetto contro il Pdl, nel Pdl ci sono tanti uomini e donne contro cui non possiamo avere nessuna ostilità, in molti casi ne comprendiamo il disagio, l’amarezza e lo sconcerto, ma loro non sono i nostri avversari, non lo è il Pdl e per certi aspetti neanche Berlusconi. Semplicemente perché noi siamo oltre il Pdl, perché quella stagione politica si sta chiudendo o si è chiusa nell’incapacità di incarnare e realizzare i desideri e i progetti che aveva in sè.

Il nostro è un progetto ambizioso che tenta di recuperare il tempo perduto e il paradosso è che Berlusconi non capisce che un’iniziezione di vitalità alla sinistra gli viene solo dal fallimento del centrodestra e dall’incapacità di mantenere gli impegni con gli elettori. E’ stato detto che dovevamo fare chiarezza, spero di esserci riuscito finora, ci è stato chiesto di dire che cosa vuole essere Fli, cercherò di essere chiaro. Voglio citare due analisti politici che scrivono su due giornali che secondo qualcuno non andrebbero letti e che invece vanno letti; anche perché è meglio leggere quei giornali che ascoltare alcuni tg che sembrano usciti da quella cultura delle veline di certi paesi qualche anno fa, e per veline non mi riferisco a quelle signorine di bell’aspetto.

Uno è di Pierluigi Battista e l’altro il professor Alessandro Campi che hanno posto quesiti ai quali abbiamo il dovere di rispondere e abbiamo cercato di rispondere. Non abbiamo messo in piedi questa avventura per lucrare interessi, per giocare sullo scacchiere politico come in altre occasioni ha fatto chi voleva essere determinante a prescindere dai contenuti, come ha fatto chi era pronto a schierarsi di qua o di là solo per interesse. Chi pensa questo di Futuro e libertà deve ricredersi e credo abbia già iniziato a ricredersi, se è intellettualmente onesto.

Analoga citazione. Alessandro Campi, sul Riformista, si è chiesto se il progetto di Futuro e libertà è costruire una destra nuova, alternativa al berlusconismo, porre le basi di un centrodestra diverso dall’attuale, e se così è ogni scorciatoia o colpo di mano istituzionale su cui si favoleggia è fuori questioni il compito di Futuro e libertà non può essere quello di realizzare per vie traverse ciò che agli avverarsi di Berlusconi non riuscito attraverso le elezioni. Il compito di Futuro e libertà è assai più importante, perché politico, e impegnativo, perché teso a elaborare una proposta politico programmatica all’altezza dei problemi del paese.

Ho letto questo due brani di osservatori politici diversi tra loro perché entrambi pongono questioni cruciali e credo che questi concetti non possano essere espressi in modo più efficace . Il nostro progetto non è di un partito per lucrare, il nostro progetto è talmente ambizioso da rendere necessaria la domanda: ci riusciremo? Lo dirà solo tempo, ma dobbiamo crederci, metterci energie non per l’interesse di comunità politica, ma per l’interesse di una comunità intera. E per avere una possibilità in più di riuscirci bisogna tornare a sentire il polso del paese, guardare e ascoltare quell’Italia profonda, silenziosa che cerca di migliorare con il lavoro la condizione di vita nella nostra società. Quell’Italia silenziosa che non urla, non ha la bava alla bocca, non sta sulle gradinate e quindi non è fatta di ultrà. Quell’Italia che rappresenta la stragrande maggioranza del nostro popolo, che non è il paese dei balocchi che di tanto in tanto dipinge Silvio Berlusconi e che ha dipinto anche nella riunione della direzione nazionale del Pdl dell’altro giorno. Non è quel paese dei balocchi. Intendiamoci, il governo ha fatto bene, ha ben operato e fronteggiato l’emergenza. Non c’è dubbio che Tremonti sia stato capace di preservare l’Italia da una crisi finanziaria che ci avrebbe condotto non su orlo del baratro, ma precipitato nel baratro. Tenere sotto controllo la spesa pubblica è necessario, Futuro e libertà non sarà mai il soggetto che chiede una spesa ulteriore o usa il denaro pubblico per creare un nuovo assistenzialismo o mantenere vecchie sacche di privilegio. Semmai a Tremonti contestiamo la modalità di come i conti pubblici sono stati tenuti sotto controllo, quella dei tagli lineari: tagli qualcosa a ogni dicastero. Questa modalità ha rappresentato per certi aspetti il modo più agevole per non accontentare qualcuno e non scontentare altri, ma è stata anche il modo migliore per il governo per non scegliere. I tagli lineari esentano dal compito difficile di scegliere su cosa tagliare e su cosa investire, ma ci tornerò.

