chi cerca trova

sabato 24 novembre 2012

A volte ritornano: Zombusconi

Speravo di non dover più parlare di Berlusconi... Speravo che il centrodestra avesse chiuso con il suo peggior nemico, con colui che per vent'anni ha trasformato entrambe(DX e SX) le scelte politiche in monnezza, colui che ha creato il suo peggior emulo: Grillo. Niente, come la peggior fenice risorge dalle ceneri della democrazia che ha bruciato per vent'anni.
Borbotta, vestito da Sopranos, assurdità che richiamano l'ospizio: "Il Pdl ha subito una decadenza di risultati per il semplice motivo che io non c'ero più. Adesso questa situazione la stiamo ripensando e siccome credo di capire più di tutti in Italia quello che si deve fare, sto pensando di utilizzare la mia esperienza in una maniera concreta"
E' incredibile! Ha passato gli ultimi vent'anni della sua vita ad esserci... ed è per questo che siamo ridotti a pregare Monti di salvarci il culo. Ha passato gli ultimi 40 anni ad utilizzare la sua esperienza per farsi i comodi suoi, e non il bene dell'Italia ne tanto meno quello del centrodestra. La sua esperienza è ciò di più oscuro, disonesto (finalmente c'è una sentenza a dirlo dopo anni di politica dell'anguilla per non farsi giudicare), illiberale e stalinista mi venga in mente. La sua concretezza? Non una riforma degna di nota, solo tagli e favori ai preti e agli evasori spacciati per riforme epocali, non una liberalizzazione, non un'abolizione di ordini, non una riforma del lavoro e sociale (altro che la sperata flexsicurity) solo frottole, frottole e frottole e tante frittole diventate inutilmente deputate e consigliere. Concretezza?
E' sempre colpa degli altri: Casini, gli elettori stupidi, Monti, i deputati, i partiti, le cavalette, i giudici, la Merkel, mia nonna buon anima... mai che si prenda la responsabilità di vent'anni di malcostume, di innominabili nominati alle camere, di politica ad personam, di marchette a Bossi, di svendita del patrimonio culturale italiano in nome della figa... mai nulla, è sempre colpa degli altri. Un vero italiano.
La nuova ricetta? Riforme istituzionali quindi riforma della costituzione quindi un solo partito con la maggioranza assoluta!
Il duce era assai più democratico! Oltre che più intelligente e politicamente onesto.
Spero che i destri amici, onesti, sinceri, colti lo abbandonino al suo destino... che comunque sarà meglio di quello che, grazie alla sua politica mafiosa e illiberale, ci sarà destinato.

giovedì 1 novembre 2012

Partiti politici... Simone Weil... M5S

Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici (1950)
  • Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.
  • Un partito politico è un'organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.
  • Il fine primo e, in ultima analisi, l'unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perchè quelli che lo circondano non lo sono di meno.


Son passati 70 anni da queste parole... un attimo. Strano che il libro appena ripubblicato in Italia sia così attuale. Forse se ne passavano una copia clandestina Berlusconi, Grillo, Bossi... almeno così verrebbe da pensare leggendo i fumosissimi programmi dei tre aspiranti (o aspirati) ducetti.

martedì 30 ottobre 2012

La matematica ai tempi di Grillo

Non sono mai stato un grande matematico... eppure anni di sociologia applicata mi hanno fatto apprezzare le capacità profetiche di vedere i numeri in sequenza, affiancati, giustapposti. Visto che per me la statistica, come la matematica, sono arti creative vi propongo questa interpretazione del voto siciliano.

Nel 2008 il PDL nel voto di lista aveva preso il 33,5%. Niente male! Il Movimento 5 stelle, ancora embrionale, si era presentato come "Amici di Beppe Grillo - Con Sonia Alfano" ed aveva raccolto un meritatissimo 1,7%. Esattamente quanto, in un paese civile, il partito di un barzellettiere dovrebbe prendere. Ovviamente lo stesso discorso varrebbe per il PDL.
Nel 2012, ieri, il PDl raccoglie un onesto 12,9%... e guarda un po' il M5S (veramente vorrei capire se Berlusconi e Grillo hanno lo stesso copywriter!) prende il 14,9. Una differenza per il PDL di -20.9% e di 13.2% in più per Casaleggio e affiliati. Ora se la matematica non mi inganna 20,6- 1.7= 18,9. Vi viene in mente qualcosa? No? Sembrerebbe, ma sono andreottiano, che proprio tutti (o quasi) i voti persi dal PDL siano magicamente confluiti nella lista M5S andandosi a sommare all'1,7 di duri e puri grillini della prima ora.
Un po' come nelle elezioni del '24. Non vi piace il paragone? Un po' come la Democrazia Cristiana e la Lega in Veneto nel '92/94. Neanche questo? Un po' come il partito socialista il Forza Italia nel 1994.
Certo potrebbero essere che tutti i pidiellini abbiano preferito stare a casa ma è certo che quelli che hanno votato la volta scorsa (nel 2008) siano rimasti un po' a casa. Eppure i voti della sinistra sembrano essersi spostati a sinistra, un po' qua e la, ma sempre nella stessa area: IDV (ammesso che sia di sinistra), Sel, Verdi, visto che i valori percentuali non crollano per i piccoli sinistri. E' ragionevole pensare che l'astensione si sia spalmata su tutti destri e sinistri, e per questo che è meglio ragionare in termini percentuali.
Ma la cosa più affascinante è sul voto al Presidente. Escluso che i PDL duri e puri (o meglio quelli più filoberlusconiani) abbiano potuto votare per un frocio comunista, c'è da chiedersi cosa, quelli che non sono andati a fare un picnic, possano aver votato. Che cosa?
Anche qui la matematica è creativa. Mi dice che nel 2008 il buon Lombardo prese un galattico 65.4%. Oggi, anche sommando al PDL, l'UDC e l'MPA, che hanno strategicamente smesso di frequentare brutte compagnie, si arriva ad un dignitoso 51,9%. Ipotetico, ma è giusto per giocare a risico elettorale. La differenza (fra 2008 e 2012 con le stesse aggregazioni) è un bel 13,5% pericolosamente vicina al 15.8% di voti nuovi del M5S.

E per fortuna che non so fare i conti...

mercoledì 24 ottobre 2012

Mara mao perché sei grillo?

É  mai possibile che le cose più ragionevoli le dicano sempre i fascisti? Quelli veri...

Si scrive Grillo ma si legge Mao Zedong di Filippo Rossi

«Ogni tanto bisogna guardare il grande cielo azzurro e tirare il fiato» dice Beppe Grillo festeggiando la prossima chiusura di settanta giornali italiani. Un motto, con quel “grande cielo azzurro”, che pare uscito dalla bocca del timoniere Mao, più che da un comico genovese divenuto capopolo. E poi uno pensa alle dimissioni in bianco fatte firmare a tutti i candidati del movimento cinque stelle alle regionali siciliane, oppure alla retorica dell’assalto al Palazzo condotto senza tanti complimenti, perché la rivoluzione che non è un pranzo di gala, ai giovani arruolati per diffondere la ribellione nel paese, alle strutture partitiche sostituite dal carisma del leader (che non ha bisogno di candidarsi a nulla, né di essere eletto, per esserlo) e ai programmi politici sostituiti dalle visioni futuristiche del guru Casaleggio, o ancora alle epurazioni, ai proclami sulla democrazia diretta, ai toni da guerra civile. Uno pensa a tutto questo e si rende conto che, sì, c’è qualcosa di maoista in Beppe Grillo. Così come c’è – anche al netto del colorito, del volto imbolsito e dei capelli laccati – in Silvio Berlusconi, pronto a sfasciare il Pdl e a “rieducare” qualche vecchio dirigente per plasmare una nuova generazione al servizio della causa. E non è certo un bene, questa china rivoluzionaria che rischia di farsi sempre più scivolosa, man mano che si avvicinano le elezioni. Non è un bene, per un paese come questo. Che sembra incapace di affrontare le sfide della storia se non ricorrendo a qualche “atto di forza” dal sapore rivoluzionario. Proprio quando l’unica forza utile sarebbe quella di una politica normale, un po’ più noiosa e un po’ meno maoista.

