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lunedì 9 settembre 2013

Opinioni degli stakeholder

Opinioni degli stakeholder, una direzione da intraprendere
di Andrea Satta, progettista FAI la cosa giusta


Il Progetto FAI la cosa giusta ha chiesto ai dirigenti di raccontarsi e di raccontare cosa significhi provare a dare risposte alle donne in rientro dalla maternità, alle famiglie che lavorano in Cooperativa. Otto interviste, otto opinioni, otto approcci che oggi, a mesi di distanza, appaiono premonitori di un’interesse che, nella realtà dell’agire quotidiano, è già diventata buona prassi. La cura delle relazione e l’ascolto dei bisogni delle socie, in un contesto delicato, complesso e coinvolgente, era ed è la preoccupazione prima di chi deve dirigere, coordinare, facilitare la routine degli operatori. Tutti i giorni la cooperativa si confronta con la malattia, la disabilità, la vecchiaia, il distacco, il fine vita, ed anche la gioia, l’affetto, la riconoscenza di chi riceve le cure, l’assistenza, le parole e il conforto degli operatori. Gli otto dirigenti sono consapevoli e in un qualche modo preoccupati di questi aspetti e di fronte alle domande sono stati molto disponibili e incuriositi, Il loro è un punto di vista particolare, volutamente individuale, basato sull’esperienza personale, sulla formazione e sul lavoro in cooperazione. Il lavoro di ascolto e sintesi dei lunghi dialoghi ha costruito un quadro ricco e sfaccettato in cui le preoccupazioni quotidiani di gestione e le visioni strategiche si sono alternate in una forma colloquio curioso e innovativo. La conciliazione è risoluzione dei problemi nella prospettiva del funzionamento della struttura, questa è la visione evidenziata dai coordinatori delle strutture e dai referenti di area cogliendo, nel progetto Family Friendly, la possibilità di rendere più fluida ed efficiente la gestione delle relazioni e delle dinamiche quotidiane, fatte di richieste orarie, turni, malattie e famiglie. Ma è anche risoluzione dei problemi in funzione di un cambiamento aziendale. Così come hanno ben descritto ed evidenziato chi nella cooperativa si occupa direttamente di progettazione, comunicazione e formazione. Questa doppia visione si fonde perfettamente in quell’evoluzione, informazione e accompagnamento, che la Cooperativa FAI ha intrapreso proponendo la creazione dello sportello FAI la cosa giusta.Ognuno porta con sé la propria storia, professionale e personale, ed è nella Storia della Cooperativa che ci si ritrova a condividere, discutere e risolvere la quotidianità della conciliazione. Quando abbiamo iniziato...spesso alle domande i nostri interlocutori hanno risposto iniziando così, dando forza e peso alla crescita, alla volontà di chi partendo da pochissimo ha creato una delle eccellenze di cooperazione sociale in provincia.Oggi i dirigenti si trovano a cercare nel lavoro sociale quel precario equilibrio fra chi coinvolto direttamente nei problemi e chi deve trovare e condividere una visione strategica di lungo periodo.Il lavoro sociale è femminile? Beh... guardati attorno! Così scherzando, anche se solo per un attimo, una delle questioni più scivolose del ambito del lavoro di cura, i dirigenti hanno colto una delle maggiori contraddizioni del sistema, cooperativo incluso, sociale: la diversità fra i generi, gli stereotipi e allo stesso tempo la forza positiva delle differenze.Nel sociale gli uomini stanno ai piani alti e le donne... anche ma dopo aver faticato di più! Con questa dolce amara considerazione abbiamo chiuso un primo scambio di opinioni, che al di là della apparente leggerezza ha fornito al progetto la legittimazione, ha fatto emergere l’importanza del lavoro d’equipe, delle modalità di risoluzione dei problemi, dell’importanza dell’informazione, della formazione e della continua attenzione sul tema. Insomma, per dirla con una frase di Hugo Von Hofmannsthal, la vita è integrale conciliazione dell’inconciliabile.