Non ho problemi a dire che la riforma dell’università del ministro Gelmini va nella direzione giusta perché mette in discussione i tradizionali assetti educativi che non si erano rivelati idonei per i nostri figli. Ma una riforma fatta senza denaro è inutile, come Fli ha sostenuto in Parlamento quando ha cominciato a ragionare sulla base delle proprie convinzioni e non seguendo il precetto di “credere, obbedire e combattere”. Così come non c’è dubbio che l’azione del ministro Maroni sia stata positiva, ma è da elogiare soprattutto il ruolo delle forze dell’ordine nel settore della sicurezza. Dico forze dell’ordine perché sono in prima linea e se si lamentano per la carenza di mezzi e si dichiarano pronti a fare di più ma ci chiedono di metterli in condizione di farlo, non possiamo fare finta di non sentire e dire che i sacrifici devono farli tutti. Non c’è dubbio che su alcune questioni il governo non abbia il polso del Paese, non abbia la percezione reale di quelli che sono timori e ansie degli italiani.Per certi aspetti il governo sta galleggiando, tampona le emergenze, ma spesso perde di vista quella che era la rotta: non ha davanti a sé quel progetto che deve essere essenziale per costruire oggi l’Italia del domani. Il governo non ha preso coscienza che alcune questioni vanno affrontate senza esitazioni.

Quali sono le priorità? Altro che ddl sulle intercettazioni. Le priorità che sono nell’agenda degli italiani devono essere anche quelle del governo, che deve cogliere quali sono i sentimenti della nostra gente, ascoltare i suoi timori, le sue speranze. La priorità è affrontare il nodo dell’indebolimento dell’identità nazionale, del senso di appartenenza alla comunità: quando si brucia il tricolore, bè, c’è davvero motivo di allarmarsi. Se per protesta, non so quanto fondata, si arriva al vilipendio del simbolo della dignità nazionale, questo è conseguenza del fatto che per troppo tempo si è sottovalutato non il rischio della secessione, ma l’egoismo strisciante territoriale che è stato il motore della Lega nord. A loro non interessa nulla di ciò che accade sotto il Po perché non ha alcun interesse al valore dell’unità nazionale. Alla vigilia dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità, il governo ha il suo caposaldo nel Pdl, un partito che nasce con una vocazione nazionale ma che al nord adesso è una pallida copia sbiadita della Lega.

Alla vigilia delle celebrazioni, bisogna fare una riflessione su cosa significa essere italiani oggi, è doveroso. La caduta della coesione sociale, non so se se ne sono resi conto, sta aumentando le diseguaglianze, si sta perdendo di vista quel disegno del Pdl che mirava a far migliorare le condizioni di vita del nostro popolo riducendo le diseguaglianze,e si sta trasformando in disegno opposto. In Italia il ceto medio si sta impoverendo, chi ha un solo reddito ha problemi ad arrivare a fine mese. Altro che Paese dei balocchi e del va tutto bene… In Italia c’è un impressionante conflitto generazionale, oggi i più giovani se pensano a futuro si chiedono se sarà migliore o peggiore. Perche oggi i nostri ragazzi sanno che abbiamo un tenore di vita accettabile ma hanno capito bene che quando la famiglia non sarà più in grado di aiutarli per loro ci saranno seri problemi.

Mi ha colpito l’analisi di un istituto di ricerca che ha osservato come si siano rovesciati i termini del rapporto tra giovani e anziani. Fino a poco tempo fa nelle nostre famiglie l’impiego di un giovane consentiva al nonno di vivere una vecchiaia serena. Oggi, in molti casi, specie al Sud, senza la pensione del nonno un ragazzo non avrebbe la possibilità di portare a cena la fidanzata di una vita. E’ un conflitto che va affrontato, dicendo chiaramente ai padri e alle madri che è il momento di fare dei sacrifici, ma finalizzati a garantire ai figli di entrare a testa alta nella società e nel mercato del lavoro. Sarebbe illusorio pensare di garantire a tutti i giovani il posto fisso, magari nella pubblica amministrazione, ma il fatto che il mercato del lavoro sia flessibile, che i contratti siano aperti non può significare la precarietà assoluta e vita natural durante. Guardiamo agli altri paesi europei. Il nostro welfare non può essere solo delle garanzie, deve essere anche delle opportunità. Oggi tra i ceti tradizionalmente deboli, accanto agli anziani, ai disabili, ai cassintegrati, vanno messi anche i giovani. Ed è accaduto senza che nessuno se ne accorgesse. Perché non guardare alla Germania, dove ci sono più contratti a termine che da noi, ma la busta paga è mediamente più pesante rispetto a quella di un giovane che a parità di mansioni ha un contratto a tempo indeterminato?