domenica 14 ottobre 2012

Facebook è come la TV

Nessuno mi crederà mai ma nel 2006 dissi che Second Life sarebbe stato un flop: troppo noioso, troppo videogame. Oggi sfido chiunque a ricordarselo, farà la fine dei Duran Duran...
Dissi che le comunità di lavoro erano il futuro: non solo i forum, le chat ma i luoghi di condivisione aperta come social network (FB) o chiusi come Moodle (o oggi Likedin). 
I miei amici smanettoni mi guardarono con un misto di commiserazione e curiosità... comunque io sono iscritto Facebook del 2006, prima dalla maggioranza dei miei "amici di FB"... ed oggi ne sono fondamentalmente annoiato. 
La prossima previsione? 
Abbandonare i social network e tornare a far politica, comunità per strada. Dimenticare il virtuale a favore del reale. 
In questo Twitter è più interessante di Facebook. Ci sono tre cose che Facebook non ha: 
  • la sintesi 
  • la notizia 
  • l'idea 
Per contrasto Facebook ha tre cose:
  • la discussione
  • l'evento 
  • la partecipazione o meglio la partigianeria 
Insomma è come la radio vs la televisione, la politica vs la propaganda. Così Twitter è la moderna radio, è un moderno modo di fare azione politica.
Le prime stimolano i pensieri, informano e ascoltano. Come la buona radio, e la buona politica.
La televisione e la propaganda discutono senza ascoltare. Hanno bisogno del palco, hanno bisogno di scenografia, sollecitano la vista, inducono alla magnificenza, alla mostruosità, il tutto per essere guardati, osservati, seguiti e non solo visti.  
Facebook è la televisione dei cazzi vostri a dimensione personale. Trovi di tutto, in un guazzabuglio informale, in un palinsesto costituito da servizi più che da programmi, fatto da format universali: poke, ilike,share, tag, fan. Così come il palinsesto televisivo è fatto dalla pubblicità, quello di FB è fatto dai messaggi non richiesti.

Il sogno, l'incubo dei teledipendenti: farsi il proprio programma con format fighissimo.
Basta condividere le informazioni, le proprie inutili banalità quotidiane che, proprio come fa la peggiore televisione, diventano spettacolo, esposizione.
Il gioco sta nell'allargare il proprio pubblico, ovvero più contatti, più amici. Una sorta di Auditel di se stessi. Infatti ogni giorno sono le peggiori trasmissioni televisive ci chiedono di usare FB come teste di fruizione, come ipocrisia democratica. E ora lo fanno anche i peggiori politici e a volte anche i migliori.
Facebook è basato sull'apprezzamento, sulle manine con pollice (in)verso, sul numero di amici. In modo meno sofisticato lo sono ormai tutti i canali commerciali del web 2.0. Non conta più la qualità oggettiva (o almeno un barlume d'essa) ma l'opinione meteropatica del cliente/amico. È un approccio molto pericoloso, spinge i fruitori ad esporsi, a rafforzare la propria immagine per essere apprezzato (ovvero per aver un prezzo riconosciuto, come una qualsiasi merce).
Così le passioni diventano ossessioni e tutti diventano esperti, i massimi conoscitori: la musica non è più ascolto ma decine di inutili video. Il cibo lo stesso: foto di piatti per dimostrare la nostra capacità alimentare, di ingurgitare quanto di preparare. Infine sentimenti sono esposti al pubblico, senza censure, senza pudore: foto, video per dimostrare che il grande amore è finito, che non è ancora arrivato, che mai arriverà. 
La condivisione diventa, esattamente come per la TV, esposizione, esagerazione.
Le foto che mettiamo (postiamo scusate) ci rappresentano o sono la rappresentazione della parte migliore/peggiore ad uso pubblico. Mettiamo foto belle o mettiamo foto che possano piacere? 
Il desiderio di pubblicità è certo commisurata all'uomo, tutti, io per primo. 
Chi non ha avuto un'adolescenza, una giovinezza di narcisismo timido, non ha vissuto. 
Facebook sembra invece fatto apposta per chi ha rimpianti o per chi non riesce a legittimarsi nella vita reale.
C'è chi usa le potenzialità del mezzo,  chi senza  Facebook sarebbe comunque un leader carismatico. I leader naturali hanno vita facile: possono scoprire l'effetto che fanno. Ci sono casi rari, rarissimi che si espongono con naturalezza unica, e sono certo che sono curiosi dell'effetto che questo provoca. Sono arditi ma allo stesso tempo consapevoli, cosa che non si può dire del maggior parte dei frequentatori. 
La consapevolezza è chiave di tutto. Come sempre dall'altra parte. La media dei fanatici dei social network hanno solo una parte della consapevolezza: quelle esterna. 
Sanno che li vedranno tanti amici, quanti quanti ne può contenere l'intero mondo, il loro piccolo mondo. In realtà non sanno, mancano di consapevolezza, nulla del proprio mondo, della propria vita messa alla berlina.
Chi consapevole di questo espone solo ciò che può non distruggerlo, ciò che lo contraddistingue dalla massa di amici. Insomma Facebook è come la tv: se ne diventi oggetto, parte dello spettacolo, sei inconsapevole eterodiretto. Se, cosa assai rara, ne diventi agente, attore mortificante, in grado di coglierne i difetti e sfruttarne i pregi, allora modifichi il corso degli eventi. Così Facebook: se  sei solo uno dei tanti amici che compone il palinsesto è pericoloso ed inutile. Se ne cambi il senso, lo strutturi a tua immagine e somiglianza, forse è utile. Forse
 

sabato 13 ottobre 2012

I video non servono, anzi

ho visto e rivisto il video del bambino di Cittadella. Ho letto opinioni, interviste, sentenze.
Ogni volta c'è qualcosa che mi turba, mi infastidisce, mi suona strano, preconfezionato, costruito.
Ho visto il video... e già questo mi infastidisce. Perchè la zia, i nonni, amici sostavano davanti alla scuola? Perchè?
Perchè la zia ha un telefonino con la telecamera accesa e riprende tutto? Perchè urla come un'ossessa? Perchè incita il nipote a ribbellarsi? Perchè questi parenti strattonano la polizia, insultano i funzionari, minacciano?
Cosa minacciano? Galera e televisione.
Cos'ha a che fare tutto questo con un accompagnamento di minore su ordine del giudice, alla presenza di assistenti sociali e funzionari di polizia?
Certo è facile accusare la mala giustizia, la polizia, i servizi, il padre di non aver considerato il minore... Ma è successo veramente così o come a me sembra la vera "sorpresa" se la sono trovata i poliziotti?

A me non interessa sapere se ha ragione la madre, il padre, ne mi interessa sapere se il minore sia stato o meno ascoltato.
So che in questi casi nulla è semplice, nulla è come si vede. Ho visto, e partecipato, a visite protette. Ho vissuto sulla mia pelle professionale un allontanamento coatto di tre bimbi dal padre. Ho fatto il mio dovere, ho evitato che il padre potesse avere contatto con i bimbi, così come mi era stato chiesto. Non sapevo se ciò fosse giusto o sbagliato se fosse buono o cattivo, sapevo che di questo si sarebbero occupati altri, familiari, psicologi, assistenti sociali, tribunali. Io non potevo che fidarmi.
Eppure nella disperazione era tutto ovattato, tutto si faceva cercando di evitare il clamore, la contestazione, la pubblicità di un caso che tutto doveva essere tranne che pubblico.
Mi chiedo se fosse successo a me educatore trovarmi la sorella del padre urlante con telecamera in mano a cercar di portarmi via il ragazzo che mi avevano affidato. Cosa avrei fatto? Quattro chiacchiere al bar?