venerdì 6 settembre 2013

Articoli di Conciliazione Casarsese

Sportello Informadonna nuova iniziativa a Casarsa
Intervista a Ingrid Culos, consigliera Comunale del Comune di Casarsa con delega alle Pari Opportunità

a cura di andrea Satta

Pubblicato su Macramè, Aprile 2012

La consigliera comunale Ingrid Culos ci racconta la nascita dello Sportello Informadonna del Comune di Casarsa, finanziato nel 2012 dalla Regione.
Il progetto originario, Donne insieme ha come obiettivo l’integrazione delle donne di nuova immigrazione e italiane attraverso la promozione di luoghi di scambio e di aggregazione. Come è nata l’idea di sostenere un percorso dedicato alle donne?
L’amministrazione comunale ha sempre pensato che le politiche di parità riducano i costi sociali ed economici e che siano un incentivo allo sviluppo locale.
Casarsa è un comune molto sensibile alle tematiche che riguardano il sostegno alle donne e alla famiglia più in generale.
Sono numerosi i progetti messi in campo in tal senso negli ultimi anni e la nuova amministrazione intende offrire un punto di riferimento informativo e progettuale rappresentato dallo Sportello Informadonna.
Come è avvenuto il coinvolgimento delle realtà locali in un territorio ricco di associazionismo?
Le associazioni, le cooperative e le organizzazioni di familiari sono sempre state coinvolte anche grazie all’Osservatorio Sociale nella lettura dei bisogni del territorio e nella proposta di nuove opportunità.
Come ritieni che l’idea di uno sportello aziendale possa integrarsi in questo contesto?
Conosco da tempo il lavoro dello Sportello FAI e penso abbia caratteristiche molto simili al nostro progetto. Si tratta di attività di sostegno, non solo occupazionale, ma anche su questioni legate alla famiglia e alle offerte territoriali. A questo abbiamo aggiunto un’attenzione particolare a situazioni più difficili come ad esempio il mobbing, i centri antiviolenza e il sostegno alle famiglie in difficoltà. Per le persone sarà possibile avere un primo contatto per essere avviate ai servizi di competenza.
Sia il nostro progetto che lo sportello hanno coinvolto la Consigliera di Parità della Provincia Chiara Cristini, come pensi che possa svilupparsi in futuro questa collaborazione?
La figura della Consigliera di Parità, che ha una forte attenzione al mondo del mercato del lavoro, risulta estremamente importante in una situazione di crisi in cui il benessere delle donne passa soprattutto attraverso l’enpowerment, cioè la capacità di attivarsi e di sviluppare le proprie potenzialità.
Gli sportelli come questi, sono luoghi in cui le donne possono ricevere informazione, e allo stesso tempo acquisire consapevolezza. Auspichiamo che tutti insieme si possa creare una rete ampia a sostegno di questo tipo di iniziative, a partire dai comuni limitrofi e associazioni, e che in futuro questo modello possa diventare buona prassi per altre amministrazioni locali.

Conciliazione diffusa Dallo Sportello Conciliazione allo Sportello Informadonna 
di andrea Satta e Elisa Giuseppin

Le buone prassi diventano tali solo quando si diffondono.
Grazie a questo assunto e grazie alla disponibilità di Ingrid Culos, consigliere del Comune di Casarsa della Delizia con delega alle Politiche Giovanili e Pari Opportunità, lo sportello Conciliazione Family Friendly FAI
potrà offrire la sua esperienza al Progetto Donne insieme.
Questo progetto prevede l’apertura di uno Sportello Informadonna. Elisa Giuseppin, referente per il rogetto, predisporrà le azioni di front office informativo, di formazione, di condivisione di banca dati e di consulenza personalizzata, sulle tematiche di conciliazione, pari opportunità, famiglia, gender mainstreaming.
Il coinvolgimento delle associazioni e delle cooperative sarà parte integrante del percorso, in particolare per quelle che hanno già attivato azioni dedicate alle donne.
La rilevazione dei bisogni degli stakeholder locali ha evidenziato come la partecipazione di tutte le famiglie e l’integrazione con i servizi esistenti, sia prioritaria per la sostenibilità del progetto.
Mutuando un’esperienza aziendale, si è voluto dare sostanza più che con una semplice convenzione, con un vero e proprio lavoro integrato tra amministrazione pubblica e privato sociale. Questo modello si va diffondendo a macchia di leopardo sul territorio friulano anche in settori apparentemente molto istituzionalizzati. Non si tratta di una delega in bianco da parte delle amministrazioni, ma ad una vera e propria coprogettazione, che ha coinvolto fin dalla fase ideativa la cittadinanza. FAI ha condiviso questa nuova opportunità per diffondere un metodo di lavoro attento allo sviluppo di comunità ed anche un nuovo modo di fare impresa.
Lo Sportello Informadonna è aperto il mercoledì pomeriggio dalle 16.00 alle 18.00, presso Palazzo De Lorenzi Brinis, via Stazione 2, Casarsa della Delizia (PN). Telefono 0434 873937, email sportellodonnacasarsa@gmail.com, blog informadonnacasarsa.blogspot.it
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giovedì 26 agosto 2010

Secolo d'Italia - Politica

é mai possibile che mi tocchi ammirare sconsideratamente una banda di fascisti!