La perdita della coesione sociale, lo sfibrarsi delle ragioni per cui l’Italia sta insieme e un’altra emergenza, legata alla situazione economica: il calo di competitività e produttività. Basta leggere quello che ha detto ieri Draghi e che aveva detto anche la Marcegaglia qualche giorno fa. Possibile - e lo dico al governo - che personalità così diverse tra di loro indichino come priorità quella di rilanciare l’economia, di mettere in campo politiche per la ripresa della produzione? Possibile che da parte della politica si liquidi tutto dicendo che si tratta delle assurde congiure di qualche potere o dell’incapacità di capire che tutto va bene perché c’è il governo del fare? Mi sembra che governo del fare certe volte significhi fare finta di non vedere che non è vero che tutto va bene.

Nell’agenda politica è necessario non avere tolleranze nei confronti di quello che è cultura dell’illegalità, anche intesa come quella logica secondo cui, da che mondo è mondo, il paese si divide sempre in due categorie di fronte alle quali uno si deve schierare. A me non piace un paese dove non c’è una levata di scudi corale rispetto a certi luoghi comuni che vengono diffusi, luoghi comuni tipo quello per cui chi fa tutto il suo dovere e paga tutte le tasse è fesso e chi invece trova il modo di fare il furbo va apprezzato. E’ lo stravolgimento del principio di legalità come cultura del bene comune. Poi c’è anche quello che chiamo una sorta di decadimento morale e qui serve davvero fare sfoggio di padronanza della lingua, perché il tema è scivoloso e il moralismo è una delle peggiori attitudini di una parte del nostri popolo e di tanti sepolcri imbiancati, sempre capaci di fare la predica ma poi non guardare dentro di sé. Quando dico decadimento morale, intendo una parte dell’attualità che non è figlia obbligata della modernità. Credo che quel decadimento sia in qualche modo anche la conseguenza di una progressiva perdita del senso del decoro e del rigore dei comportamenti - e in particolar modo dei comportamenti di chi, gli piaccia o meno, deve essere d’esempio, perché se si è un personaggio pubblico si è obbligati in qualche modo a essere d’esempio.

E lasciatemi laicamente, con la laicità positiva della coscienza del “date a Cesare quel che è di Cesare” ma anche del ruolo fondamentale che ha nella società occidentale la religiosità e in quella italiana l’insegnamento di Santa romana chiesa, lasciatemi laicamente citare l’insegnamento del Papa che dice che la spazzatura non è solo nelle strade ma negli animi e nelle coscienze. Questo, credo, è il decadimento che c’è e da questo punto di vista io non credo che la politica se ne possa lavare le mani, perché per certi aspetti non tutto quello che c’era nella prima repubblica è oggi da buttare. Io non so quanti si ritroveranno nelle parole che sto per dire, ma io ho rimpianto dello stile di comportamento di Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa. Nella prima repubblica c’erano anche queste personalità, che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato.