C'è qualcosa di malsano, di orrendo nella pubblicità che ogni giorno viene dato al privato, tutto è pubblico e sono gli stessi che dovrebbero pretendere il rispetto di un minore, e lo urlano scompostamente, che per primi violano la sua integrità psichica.
Non capisco perchè debba bastare un'immagine mosaico del viso del ragazzo per tutelarlo, pensiamo veramente che la presenza della telecamera dei parenti urlanti, della violenza contro i funzionari abbia tranquillizzato il ragazzo, l'abbia messo nelle condizioni di comprendere la situazione e di reagire diversamente? Veramente pensiamo che se non ci fosse stata la telecamera e le urla il tutto si sarebbe svolto allo stesso modo?
Guardate le prime sequenze quei frammenti in cui la zia corre, come in un film dogma (e con la stessa pesantezza intellettuale),urlando. Il ragazzo si intravede in piedi, inizia a divincolarsi a dire frasi fatte, frasi adulte, appena si accorge dell'arrivo della parente.
Mi chiedo se la parente non fosse accorsa? Se invece, civilmente, i parenti materni si fossero recati in questura, al tribunale dei minori, ai servizi sociali, alla comunità... forse oggi avremmo un bimbo triste ma con una speranza di potersi ricostruire una vita con due famiglie. Grazie a quel video ci saranno solo vinti e nessun vincitore.

giovedì 11 ottobre 2012

un tratto(pen) di strada


La mia penna preferita è oggi, da un po' di quaderni a questa parte, il trattopen. Vi ricordate quel siluro nero dall'aria un po' anni 80. La ghiera dentata del cappuccio, i tre bucchetti a fiore in cima. Impugnatura liscia semplice. Incastro del cappuccio tenace. Solo una piccola scritta bianca con un simbolo della fila, tratto scritto minuscolo corsivo e PEN maiuscolo tutto il corpo uguale: trattoPEN.

La penna è la sua punta, il suo inchiostro che mai tradisce, mai salta, mai e poi mai sbava. Mi hanno spiegato che si tratta di una punta di feltro, o almeno così è chiamata. Non so che inventato il sistema ma è ottimo. Mi hanno detto che esistono refil con lo stesso sistema. Dovrò aggiornare le altre mie penne. Un po' mi dispiacerà abbandonare il tratto, ammesso che lo faccia.
Una delle migliori caratteristiche del trattopen è che fa rumore. Non scivola, cammina sul foglio. La velocità, la liquidità delle altre pen, gel, roller è fastidiosa. Lascia dietro di sé una odiosa scia di incompiutezza, di banalità. Il leggero grattare, incontrare le asperità del foglio, superarle scavando il percorso, costruendo una strada fra le fibre... è una penna operaia, costruisce e non copre e basta.
Il foglio scritto non è solo un tavolo a cui attaccare le lettere, per quanto dissi indissolubilmente, come un centone di lemmi appiccicati a formare pensieri altrui; il foglio diviene un campo da coltivare, arare e seminare di lettere che solo alla fine diventeranno prodotto, frutto, ed è allora che saremmo creatori divini costruttori di logos.
Un pensiero che cresce, che nasce, prima di essere tramandato dalla mente al medium, dall'essere al divenire. La parola diviene così alimento per altre menti che a loro volta semineranno altrove propagandandosi all'infinito.
In questo tempo si perde il senso uditivo del processo della scrittura ormai relegata a mera digitazione e visualizzazione. Il primato del binomio vista/tatto si disequilibria a favore della vista, abbellendo la scrittura di caratteri forme e colori pleonastici, modificando infinite volte se stessa, senza lasciar traccia di se, in silenzio...


mercoledì 10 ottobre 2012

Intergenerazionalità


Non approvo la "solidarietà generazionale" che, secondo me, favorisce il disprezzo tra genitori e figli. Un padre che ha un figlio per amico non solo è controsenso, ma può essere pericoloso. Padre e figli, per natura, sono nemici, e mantenere questa condizione conviene ad entrambi.

John Steinbeck, Conversazione a Sag Harbor

I veri danni di Berlusconi

Il vero danno di Berlusconi? Aver provocato la distruzione della politica, trasformando il Parlamento, in un mercimonio di cariche e prebende, la politica in macchietta e il potere mafia. Questo mi ha portato a riconoscere come utile e direi indispensabile un governo di tecnici.
A me piace la politica non l'antipolitica. I governi tecnici sono una via di mezzo: non antipolitica ma neanche politica, sono impolitici. 
Come i bambini nel limbo non sanno di peccare, peccano per  principio e non possiamo né punirli né benedirli, e tanto meno sperare di battezzarli. Il governo tecnico è questo: limbo per la politica. Io preferisco l'inferno, o in alternativa il paradiso, visto che il purgatorio è l'unico che ho visto...

La politica dovrebbe fare l'interesse di tutti, o meglio di ognuno dei membri della polis, della comunità. Lo Stato, ovvero i suoi apparati, detiene il potere a nome di tutti i suoi componenti, di tutti cittadini. Lo può fare democraticamente o dittatorialmente. In entrambi i casi la detenzione del potere è sempre rappresentativa dell'universalità.
Lo Stato è un'entità mutevole, condizionata dalla sua stessa composizione umana. La politica è come uno stormo di uccelli: se si muove insieme costruisce figure, se ognuno si muove per conto suo non costruisce niente.
Berlusconi ha distrutto la politica, ha trasformato la politica in mafia, e non come tutti credono, la mafia in politica. La mafia è un'organizzazione criminale che ha i propri interessi,  questa la è sua natura. Non può fare interessi di chi non è affiliato.
Berlusconi ha ridicolizzato il principio dell’alternanza, per cui chi governa decide e applica un programma per il bene di tutti cittadini. Ha spacciato la politica dell'imposizione di parte come efficienza e novità: Governo io e applico il programma per il bene dei miei elettori. Gli altri, i non affiliati, sono: delinquenti, coglioni, comunisti eccetera. Questa è la traduzione della politica in mafia: si fa solo il bene di parte. Chi non si affilia è un nemico.
È peggio della dittatura. La dittatura non ammette diversità, non ammette, paradossalmente diseguaglianze. Si è tutti uguali di fronte al potere, si è parte del potere, essenziale ingranaggio del tutto, del totale appunto. La differenza fra uno Stato e un antistato (come la mafia) è tutta qui: la mafia non aspira a diventare Stato, ma aspira a controllarne il potere senza inutili orpelli etici o peggio democratici.
La mafia detiene il potere ma rappresenta solo se stessa. È sempre escludente, minoritaria ed esclusiva. Il governo Berlusconi è stato così: profondamente mafioso, ovvero un governo che ha privilegiato solo i propri interessi, non curandosi degli altri ma scaricando su chi non è affiliato le responsabilità. 
Così gli italiani si sono divisi in due: gli italiani, ovvero gli affiliati, e tutti gli altri: coglioni, comunisti, deficienti, terroristi, teppisti, violenti, incapaci. Non erano solo nemici semplicemente non erano italiani. Come disse il mai compianto Brunetta: erano l'Italia peggiore, dunque per esclusione tutta l'Italia tolti gli affiliati a Berlusconi. 
Come per la mafia chi non è affiliato, si è pentito o ha cambiato idea diventa semplicemente un infame, un traditore. Ancora oggi la colpa è di chi ha tradito e chi ha abbandonato la cosca, non del padrino che non ha mantenuto le promesse. 

-scritto nel novembre 2011- 

sabato 6 ottobre 2012

PD: primarie giovanilistiche (1/11/11)

Vecchie considerazioni (1/11/11) purtroppo attuali: Renzi, Fini e Vendola...
 
e noi a parlare di dialogo fra generazioni. Che sia stato proprio il presunto dialogo a far saltare il patto fra generazionale che vedeva i vecchi ciclicamente sconfitti dai giovani? O meglio: non è che questa presunta diatriba fra giovani e vecchi nasconda una più infida eliminazione della classe di mezzo: gli adulti?

È di questi giorni (1/11/11) una ridicola querelle sui giovani e i vecchi del PD.
La cosa più triste e ridicola è che i giovani sono dei "marmocchi" di 35/40 anni! e che i vecchi sono dei signori di 55/65 anni.
Questa semplice constatazione dell'età farebbe ridurre, in un paese normale, la questione a oscenità intellettuale.
La verità è che sotto i venticinque anni, in Italia, neanche si esiste, che gli adulti di 25/35 anni sono ancora "troppo giovani" per ambire al potere vero, e che i 35/45enni sono giovani al potere solo per concessione degli over 60 e poco meno. Insomma gli adulti devono solo fare i giovani, occupare posizioni in quota protetta (come le donne, gli omosessuali, gli immigrati, i disabili), per concessione dei vecchi.
In questo destra, sinistra (e centro) sono identici.
Trovo ridicolo che per esprimere le proprie adulte idee gli adulti (dei partiti) debbano continuamente ringiovanire per accondiscendere altri uomini (ex)adulti come loro che meriterebbero solo la pensione.
D'altronde possono dei giovani avere idee non innovative?
Questi giovani ben invecchiati (quarantenni) spacciano come idee innovative delle normali riflessioni di politici scafati, usano tecniche e approcci furbetti, giovanili più che giovani.
Nessuno di questi ricorda quand'era giovane. A volte penso che molti di loro non siano mai stati giovani.