Secolo d'Italia - Politica

Una tantum, replica ai veleni e alle bugie

Flavia Perina

Dopo l’editoriale che chiedeva alle donne del Pdl di pronunciarsi sul linciaggio di Elisabetta Tulliani e l’intervista a “Repubblica” sullo stesso tema tanti colleghi mi hanno chiesto: perché nessuna risposta? Come mai le destinatarie dell’appello hanno preferito non pronunciarsi, né a favore né contro? Basta leggere “Libero” e “Il Giornale” di oggi per capire il motivo del silenzio. Chi parla è perduto. Chi rompe il fronte è condannato al plotone di esecuzione mediatico. Ed evidentemente l’intimidazione sortisce i suoi effetti: anche io, che una qualche esperienza di prima linea ce l’ho, sono rimasta a bocca aperta davanti alla violenza mistificatoria con cui la fabbrica del fango ha reagito a un appello politico e a un ragionamento sulla concezione della donna coltivata da alcuni settori del Pdl. Non me lo aspettavo. E tuttavia sono contenta di un fatto: nessuna collega del Pdl si è prestata a dare manforte all’operazione di Belpietro e di Feltri, nessuna (almeno in prima battuta) ha messo il suo nome e la sua faccia al servizio dei lapidatori. Ringrazio tutte: so che sono state sollecitate a intervenire e si sono sottratte.
Ma veniamo al punto. Anzi, ai punti che sono essenzialmente due. Il primo è facile da liquidare: Vittorio Feltri accusa il “Secolo” di doppiopesismo, sostenendo che il nostro quotidiano non ha mai difeso Mara Carfagna e altre esponenti del Pdl finite nel tritacarne mediatico della sinistra. È una assoluta menzogna e la collezione del giornale è lì a dimostrarlo con editoriali di prima pagina, interviste, pubbliche prese di posizione per le quali il ministro (che all’epoca nemmeno conoscevamo personalmente) ci ringraziò più volte. Eravamo e siamo convinti che la campagna anti-Mara rispondesse a uno stereotipo sessista che abbiamo sempre contestato – quello secondo cui le donne schierate a destra sono belle oche e fanno carriera ancheggiando – e ripetevamo che la Carfagna (come la Gelmini, come la Prestigiacomo, come tante altre) andasse giudicata sui fatti e non sull’estetica o sulle sue scelte private. Ed è esattamente lo stesso spirito che ha animato l’appello contro la fucilazione quotidiana di Elisabetta Tulliani: una che nemmeno sta in politica e che viene bersagliata solo perché è la compagna di Fini.
E veniamo al secondo punto, cioè al titolo di apertura di “Libero” sulla «pulizia etnica di Fini», relativa al caso di una nostra collega, Priscilla Del Ninno, in causa con il “Secolo d’Italia” per le modalità con cui è stata messa in cassa integrazione quando il giornale aprì lo stato di crisi e poi licenziata alla fine della Cig. La vicenda viene equiparata a quella dei sindacalisti Fiat estromessi dal lavoro (e reintegrati dalla magistratura) perché accusati di aver determinato il blocco di una linea di produzione durante uno sciopero. Con una sostanziale differenza: Priscilla del Ninno non è una sindacalista, non ha mai protestato contro la decisione del “Secolo” di indire lo stato di crisi, non ha nemmeno preso parte alle assemblee del gennaio-febbraio 2007 nelle quali si discusse e si votò liberamente la scelta dell’azienda, la cassa integrazione, la ristrutturazione. Infatti, all’epoca, si mise in malattia. La malattia le consentì di non assumersi la responsabilità – che tutti gli altri redattori si presero – di pronunciarsi sul piano del direttore e dell’amministratore, che prevedeva la riduzione delle pagine culturali (quelle nelle quali lavorava), tre prepensionamenti e la cassa integrazione per tre unità: un piano discusso e approvato non solo dall’assemblea del “Secolo”, ma dal sindacato dei giornalisti e dei poligrafici in sede locale e nazionale dopo minuziose disamine e correzioni. Non solo: grazie allo “status” di malata la Del Ninno fu la sola tra tutti a essere tutelata dalla possibilità di finire in cassa integrazione. E infatti non ci finì: per 9 mesi restò in malattia e solo raggiunto il limite massimo previsto dalla legge entrò in Cig, salvo uscirne di nuovo due o tre mesi dopo perché era rimasta incinta e si mise in maternità. Nel frattempo aveva avviato una causa contro il giornale. Ha vinto in primo grado (l’azienda ha ricorso): avrebbe potuto rientrare in redazione ma utilizzò ancora l’aspettativa per maternità, e finita quella si mise in ferie. Un altro procedimento è in corso: rispetteremo la sentenza, come abbiamo sempre fatto, non perché “femministe” (l’aggettivo usato da Maurizio Belpietro con toni spregiativi) ma perché ci sembra normale fare così.
Non entriamo nel merito delle altre bugie raccontate da “Libero”, a cominciare da quella secondo cui la Del Ninno sarebbe stata defenestrata per sostituirla con persone più “fedeli alla linea” come Filippo Rossi: tra l’altro Priscilla – ed era un suo vanto – una “linea” non l’ha mai avuta, salvo quella di usare fino in fondo le buone relazioni di suo padre con la direzione e l’amministrazione che l’avevano assunta per garantirsi dalle scomodità legate all’esercizio della professione. Ricordo personalmente un durissimo richiamo (all’epoca ero caporedattore) ricevuto perché avevo disposto il suo spostamento nell’open space redazionale dalla stanza “privata” che occupava con una collega. Suggeriamo ai colleghi di “Libero”, se vogliono sollevare scandalo sul tema dei diritti femminili negati al “Secolo”, di prendere in considerazione un altro caso: quello di Annalisa Terranova, che nel 1996, mentre era incinta, fu scavalcata nel suo ruolo di responsabile del servizio politico da un collega che si occupava di tutt’altro ma era più amico del direttore e solo per senso di responsabilità scelse di non rivolgersi al sindacato. Il direttore dell’epoca era Malgieri, ultimamente arruolato proprio da “Libero” come commentatore antifiniano («Fini ha poche idee, confuse e non di destra» è il titolo del suo ultimo articolo).
Comunque, va bene così. L’escalation della fangosa campagna contro Fini e i finiani – comunisti o fascisti, epuratori o clientelari, amici dei magistrati o violatori di sentenze a secondo di quel che serve – dimostrerà alle lunghe una sola cosa: Futuro e Libertà fa paura, al di là delle percentuali elettorali che gli vengono riconosciute in caso di voto, perché rappresenta una prospettiva di destra potenzialmente più credibile di quella rappresentata da “Libero” e dal “Giornale”. Il tentativo di screditare il gruppo di Fli serve a coprire il vuoto di contenuti degli “altri”, la loro incapacità di offrire risposte di merito sui problemi del partito e dell’Italia, ma di questo passo non farà che rendere questo vuoto sempre più evidente, palpabile, verificabile anche dai meno provveduti. E, crediamo, saranno sempre di più gli italiani che si chiederanno: ma davvero la destra deve essere questa babele di veleno e di fango? Poi arriverà un sondaggio e anche il Cavaliere se ne accorgerà. Probabilmente un giorno troppo tardi come è accaduto sui “numeri” dei finiani.

mercoledì 17 ottobre 2007

Maschio o femmina

già scritto tempo fa... ma a volte i ricordi riaffiorano con piacere.
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Come restiamo colpiti, noi uomini, dalla naturalezza con cui alcune donne disfano il lavoro, anche quando sono già ben avanti, perché c’è uno sbaglio, o perché sono scontente del disegno, o dell’effetto dei colori… Proviamo, noi maschi, un’avversione profonda, quando la strada si chiude, per il tornare indietro[…]. Andiamo avanti, a costo della rovina.
Adriano Sofri, Il nodo e il chiodo. Libro della mano sinistra, 1995