Eppure, amici miei, nonostante ci siano queste emergenze legate alla coesione sociale, all’economia, alla difesa dell’identità nazionale, al dovere di combattere l’afasia morale, io sono convinto che l’Italia non sia un paese destinato a declinare inevitabilmente, che si sfascerà e finirà nel burrone. Non ci credo perché sento forte nel paese una parte di società vita, vitale, reattiva, tutt’altro che rassegnata o indisponibile alla buona battaglia. E’ quella parte di società che ha bisogno di un’altra politica, più alta rispetto alla quotidiana bagarre, all’eccesso di propaganda. Quella parte di società che bisogno di una politica capace di superare la logica per cui l’altro da te è tuo nemico, per cui o si sta di qua o di là. Io credo che sia significativo se soltanto i tentativi di cercare momenti condivisi, di trovare convergenze parlamentari, viene immediatamente bollato come se fosse il sinonimo del peggiore inciucio, della peggiore truffa nei confronti degli elettori.
Perché il bipolarismo è un valore ma non può significare che finita una campagna elettorale l’altra coalizione resta un nemico da combattere con eccessi di propaganda e deficit di politica. Su questioni delicate, che fanno tremare le vene ai polsi, o si è capaci di trovare obiettivi condivisi nell’interesse del Paese oppure diventa difficile far vincere una politica che parli alla parte sana del Paese, quella che tira la carretta ogni giorno. Serve una politica che garantisca la stabilità delle istituzioni. Io non ho esitazioni nel dire che in questo contesto di crisi internazionale e con la necessità del Paese di mettere sul mercato migliaia di titoli, con alcune nubi che arrivano da altri Paesi europei, di tutto c'è bisogno tranne che di una sfida tra Orazi e Curiazi o dell'ennesima campagna elettorale.

Non ho esitazioni nel dire che è necessario valutare le condizioni per un patto di legislatura è che a mio vedere il patto è qualcosa in più del compitino dei 5 punti con scolaretti che devono votare altrimenti è lesa maestà. Un patto è possibile a condizione che ci sia un colpo d’ala, una svolta che consenta di aprire una nuova fase: serve una nuova agenda politica, un nuovo programma di governo da qui alla fine della legislatura. Per quanto riguarda Fli, visto che ci hanno chiesto di essere chiari, per noi un nuovo patto è possibile a condizione che nell’agenda ci siano alcune grandi questioni che nei 5 punti programmatici non ci sono o sono accennate in mina parte,

In primo luogo, il rilancio dell’economia attraverso un nuovo patto sociale, a partire per esempio dagli stati generali sull'economia e il lavoro nel Paese. In una fase in cui mancava il ministro dello Sviluppo e qualcuno pensava che non era necessario, “tanto pensa a tutto lui”, c'è stata una prima pagina di un nuovo patto sociale con il tavolo delle parti sociali su cinque punti d'intesa. Un tavolo al quale hanno partecipato tutti, compreso la Cgil, Confindustria, Confragricoltura e altri: tutti, con i sindacati, si sono dati da fare per vedere cosa si poteva trovare in comune per un patto della crescita. Unica assente al tavolo era la politica, ma da quel tavolo sono uscite alcuni punti d’intesa tra datori di lavoro e parti sociali che andrebbero sostenute sul fronte degli investimenti sulla ricerca e l’ innovazione. Altri Paesi hanno subìto tagli più pesanti dei nostri ma sulle spese per ricerca e innovazione hanno investito di più. Da noi, dove non ci sono i grandi gruppi industriali e l’economia è sostenuta soprattutto dal tessuto delle Piccole e medie imprese, bisognerebbe essere coerenti. Le Pmi mai potranno destinare ingenti risorse ai brevetti, agli studi tecnologi, all’innovazione, se non li supporta lo Stato. Investire in ricerca e sapere significa mettere le piccole e medie imprese nella condizione di vincere la sfida sulla qualità dei prodotti, non sulla quantià, dove è impossibile competere con paesi come Cina e India. Queste non sono utopie, basta vedere altri paesi, come la Germania, dove la Merkel ha fatto una manovra dura ma alla voce ricerca e sapere non c’è segno meno ma segno più, nonostante nel loro tessuto economico il ruolo delle grandi imprese sia determinante.

Altro punto prioritario, fermo restando il problema della sburocratizzazione della pubblica amministrazione, è la necessità di intervenire sul meccanismo degli appalti nella pubblica amministrazione, garantendo legalità a trasparenza. Basta guardare quello che è accaduto negli ultimi tempi in Italia per capire che questi princìpi in Italia spesso non vengono rispettati. E in molti casi non è necessario che intervenga la magistratura per comprendere che l’unica regola è l’intermediazione della politica, con evidenti conseguenze sul malaffare. Così come è ormai non più rinviabile un intervento per legare i salati alla capacità produttiva: come si fa a non capire che chi lavora di più e meglio va pagato meglio di chi timbra solo il cartellino?