Ad esempio quel Renzi, il rottamatore, è un vecchio democristiano di 40 anni scarsi.
Porta avanti idee, alcune condivisibili come l'abolizione del valore legale del titolo di studio, non certo nuove e innovative, anzi.
La realtà è che la politica innovativa in Italia non la fa nessuno ne giovani ne adulti ne vecchi.
Non la fa certo quel 60 enne di Grillo, uscito dall'Uomo qualunque in salsa noglobal, ne Di Pietro, 60 enne, ne Bersani, e tanto meno Berlusconi o i suoi schiavi 40enni come Alfano.
I più creativi, o meglio i più politici, sono Fini e Vendola.
Due teste pensanti accomunati dalla ricostruzione di un'identità di sinistra e di destra diversa dal conservatorismo del PD(L).
E non sono giovani ma, al contrario dei giovani alla Renzi, sono adulti che fanno gli adulti, senza ammiccare ai giovani ma coerentemente esercitando una leadership che si sono meritati sul campo.
Che sia questo la vera soluzione?
Leadership chiare, oneste...senza età.

mercoledì 25 luglio 2012

Ancora provincia 1

ho due motivi per parlare di Provincie con cognizione di causa:
  1. ho raccolto le firme, in anni assai lontani e per nulla sospetti, per un referendum radicale sull'abolizione di tutte le Provincie, cosa di cui mai mi sono pentito.
  2. ho lavorato per 8 anni (mese più mese meno) per la Provincia di Pordenone in qualità di consulente
a questo aggiungerei che sono, sono stato e sarò federalista, autonomista e sardista (e perchè no friulanista) nonostante gli ultimi venti anni di nazileghismo che hanno ridotto questi concetti a barzelletta o peggio a mostruosità.
Aggiungo, a mia discolpa, che hò tirato un sospiro di sollievo quando la Sardegna (i sardi) ha abolito, con referendum, le 4 mostruose, insensate Provincie create solo pochi anni fa.
Eppure la scelta fatta da Alessandro Ciriani di difendere la Provincia di Pordenone mi trova terribilmente concorde.
Mi convincono le motivazioni, le modalità e la sincerità della difesa.
Due sono le motivazioni di fondo che non mi hanno convinto:
  1. l'attacco feroce all'Autonomia Regionale e alla specialità
  2. le ragioni puramente contabili (venate, ha ragione Alessandro, di un certo populismo)
Parto dalla seconda per cui mi accaloro  meno. Le ragioni di riduzione della spesa (lascio gli inglesismi a quando lavoro) sono sacrosante. Lo Stato italiano è abituato a vivere abbondantemente sopra le proprie possibilità, è fondato sulla intoccabilità dello status quo, sulla permanenza delle corporazioni, degli albi, dei privilegi, su un approccio alla politica mafioso, basato cioè sul ricatto e non sullo scambio. In fondo siamo uno stato delinquente di natura poichè privilegia il potere diffuso e arbitrario alla democrazia.
Dunque sono (sarei) felice delle liberalizzazioni, sarei felice dell'abolizione degli ordini, albi etc, sarei felice dell'abolizione della sudditanza ad un paese straniero (e parlo del Vaticano non della AmeriKa). Insomma nessuna titubanza... forse. Eppure non vedo aboliti gli ordini, non vedo aprire il mercato del lavoro, non vedo dismettere Eni e le fabbriche di Stato varie, anzi vedo sovvenzionare con i soldi pubblici anche fabbriche private.
Le Provincie si e mi viene il sospetto che si cerchi un capro espiatorio politico/istituzionale.
Ma torniamo a Pordenone. Dire che tutto va bene è folle, dire che tutto è stato risparmiato, controllato, ottimizzato è esagerato. Ma dire che è un pozzo senza fondo...
Per anni uno dei giornali locali si è divertito a pubblicare i miei fantasmagorici incarichi da consulente ( ho comprato una Ferrari l'anno con i guadagni da consulente... è che le tengo nascoste per paura del fisco e giro con una Modus del 2005 per vezzo snob). Lo ha fatto in nome della trasparenza della lotta agli sprechi. Così chiamavano sputtanare dei professionisti, precari, precarissimi, preparati e selezionati. Da quel giorno ho capito che la strada per l'inferno è asfaltata di buonissime intenzioni, sulla pelle degli altri. Oggi si spara ad alzo zero contro la Provincia di Pordenone facendo di tutta l'erba un Fascio (e non me ne voglia Alessandro per il paragone subdolo...)dimenticando che prima di tagliare i costi si dovrebbe controllare se veramente si risparmia. Ciriani dice che ci costerà di più ma anche se così non fosse, il giochino vale la candela? Delegare le decisioni politico amministrative di un territorio alla Regione ha sempre senso? O, come io penso, ha senso solo in presenza di una cattiva politica e cattiva amministrazione? Tagliare una Provincia di 51 comuni, di cui 24 montani, ha senso se questa è l'unico collante per politiche di pianificazione territoriale? Lasciare Trieste con 6, dico 6, comuni ha senso?
Il problema son le competenze. La Provincia non dovrebbe occuparsi di soldi, non dovrebbe dare contributi, ne gestire servizi ma dovrebbe essere quell'ente intermedio in grado di governare (autonomamente) le politiche di interesse sovracomunale.
Snello, snellissimo senza apparati, senza grandi budget ma con una forte, autorevole, decisionale capacità politica di modificare il tessuto socioeconomico e culturale di un territorio.
Faccio un esempio pordenonese: l'aggregazione sotto un unico nome delle maggiori manifestazioni (comunali) musicali estive ha un enorme valore politico, molto maggiore delle poche decine di migliaia di euro date alle singole associazioni. Il forum fattorie sociali, almeno nelle mie intenzioni quando lavorai a questo credo con passione, è una rete sovracomunale, intersettoriale in grado di rappresentare un valore aggiunto politico che giustificherebbe da sola l'esistenza delle Provincia.
Mi si dirà: perchè spendere milioni di € per mantenere queste inezie? Perchè i milioni di € servono a mantenere gli apparati e non a creare innovazione politica.
La politica non è far di conto, per questo bastano i commercialisti (e per quanto mi riguarda Tremonti è stato più che sufficiente), ma far si che la democrazia sia applicata, che chi governa si assuma oneri e onori, ed eventualmente disonori, di ciò che fa in nome del proprio elettorato e per conto di tutta la cittadinanza.
La domanda è: la Provincia di Pordenone ha svolto, nel bene e nel male, questa funzione? O ha, come dicono i tagliatori di enti, solo sprecato?
Il problema è politico più che contabile ed io credo nel assunto: se la politica è efficente le spese sono sempre giuste(o   meglio giustificate per evitare un approccio etico).
Qual'è il criterio con cui si giudica un'amministrazione pubblica eletta a governare un territorio, piccolo o vasto che sia? È la quantità della spesa o la qualità della stessa?
Io penso che sia la qualità a distinguere una buona amministrazione da una cattiva e penso che si dovrebbe tagliare, rimodernare, riordinare, sopprimere, accorpare gli enti che non producono qualità e che la spending review (chissà perchè gli italiani pensano che parlare inglese sia il miglior modo per parlare per eufemismi) si debba fare sulle inefficienze e non sulle efficienze.
Ad esempio delegare ai singoli comuni la programmazione di un sistema integrato di inserimento lavorativo per i lavoratori svantaggiati (sociale/sanità/lavoro) è efficiente? un piccolo comune può amministrare da solo il ricollocamento di un giovane svantaggiato non in carico ai servizi sanitari? O lo farebbe meglio una Regione che dovrebbe avere il compito di legiferare sulla materia e non di trovare le aziende dove ricollocare... Insomma se le scelte politiche sono chiare, le leggi lo sono di conseguenza e l'amministrazione politica locale le attua con profitto. O almeno così mi piacerebbe che fosse.
Purtroppo i tagli lineari distribuiscono le colpe delle inefficienze su tutti e, a ricaduta, continuano a giustificare i delinquenti e a penalizzare i virtuosi.
Negli enti pubblici le cattive prestazioni lavorative non possono essere sanzionate o eliminate, rovinando l'intero cesto delle mele sane, in nome di una politica lavorativa basata sul privilegio acquisito non sulla competenza, bravura e adeguatezza al compito. Allo stesso modo le amministrazioni locali non possono essere valutate e conseguentemente ridimensionate (anche temporalmente) per la loro inadeguatezza o meglio per la loro non corresponsione al mandato elettorale, squisitamente politico. Così è meglio dare poco a tutti che il giusto a chi se lo merita.
Fosse per me taglierei la Regione FVG, che in uno delle poche intuizioni condivisibili dell'ultimo libro di D'Aronco per il resto inutilmente filoleghista, viene descritta come mostro bicefalo tutta racchiusa nella sua dicitura Friuli-Venezia Giulia, in quel suo trattino che l'onorevole dibisceglie ha stupidamente fatto togliere. Quel trattino raccontava tutta la storia...