Adriano Sofri, prima che mani e menti imbecilli lo rinchiudessero a vita nella sua Pisa, scrisse della mano sinistra. Io ero un non più giovane laureando e in Piazza Verdi, fra tossici e melomani, stazionava un capannone di libri usati e deprezzati.
Conoscevo Sofri per militanza politica più che per acume antropologico.
Da allora non prendo mai poco sul serio i suoi scritti, le sue opinioni, mentre diffido dei suoi detrattori come dei suoi acritici esaltatori.
Avevo sempre avuto il dubbio che la questione femminile fosse anche questione maschile. Non ero certo che il femminismo fosse solo la risposta al maschilismo. Ridurre tutto a falli e vagine mi sembrava esageratamente manicheo.
Ogni piccola azione o inazione è frutto di comportamenti innati o appresi, è cultura prim’ancora che genetica. Così le donne tessono e gli uomini allevano, le donne fanno ceramica e gli uomini battono il ferro. Gli uomini quando parlano combattono, le donne tramano.
Tutto questo l’ho scoperto ascoltando le donne parlare, l’ho scoperto vedendo gli uomini lavorare, l’ho scoperto violando i luoghi deputati alle donne.
Fin da bambino stazionavo in cucina mentre mia madre mescolava il cibo cotto al femminile. Io ho assorbito le chiacchiere delle domestiche bevendo il caffè e fumando sigarette MS puzzolenti, alla mattina presto insieme a loro mentre il resto dei giovani maschi dormiva.

Il mondo femminile costringe alla costruzione sociale, costringe all’ascolto.
È una tecnica che non abbiamo, noi maschi. Ascoltiamo preparando il contrattacco, ascoltiamo solo per rispetto imposto, il nostro ascolto è improduttivo.
Notate cosa dicono di se gli uomini e cosa le donne. Notate quanto una donna scopra di voi in dieci minuti e quanto gli uomini non sappiano nulla di una donna dopo mesi.
Ringrazio il mio apprendistato femmineo, giovanile e infantile. Oggi riesco ad essere ascoltato persino da una donna.

A malapena sopporto dover lasciare la cucina quando sono ospite.
Mia zia mi teneva vicino al tavolo mentre preparava le polpette. In cucina si annusano i profumi, si vedono colori, si ascoltano i rumori. È il luogo della percezione alterata per eccellenza.
Ormai sono grande e in cucina stanno i bambini (forse non più) e chi cucina. Gli uomini mi costringono a parlare di politica, di sport, di lavoro ed io invidio le compagne in cucina con il loro sommesso ciarlare, le chiacchiere senza senso (per noi poveri uomini imbecilli).
Ma a volte riesco a scappare (tanto un po’ strambo mi considerano) e mi faccio dare il cambio dalla mia donna (tanto un po’ stramba la considerano) e mi metto in cucina a spettegolare e le parole tornano fluide, i toni sommessi e gli argomenti reali.

Pochi giorni fa due donne parlavano come due uomini, ho messo le cuffie e alzato il volume, ho sperato fosse solo un caso.

domenica 21 gennaio 2007

Donne sociali

Mentre scrivevevo, ieri, ho ascoltato per alcuni lunghi minuti la radio. Parlavano, di donne, di chiacchere al femminile.
Ho pensato quanto questo fosse razzista, quanto la questione dell’appartenenza (sessuale, culturale, etnica, politica) sia preda di banalità.
Per dire che le donne ( ma si potrebbe dire di qualsiasi altra cosa) sono diverse si devono inventare categorie "speciali".
Così le donne "chiaccherano" e gli uomini "discutono", le donne si impegnano (che so magari nel sociale!), e gli uomini si sfogano (che so magari allo stadio!).
Tutto questo è terribilmente falso (io non mi svago e mi impegno nonostante non sia donna) e crea dei pregiudizi considerati positivi, ma che in realtà sono assai più insidiosi di quelli che dicono che le donne debbano stare a casa a lavare i piatti.
Perchè?
Perchè cosa rispondi a chi ti ritaglia un ruolo "prestigioso", a chi ti riconosce una "sensibilità" non comune, a chi ti "apprezza" per la tua "essenziale" capacità di "lavoro sociale"...
Di solito niente, non rispondi niente.
Dovresti rispondere: Se ti piace tanto perchè non ti schiodi dal tuo lavoro asociale e non lasci il posto a me?