Tornando al tavolo tra le parti sociali, tra i suoi obiettivi c’era quello di utilizzare in pieno i fondi Fas, che non possono essere il bancomat a cui Tremonti ricorre quando la Lega glielo chiede per tamponare le emergenze. Se c'è una prova del fatto che il Pdl è afono e che la linea gliela la dà solo la Lega, è quando Tremonti ha preso i soldi dai fondi Fas per tacitare gli allevatori delle quote latte che avevano violato la legge. Per quanto riguarda le opere infrastrutturali, non ha senso mettere fondi su tutto, si dica quello che si può fare su alcune opere, basta l’illusione del “facciamo tutto”. Un ultimo punto uscito dal tavolo delle parti sociali è quello relativo alla necessità di dare corso a una fiscalità di vantaggio per il sud che non danneggi il nord, per metterlo in condizione di essere competitivo, visto che oggi sono tantissime le aziende italiane che de localizzano all’estero a condizioni più favorevoli. Certo se la linea del governo la detta la Lega non credo che per i nostri ministri sarà possibile dire che serve una inversione di tendenza.

Ma servono questi punti per avviare un processo per rilanciare il paese. Servono almeno due, tre riforme per l’ammodernamento del nostro sistema istituzionale. Le grandi riforme che si sono fatte - permettetemi una considerazione amara - tra il 1861 e il 1870, in un’epoca in cui ci si muoveva con i cavalli. La classe dirigente allora diede vita a riforme che servivano per l’Italia. Oggi, nell’epoca di internet, non vi è nulla di paragonabile a quanto fatto dalla classe dirigente dell’epoca.

Occorre abbinare la rappresentatività delle assemblee alla capacità degli esecutivi di governare. Io credo che nell’agenda per il patto di legislatura oltre alle cose di cui abbiamo parlato, vadano inserite alcune riforme, altro che i 5 punticini.
Sulla riforma del federalismo fiscale dico che è una considerazione fin troppo facile spiegare perché non ci sono stati ripensamenti o rallentamenti. Questo è un governo in cui, piaccia o meno, l’iniziativa politica è alla Lega. Il federalismo fiscale è in procinto di essere ultimato, e dico subito che non sono preoccupato perché prevedere il fondo di compensazione renderà possibile da parte regioni sud non rimanere indietro. Quel fondo per una lunga fase non prevederà il rischio di abbandonare il Sud a se stesso. Su questo ha ragione Adriana Poli non parliamo di federalismo solidale perché il federalismo o è solidale o non è. Io dico che quando il federalismo fiscale entrerà in vigore non ci sarà il pericolo, ma una bella sfida che farà emergere una capacità della classe dirigente perché forse qualcosa che gli amici della Lega non hanno compreso è che la classe dirigente del Sud non è meno capace di quella del Nord, aspetta solo di essere messa in condizione di mostrarlo. Il federalismo fiscale non comporta un rischio di disgregazione, ma sarebbe privo di senso senza un ammodernamento in senso federale dello Stato: la camera delle regioni, che rappresenti il territorio. Senza, sarebbe l’ennesima riforma incompiuta, che rischierebbe solo di peggiorare la situazione. Berlusconi assuma l’impegno di riscrivere l’articolo 117 e dar vita alla camera delle autonomie.

Patto di legislatura, nuova agenda, nuovo programma, rilancio delle istituzioni, riforme. So che ciò che sto per dire non sarà considerato con grande soddisfazione, ma se si vuole dar corso al principio di rispettare il popolo, che nelle sue mani ha lo scettro, allora non ci può essere un patto di legislatura se non si cancella una legge elettorale che è una vergogna. Avete diritto di scegliere i vostri parlamentari, non ci si può affidare solo alla leadership.

E’ necessaria una nuova agenda, è necessario un nuovo programma, è cambiato tutto dalle elezioni. Una nuova agenda e un nuovo programma. Berlusconi ha fatto un appello all’unità del centrodestra, della coalizione. E sarebbe facile ironizzare: “se se ne fosse reso conto un po’ prima che non c’erano solo schiaccia pulsanti, che non c’era alcun controcanto, nessuna voglia di dire solo no, ma il desiderio di aiutare la politica. Potrei ironizzare, ma non lo faccio . E’ certamente necessario verificare le condizioni per l’unità della coalizione ma il presidente Berlusconi ha detto qualcosa di più: “faccio appello ai moderati italiani, a tutti quanti non sono e non vogliono stare a sinistra. Bè, i moderati italiani si ritrovano particolarmente, in parlamento, in un soggetto che è l’Udc. Io credo che il presidente Berlusconi, che non è un ingenuo, anche se ama dire che di non essere un professionista della politica ne abbia capito i meccanismi, ma credo ne abbia sperimentato i peggiori.