sabato 21 luglio 2012

provincia di Pordenone... un taglio poco speciale


purtroppo invece di premiare la buona politica, prima ancora che la buona amministrazione, si decide di tagliare solo in funzione di abitanti e Kmq...Io sono un vecchio autonomista e questa ingerenza nazionale mi rattrista terribilmente. Il FVG è speciale per un motivo, così come la Sardegna, ma, in nome di una crisi terrificante, la Specialità, l'Autonomia non sono più valori ma bilanci. Fosse stato per me avrei abolito TS e Go facendone un'unica città metropolitana... Purtroppo siamo figli dei tempi che ci siamo meritati. Ridisegnare le autonomie locali non può significare non tener conto della cultura, del tessuto socioeconomico e della politica: va bene accorpare, tagliare, ridurre ma mi sarebbe piaciuto che lo si facesse con altri criteri che il n° di abitanti e i Kmq.

mercoledì 11 luglio 2012

e il friulano chi lo tutela? I leghisti?

Ora si dirà che è colpa di Monti. e non di 20 anni di leghismo che ha trasformato l'autonomia in burletta, la friulanità in padanismo, di aver creato il substrato culturale per cui i diritti possono essere oggetto di spending review...

Roma mette a rischio la tutela del friulano di Maura Delle Case

UDINE. Le grinfie della “spending review” si allungano anche in campo linguistico ipotecando pesantemente la futura tutela del friulano. Nel decreto legge numero 95 del 6 luglio scorso, il governo Monti cancella infatti senza alcuno scrupolo la marilenghe dalle lingue considerate minoritarie. L’amara sorpresa sta nell’articolo 14, comma 16, della manovra per la revisione della spesa pubblica, laddove si definiscono le aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica: per il governo sono da considerarsi tali solo «quelle nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera».
Il passaggio è un pugno allo stomaco per i friulanisti, per i linguisti e per gli amministratori regionali che ancora una volta, nel giro di poche settimane, assistono a un’invasione di campo e si dicono pronti a reagire. Ma veniamo agli effetti della manovra sulla marilenghe. Per ora questi dovrebbero riguardare solo l’organico della scuola e in particolare i dirigenti scolastici degli istituti con meno di 600 alunni, autonomie che nel recente piano di dimensionamento varato dalla Regione avevano invece beneficiato della dirigenza, a partire da un minimo di 400 alunni, proprio in virtù della deroga concessa ai territori con minoranze linguistiche. Oggi le autonomie scolastiche in Regione sono complessivamente 172, se la norma verrà confermata così com’è oltre una decina di queste (secondo Cgil addirittura 40) sono destinate a rimanere senza “guida”.
L’assessore regionale all’istruzione, Roberto Molinaro, conferma: «La norma, che stiamo approfondendo proprio in queste ore, prevede un’interpretazione restrittiva del concetto di aree geografiche con presenza di minoranza linguistiche che si limiterebbero – dichiara Molinaro – alle sole con minoranze di lingua madre straniera, vedi tedesco e sloveno. Completamente diversa era l’interpretazione data dal ministero dell’istruzione nel mese di aprile, che ci aveva consentito di sviluppare il dimensionamento della rete scolastica con i paramettri delle minoranze linguistiche (definiti dalla legge 482 del ’99), garantendo l’autonomia negli istituti con un minimo di 400 alunni anziché 600. Se questa norma venisse confermata avremmo sicuramente un maggior numero di autonomie destinate a rimanere senza dirigente scolastico».
Per Molinaro la norma ha «elevati profili di incostituzionalità. Non si possono discriminare in questo modo minoranze che l’ordinamento prevede vengano tenute nella medesima considerazione. Anzitutto valuteremo il testo definitivo del provvedimento, quindi i rimedi che sono approntabili». Oltre che le eventuali reazioni. Alla Corte costituzionale il Fvg è già ricorso per il decreto Salva-Italia, nulla vieta che possa farlo nuovamente per salvare il friulano. La cui tutela, secondo il professor Vincenzo Orioles, componente del gruppo di lavoro sulle politiche e i diritti linguistici, è seriamente ipotecata dal dl 95. «La norma depotenzia i livelli di tutela e ciò – dichiara il linguista – è pericolosissimo perché ci vuole molto poco a dire che vi sono lingue “importanti”, come il tedesco, lo sloveno e il francese, e lingue meno importanti, come friulano, sardo e occitano, lingue che invece la legge 482 poneva sullo stesso piano». Orioles annuncia di voler inviare una lettera-appello ai parlamentari del Fvg: «È quantomai importante che si facciano promotori di un emendamento per sopprimere il comma 16. Il riflesso per ora riguarda “solo” i dirigenti della scuola, ma una volta introdotto un principio di debolezza nella legge, una dissimmetria, allora a rischio c’è molto di più».
Il senatore del Pdl, Ferruccio Saro, promette il massimo impegno per modificare il comma. «Faremo il possibile per emendare questa norma, che mi sembra pesantemente ingiusta nei confronti del popolo friulano».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 27 giugno 2012

Economia dell'identità


Recensione su Ippogrifo estate 2012 (nuova serie 12)

Economia dell'identità
George A. Akerlof, Rachel E. Kranton
Economia dell'identità
Come le nostre identità determinano lavoro, salari e benessere
trad. di R. Spaventa
Edizione: 2012
Collana: Anticorpi [22]
ISBN: 9788842096153

La parola identità è una parola scivolosa, ambigua e potente. Così come la parola economia. Mettere inseme economia ed identità significa rischiare una doppia scivolata, almeno che voi non siate un premio nobel dell'economia come G.A. Akerlof.
Identità è la parola chiave della storia che Akelorf e Kranton vogliono raccontarci.
Senza non si comprende perché il tentativo dell'economia di prevedere il futuro, di identificare parametri di controllo, indicatori di risultato, incentivi, perdite e profitti non abbia prodotto i risultati sperati.
Per quanto gli uomini comprino, o meglio facciano scelte economiche, su spinte individuali ciò non basta a spiegare come, a parità di condizione, alcuni ottengono risultati migliori di altri.
La teoria economica, almeno quella classica, non riconosce all'identità un peso sostanziale ma piuttosto la spoglia del significato collettivo lasciandola come variabile poco rilevante ai fini dell'utilità. Con un procedimento analitico standardizzato gli autori aggiungono variabili
«-le categorie sociali e la categoria di attribuzione di ciascun individuo, o identità
-le norme e gli ideali per ciascuna categoria
-l'utilità identitaria, vale a dire il guadagno che si ottiene agendo in conformità con le norme e gli ideali, o la perdita che si subisce quando ciò avviene.»
Tutto il saggio gira attorno alla giustificazione di questi parametri, alla loro comprensione in esempi concreti.
«Il consumo di sigarette è un chiaro esempio del ruolo giocato dalle norme sociali. Il cambiamento delle norme di genere è stata la causa più importante nel determinare l'incremento di donne fumatrici negli Stati Uniti. La teoria economica attuale punta sull'aumento della tassazione come fattore per disincentivare il fumo. Ma l'aumento delle tasse è difficile da imporre e da applicare. L'economia dell'identità amplia il campo di ricerca sia delle cause del fenomeno sia dei rimedi da applicare.»
L'identità, nonostante in Italia il dibattito sia stato ottenebrato da identità fittizie, funzionali alla politica e al potere più che al riconoscimento di un aspetto valoriale delle appartenenze, è un aspetto fondamentale delle scelte individuali.
«Nella nostra analisi, le strutture sociali sono fattori che possono limitare le possibilità di scelta. In una società dove le categorie sociali sono definite, ad esempio, da razza, famiglia, ambiente e etnia può essere virtualmente impossibile per un individuo adottare una nuova identità.»
Insomma è grazie all'identità, o per sua colpa, che i nostri comportamenti diventano collettivi.
Spesso mi trovo a discutere nelle scuole di stereotipi di genere e chiedo ai ragazzi di elencarmi le differenze che possono causare discriminazione.
É un esercizio che dà sempre risultati diversi, a seconda della scuola, della prevalenza di donne o di uomini, della presenza o meno di handicap, di stranieri, di alunni negri, ed infine di provenienza proletaria o benestante. Uso volontariamente termini politicamente scorretti perché l'identità serve a marcare la differenza, non certo l'omogeneità, anche nelle parole. Il risultato è straordinariamente simile a quello di cui economia dell'identità parla: le nostre vite prendono la strada dell'insider o dell'outsider.
I miei ragazzi sono terribilmente simili a quelli che descrivono Akelorf e Kranton: alcuni sanno di essere privilegiati altri sanno di non esserlo, o meglio tutti credono di saperlo. Alcuni sanno che per entrare nel sistema (essere insider) dovranno scendere ad un compromesso identitario senza certezza di risultato, altri decidono di rimanere fuori (outsider) ma di mantenere la loro identità.
Quanto la consapevolezza di questi meccanismi (economici) sia presente negli educatori e negli studenti è difficile a dirsi. Eppure dietro la consolatoria parola bullismo si nascondono intrecci assai più complessi che una semplicistica volontà di prepotenza ed emulazione. Gli outsider sono coloro che meglio riconoscono il fattore economico, la capacità di autoaffermazione prima ancora che di spesa, e che meglio ne individuano i limiti identitari.
«Eravamo davvero furiosi per il modo in cui gli insegnanti ci trattavano. Ci guardavano dall'alto in basso. Non ci hanno mai veramente aiutato. Molti di noi erano veramente in gamba. Eppure non c'è mai passato per la testa che la scuola avrebbe potuto fare qualcosa per noi.»
L'Italia è oggi un adolescente nell'affrontare i problemi di diversità, di politiche razziali, di genere, di contrasto alla povertà. Mai, nel corso della storia repubblicana, ci siamo trovati di fronte al dilemma economico identitario. Per venti anni abbiamo fatto finta di interessarci di integrazione, di parità di genere, di multiculturalismo, abbiamo perso venti anni a discutere di eliminazione del problema (povertà, donne o stranieri) e non della sua comprensione. Oggi, e non parlo solo della scuola, il bullismo è la parola burqua che copre l'evidenza dell'inadeguatezza del sistema comunitario, scolastico, formativo, occupazionale, sociale.
Se solo ci si ponesse, come classe dirigente, il problema di comprensione del valore dell'identità nelle azioni individuali, gli stregoni dell'economia comprenderebbero che i cattivi comportamenti, ovvero la spinta autodistruttiva, non può essere spiegata solo con i criteri economici, ma deve essere compresa con altri strumenti, diversi dalla econometria e forse anche dalla sociologia.


Poveri Aforismi


POVERI AFORISMI, Pubblicato Ippogrifo estate 2012 (nuova serie 12)

Povertà, abbondanza, miseria, ricchezza si confondono nella storia dell'umanità, sono parole intercambiabili nella vita di ognuno di noi: oggi son ricco e domani no, oggi son povero e domani anche. Bisognerebbe ragionare per parole chiave, per collegamenti semantici, come in quel gioco di psicologia spicciola: la prima parola che ti viene in mente se dico povertà?
Aforisma!
L'aforisma è di per sé povero, lascia la parola al suo significato, tralascia la carne per l'osso e lo spolpa.
Cosa c'è di più spolpato della povertà, cosa di più significativo della mancanza in favore dell'essenziale.
Cosa meglio della povertà ridefinisce i confini del proprio agire in funzione della Verità in antitesi dell'abbondanza?
Da sempre la povertà ha combattuto contro se stessa, contro l'evidenza della sua speranza di superfluo.
La povertà è ricchezza, lo dicono un po' tutti, o almeno cercano di farcelo credere. E noi ci crediamo.

Ho raccolto frasi, sentenze, motti e considerazioni con puro spirito accumulativo, il contrario della parsimonia sperando che la ricchezza delle fonti non pregiudichi la stessa povertà del contenuto o meglio che il contenuto della povertà non pregiudichi la ricchezza delle fonti.
Ossimoro finale: ho ordinato le frasi affidandomi al caso.

Un uomo è povero non già quando non ha niente, ma quando non lavora.
Charles-Louis de Montesquieu

Povero: aspirante ricco.
Charles Régismanset

Il povero e il mendicante appartengono a due classi molto differenti: il primo ispira rispetto, il secondo eccita la collera.
Honoré de Balzac

La povertà è una forma di alitosi spirituale.
George Orwell

Anche la miseria è un'eredità.
Riccardo Bacchelli

Il capitalismo è un'ingiusta ripartizione della ricchezza. Il comunismo è una giusta distribuzione della miseria.
Winston Churchill

La povertà non è un vizio; ma la miseria, la miseria è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva.
Fëdor Dostoevskij

La vera miseria è la falsa nobiltà.
Totò

Là dove si è voluto esasperare ancora di più il capitalismo, facendone un capitalismo di Stato, la miseria è semplicemente spaventosa.
Benito Mussolini

La lotta alla miseria deve essere condotta dal Governo, mentre la ricerca della felicità deve essere lasciata all'iniziativa privata. In altre parole bisogna essere socialisti al vertice e liberi imprenditori alla base.
Karl Popper

Io amo i poveri, e soffrirei in un mondo senza poveri; i poveri sono le brioches dell'anima. Giorgio Manganelli

Ci sono persone che per tutta la loro vita serbano rancore a un mendicante perché non gli hanno dato niente.
Karl Krauss

Ci sono persone che considerano necessario soltanto il superfluo.
Charles-Louis de Montesquieu

«Date a Cesare quel che è di Cesare».«Date a Dio quel che è di Dio»... Non ci resterebbe niente. Proviamo a non dare niente a nessuno dei due.
Guido Ceronetti

Il mendicante è un povero che, impaziente di avventure, ha lasciato la povertà per esplorare le giungle della pietà.
Emile M. Cioran

La ricchezza è una convinzione; la povertà una certezza.
Leo Longanesi

La miseria è una malattia. Inutile ammirarla, parlarne, ed è pericoloso volerla curare. Starne lontani dal contagio è tutto quanto una persona saggia deve fare.
Ennio Flaiano

domenica 13 maggio 2012

tanto non son figli loro...

http://video.repubblica.it/edizione/roma/migliaia-in-marcia-contro-l-aborto-basta-omicidi-di-stato/95208/93590