È tra le cose possibili che il centrodestra si ricompatti solo perché, bontà sua, ha riconosciuto la nostra presenza? Futuro e libertà non può rinunciare alla sua identità, che è scritta nel manifesto, alle sue proposte, ai suoi progetti solo perché adesso è stato proposto un patto. Dobbiamo aggiornare l’impegno in ragione delle nuove esigenze.
Ed è altrettanto ingenuo pensare che l’Udc solo per l’appello ai moderati dica: “bene allora ora arriviamo anche noi”. E’ una logica che non attiene alla politica, è una logica che attiene ad altra attività: quella mercantile. Non c’è alcuna possibilità di un patto di legislatura se non si è chiari su questi aspetti: nuova agenda, nuovo programma.

E per rendere possibile tutto ciò credo che Berlusconi debba dimostrare quel coraggio già dimostrato in altre occasioni, che in passato gli ha già consentito colpi d’ala. Deve avere il coraggio di rassegnare le dimissioni, di salire al Colle, dichiarare che la crisi è aperta di fatto e avviare una fase politica in cui rapidamente si ridiscutano l’agenda e il programma, si verifichi la natura della colazione e la composizione del governo. Se Berlusconi avrà questo coraggio, questa sarebbe davvero una bella svolta del predellino. Noi certamente non ci tiriamo indietro, in ragione di quanto detto e fatto fin qui.

Se non ci sarà il colpo d’ala, se prevarranno i cattivi consiglieri – quanti cattivi consiglieri ci sono stati in queste settimane – se prevarranno quanti dicono quella di Fini è una trappola, se Berlusconi non darà ascolto ai cattivi consiglieri e ci sarà il colpo d’alta, tutti si assumeranno le proprie responsabilità amici miei.

Se al contrario ci non sarà, se prevarrà in lui quell’autoconsolatorio quanto fasullo assunto del “che problema c’è tanto ci penso io, mettiamo le cose a posto”, amici, è evidente che Ronchi, Urso, Menia e Buonfiglio non rimarranno un minuto in più in quel governo. Io li ringrazio per quello che hanno fatto e per come dimostrano che tra noi non c’è alcun tipo di divisione. Il nostro gruppo, i nostri vertici, continueranno a votare ciò che è condiviso e se neanche questa giornata convincerà Berlusconi ad aprire una nuova fase, è chiaro che il problema non sarà più chi resta col cerino in mano o chi stacca la spina. Se proseguiranno le furbizie e i tatticismi saranno gli italiani che la staccheranno. Gli italiani staccheranno la spina perché sono stanchi di un governo che non governa, di chi intende la stabilità politica come un paracarro, che sta lì, non si muove, non fa nulla e non ne prende atto. La stabilità è quella delle istituzioni che sono in grado di risolvere i problemi reali.

Questo è l’appello che Fli rivolge al governo nello stesso momento in cui ci è stato chiesto di essere chiari: noi ci siamo assunti le nostre responsabilità, che non ci spaventano, chiediamo che ci siano analoghe prese di responsabilità perché così non si può andare avanti. Lasciamo al premier l’onore e l’onere di dire se intende aprire una nuova fase con un’agenda e un programma discusso con noi, prendendo atto di quello che pensano gli altri, se vuole tirare a campare o tirare le cuoia, come direbbe Andreotti. Qualunque decisione ci troverà con la coscienza a posto. Il senso profondo di questa due-giorni è che Fli non è un partitino o un esperimento, è un ambizioso e coraggioso ed estremamente nobile tentativo di dare voce autentica al nostro popolo, ridargli la speranza di una Patria che si risolleva. Noi non vogliamo nuove elezioni, ma se qualcuno le vuole sappia che non ci spaventano. Lasciamo ad altri l'onere di dimostrare se ha davvero a cuore l'interesse del Paese o vuole rimanere a palazzo Chigi in attesa che passi la bufera. Viva l’Italia, viva Futuro e libertà.

(Questa trascrizione è stata fatta in tempo reale, va pertanto considerata una bozza da aggiornare)

Discorso pronunciato a conclusione della prima convention di Fli a Bastia Umbra il 7 novembre 2010