Tanto non sono figli loro, non sono loro le donne costrette ad una gravidanza non voluta, non sono loro le famiglie che non possono, non vogliono avere un figlio.
Tanto non sono loro preti e frati, suore e beghine quelle che rischiano la vita per un aborto clandestino, tanto non sono loro le ragazze rimaste incinta per errore, tanto non sono loro le donne violentate, costrette al sesso nolente, tanto non sono loro le straniere avviate alla prostituzione dopo stupri e violenze. Tanto non sono loro che vogliono avere una gravidanza felice, con l'uomo che amano e non con un maschio riproduttore.
Tanto non sono loro.
Beati loro che ogni scopata è santa, che ogni spermatozoo è vita, ogni embrione è bambino, ogni donna incubatrice.
La vita, ammesso che di vita si possa parlare, dell'embrione è sacrosanta ma quella della donna no. La donna è solo portatrice sana, anche malata se è il caso, di vita altrui. La donna è sempre ingravidata dallo spirito santo, anche se il santo è uno stupratore.
Questo i difensori della vita in potenza dicono, dimentichi della vita in essere: le madri sono tali solo per volontà divina e non per scelta e tutela del proprio corpo, della propria psiche.
Per difendere questo tutto è ammesso: far partorire donne malate terminali, accettare gravidanze incestuose, accettare bambini frutto di violenza, far nascere bambini nelle condizioni più oscene (degrado, povertà, disturbi psichiatrici, malattie genetiche incurabili). Tanto i figli non sono loro.
Molti anni fa conobbi una di queste oltranziste. Andava negli ospedali a convertire le abortienti, prometteva salvezza eterna e al contempo sostegno, rete di protezione, soldi. Alcune ascoltarono, altre cacciarono fuori la sammaritana. Tanto i figli non erano i suoi.
W la L.194/78, uno degli ultimi rigurgiti di laicità della storia italiana. Dopo c'è stato il caso Englaro, la L.40/2004, il family day, l'obiezione di coscienza a comando (con medici obiettori nel pubblico e, cambiato camice, abortisti a pagamento), l'RU 486, i farmacisti obiettori (che però vendono i contraccettivi).
Per fortuna c'è la crisi e questo governo avrà vita breve, altrimenti per raccattar paginate dell'Osservatore un bel decreto anticonsultori non lo toglieva nessuno.

giovedì 10 maggio 2012

destra e sinistra e il grillo parlante

dove sta zazà? a destra o a sinistra?
Repubblica, forse per preparare il terreno ad un acuta osservazione dalemiana del tipo "la lega è una costola della sinistra", chiede dove si parano i pessimi grillini. A destra? A sinistra? Al centro? In alto a Destra o in basso a Sinistra? O il contrario? Fare la doccia è di destra e il bagno di sinistra? e lo spek? Terzo polo? ne cotto ne crudo?
Grillo è sicuramente estremo, di quell'estremismo becero e conservatore, di quell'estremismo che accomuna tutti i peggiori reazionari della storia. Italiana prima di tutto. Solo per restare alla seconda repubblica (e poi dicono che bisogna fare figli... ci fossimo fermati alla prima forse staremmo meglio) Grillo è l'epigono di maestri quali Bossi, Berlusconi e Di Pietro.
Tutti, la trimurti antegrillina, erano antipolitici (o meglio lo dichiaravano), tutti erano con il popolo (anche Pol Pot e Pinochet lo erano), tutti erano rivoluzionari (col culo altrui però).
Ma grillo è di destra o di sinistra?
Grillo si inserisce perfettamente, come una supposta nel culo, nell'alveo della destra italiana degli ultimi venti anni: illiberale, populista, autoreferenziale, autocratica, plebiscitaria, violenta, antidemocratica, antiparlamentare, antieuropeista, nazionalista, antifederale, antiautonomista, monopolista, burocratica e via insultando.
La doppia BB era tutto questo e Di Pietro (se non fosse stato per un inutile problema di facciata) sarebbe stato un ottimo ministro della giustizia berlusconiana.
Il problema è: questa è destra?
Io penso di no. Penso che sia semplicemente e orribilmente pessima politica senza colore e senza ideali che ammanta di Verità delle orribili e ingiustificate banalità.
La destra è altra cosa che ancora, nonostante i timidi tentativi finiani, stenta in Italia a nascere, a crescere, a esistere.
Eppure brave persone, bravi amministratori, ottimi politici esistono: fascisti, liberali, socialisti, repubblicani, democristiani e militano ancora in quella cloaca che è il PDL, regalando la parola destra a figuri come berlusconi, Cicchitto, Gasparri, Santanchè solo per citarne alcuni.
Grillo rischia di essere un altro orribile colpo alla destra Italiana già provata da venti anni di nazionalismo celtico e priapismo berlusconiano.
Guardate i voti dei grillini. Gira e volta sono quelli della lega, dei Berluscones decerebrati, della così detta società civile che di civile non ha nulla.

giovedì 3 maggio 2012

e i bambini con la barba dove li metti?

c'è una cosa che mi affascina ed è come il tempo faccia da livella e come la retorica ci dia sopra una mano di bianco.
Pordenone, avendo esaurito la spinta over 50 del great complotto, ha scoperto che dopo il fantomatico, strepitoso, fantasmagorico, incredibile, portentoso, rivoluzionario, avanguardista, geniale periodo del punk c'è stato un altro periodo non meno fantomatico, strepitoso, fantasmagorico, incredibile, portentoso, rivoluzionario, avanguardista, geniale periodo della Perseo. Per questioni anagrafiche, sociali, geografiche e delinquenziali ho conosciuto approfonditamente l'ultimo e sopportato di sguiscio il primo.
La Perseo... e la Bilancia dove la mettiamo?
Oggi i miei coetanei, che a mala pena salutavo in cagnesco da adolescente e con cui condividevo il piacere di rovinare le feste di altrettanti coetanei che non erano ne Persici ne Barbuti, son tutti amici, siam tutti amici. Ci accomuna la nostalgia, nostalgia canaglia come diceva il poeta, di anni meravigliosi, frizzanti, alternativi... Alternativi gli anni ottanta? Alternativi i nostri vestiti da vecchi (mod, ska, rockabilly)? Alternativi nella ricerca spasmodica di vinili, cravatte, pantaloni e giacche negli armadi dei genitori, dei nonni? nei negozi demodè fra scarti dimenticati?
Si eravamo alternativi ad altri, alternativi a quei vecchi che pontificavano di quanto figo fosse stato il '77, o il '68. Eravamo alternativi a quei vecchi che ci sfracassavano i cojoni con la loro musica di merda, progressivamente vomitevole. A chi ci guardavano dall'alto in basso perchè scopiazzavamo idoli defunti o sconosciuti. Alternativi perchè preferivamo ubriacarci non ci drogavamo a dovere. Perchè non ci menavamo per la causa ideale, ma, alla buona, per la figa, per divertimento, per  la musica, per futili motivi. Quei scassacazzi ci odiavano perchè eravamo leggeri, disimpegnati, inutili. E noi odiavamo loro, immondi capelloni rivoluzionari che ci avevano fatto passare l'infanzia a suon di bombe, pistolettate e siringhe.
Ed oggi siamo noi i vecchi...che pontifichiamo di quanto figo fosse l'86... che fracassiamo i cojoni con... che diciamo che i giovani sono... che ascoltano musica di ...

Vi prego fatemi diventare adulto, fatemi ricordare l'adolescenza per quel che è stata: adolescenza! Lasciate che ognuno abbia la sua e che sia la più figa del mondo. Lasciamo la nostalgia ai vecchi. Quando sarò vecchio e non, come dice mio figlio: quando ero vecchio farò...

PS il mio archivio privato è a disposizione solo di chi ha la barba, Radar escluso.



domenica 22 aprile 2012

CV stupido

Scrivere un curriculum è un'arte. Anzi: scrivere un curriculum vitae è un lavoro. Spesso è l'unico lavoro che la pratica stessa può procurare.
Il mio curriculum è infinito, un agglomerato di informazioni stratificate, storicizzate, sofferte a volte. Non è un buon curriculum. Non lo è per la incapacità di sintesi totale e allo stesso tempo per la eccessiva sintesi particolare. Come si fa a spiegare che per anni ho studiato senza scopo quello che mi piaceva, che per anni ho lavorato pensando che fosse contorno necessario allo studio e che alla fine ho studiato quello per cui lavoravo senza però avere intenzione di farlo?
Il mio CV è scorretto nella forma: non capisco perchè debba essere cronologico quando le cose migliori stanno nel passato, non capisco perchè debba parlare di eventi lavorativi e non parlare di storia professionale. Perchè nel mio CV si deve intravedere il filo, per me chiarissimo, che mi ha portato ad essere quello che sono e non possa essere esplicito, scritto a chiare lettere: questo sono io.
Dei miei colleghi mi hanno insegnato, ed io da bravo docente ho insegnato ad altri, che in trenta secondi ti bruci una vita. Mi hanno detto che se devi competere è bene che non faccia cazzate, non scriva cazzate. Ed io ci credo, eccome se ci credo, ma sono disubbidiente o meglio civilmente disubbidiente. Tradotto: so di sbagliare ma mi piace così.
Ho letto Wisława Szymborska e mi sono sentito meno stupido, o forse ho condiviso la mia stupidità...

Scrivere il curriculum

Cos’è necessario?
E necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
È la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

giovedì 12 aprile 2012

via i delinquenti dalla lega! Lo dice Bortolotti!

A volte mi chiedo come si possa avere una tal faccia da culo...
è l mio sindaco, è stato il mio sindaco per ben 10 anni, esclusi i mesi di incompatibilità.
Ho sopportato che i miei concittadini avessero votato in massa un sindaco che ha trasformato un tranquillo paese della pianura friulana in un esempio di malgoverno, autoritarismo, razzismo, incompetenza, malaffare, spreco di denaro pubblico.
Il luogo in cui da poco meno di vent'anni vivo è stato superato solo da Adro (e ho detto tutto).
Il paese più video sorvegliato d'Italia non riesce a pagare la sorveglianza dei bambini alla materna comunale ne i supporti didattici e l'assicurazione integrativa (si capisce che ho un figlio?), il paese che ha vietato il Burqua (senza averne mai visto uno) ha permesso per anni l'assurda Fiera della musica in centro al paese (senza alcun rispetto per il paese). Il paese delle Guardie Padane (pagate a suon di contributi, anche con i miei soldi) non riesce a rendere l'unica area verde accessibile, vivibile, pubblica. Il mio sindaco che oggi spara contro i leghisti disonesti è stato l'unico caso italiano di incompatibilità autoindotta.
Si perchè invece di pagare le multe, come tutti i cittadini che corrono come forsenati e vengono beccati dall'autovelox dei vigili comunali, si è fatto ricorso. Non perchè andava piano, non perchè ingiustamente accusato di una cosa che non aveva commesso, no! Perchè i vigili erano nascosti e lui non ha potuto inchiodare!
Il Caro sindaco, che si fa fotografare con la faccia sorridente al fianco di un manichino in Burqua nell'atto di svelare la bellezza mediorientale (?), si è anche dimenticato di cambiare la scheda al cellulare di servizio (anche questo pagato con i miei soldi) ed ha chiamato lungamente all'estero... per gemellaggi personali.
Per non sbagliarsi ha anche negato la piazza agli avversari politici, giusto per ribadire il rispetto delle regole e della democrazia.
Insomma un puro esempio di integrità, autorevolezza, pulizia, che ben si colloca nel panorama della lega!

PS che io sappia non è terrone...


è un periodo meraviglioso!

Dopo che i sassi si sono accorti che i leghisti hanno preso soldi per farsi i cazzi propri, un altra buona notizia irrompe prepotente: Grillo dice che sarà il prossimo (dopo l'IDV bontà sua) ad essere perseguitato dai POTERI FORTI! 
Perchè Grillo, come è noto, è un poveraccio senza accesso all'informazione, ai soldi. Il suo M5s è nato spontaneamente su spontaneo stimolo dello spontaneo Grillo. Ovviamente senza nessun intento politico. Non ha talmente nessun intento politico che si candida ovunque con i suoi pseudonimi (perchè quelli che pensano con la testa propria, e non la sua, li caccia), e visto che i palazzi gli fanno talmente schifo che si candida a governarli Lui... e con il 25%! Spontaneo naturalmente.  Cambiando la legge elettorale, anzi con la democrazia diretta, la rete, il web, la società civile. La sua ovviamente, l'altra è incivile per antonomasia.
Vi ricorda qualcuno? Uno che inizia per B e finisce per i? Bravi sono due, avete ragione! Uno faceva il cantante e l'altro anche. Uno è divorziato e risposato e l'altro anche (alla faccia dei family day e delle tradizioni cristiane). Uno, quello alto, ha piazzato il figlio nella regione di famiglia, la badante al senato, e i compagni di sbronze al ministero dell'interno, semplificazione, giustizia, e non ricordo cos'altro. SEMPLIFICAZIONE, intendo ministero della semplificazione, cervello semplice, ministero semplificato. L'altro, quello basso, ha piazzato le sue amiche e igieniste un po' ovunque, i suoi amici son diventati uomini di stato, fini statisti, ministri di qualsiasi cosa, i suoi figli aspettano il Delfinato scannandosi amabilmente per il patrimonio.
Le prove generali della santa alleanza dell'avanspettacolo ci sono stati in Piemonte dove il buon Grillo ha regalato la regione a Cota (pure un po' terrone, e per questo a rischio di epurazione complottista da parte dei Barbari con gli Incubi). Poi le sparate sullo ius sanguinis, che nemmeno Borghezio era riuscito a capire fra un rutto e un altro, e i campi (di concentramento) nomadi da far sparire con tutto il contenuto. Insomma un crescendo rossiniano di stronzate.
Finalmente oggi possiamo ascoltare la conferma che dopo Bossi e Berlusconi possiamo ancora sperare in Grillo. E che Dio si metta una mano sul cuore prima di farci sopportare anche questo. 


martedì 10 aprile 2012

il complotto anticeltico

è un complotto: Rosi Mauro terrona, Trota 1/2 terrone, Belsito  terrone, Calderoli di Bergamo Bassa, Bossi sposato a una  terrona, Maroni fa rima con teroni, Borghezio ha frequentato da ragazzo una siciliana, Cota è mezzo pugliese, Bortolotti emigrato dalla rossa emilia!

I leghisti? Sono tutti terroni camuffati che voglio distruggere la razza padana!

Ma andate a lavorare... ladri padani!

domenica 8 aprile 2012

è incredibile...

Sono anni che aspetto.
Sono anni che dico che la lega è stata la rovina della democrazia italiana, come e peggio di Berlusconi.
Sono anni che dico che la lega ha distrutto il federalismo, l'autonomismo, il regionalismo, che ha trasformato l'autodeterminazione, l'alloglossia, l'identità in merda.
Sono anni che dico che la lega è peggio del peggior tangentista della peggior periodo della prima repubblica. La lega ha depredato il territorio, le casse delle amministrazioni comunali, provinciali, regionali, ha sistemato amici, parenti , servi come e peggio di qualunque pentapartito.
Sono anni che dico che la lega è nazista, nazionalista, razzista, autoritaria, antidemocratica, dittatoriale, populista, violenta.
Sono anni che dico che i leghisti sono delinquenti, corrotti e corruttori, impuniti, gradassi opportunisti con il potere in mano. Sono anni che le cronache citano mele marce nel frutteto leghista: Ballaman che si paga le scorribande con i soldi della regione, Bortolotti... c'è solo l'imbarazzo della scelta: abuso di ufficio, uso di telefoni comunali per farsi i fatti suoi, multe non pagate, evasione fiscale... il frutteto è marcio alla radice verrebbe da dire oggi.
Sono anni che dico che la lega ha coperto il suo potere con la retorica della sicurezza, della pulizia, dell'onestà, della purezza, della proprietà, del Dio Po e del celtismo.
Sono anni che dico che le leggi approvate dalla lega sono fra le peggiori prodotte dalla nascita della Repubblica ad oggi.
Sono anni che dico che Bossi è un ciarlatano, Maroni un delinquente, Borghezio un nazista (ed è vero) e via andare.
Sono anni che dico che chi ha il potere a Milano, in Lombardia, o dovunque ci siano soldi sporchi, un qualche accordo con i mafiosi doveva farlo.


è incredibile non sono più l'unico ad essersene accorto.

martedì 27 marzo 2012

Peccato... Sottomessi alla lega

Recensione a

Sorestans e sotans

Intervista sul Friuli

Di Gianfranco D'Aronco, William Cisilino (Intervistatore)


La lunga e interessante intervista di Cisilino a D'Aronco lascia l'amaro in bocca. Il Friuli, la sua storia, la sua autonomia, la sua alloglossia, la sua cultura si intravedono appena nelle nebbie provocate dall'infatuazione leghista.
Il glorioso, democratico, tollerante, accogliente, onesto autonomismo friulano scompare, umiliato da nomi difficili da pronunciare per un sincero regionalista, autonomista e friulanista come D'Aronco dovrebbe essere. Eppure la Lega sembra aver ottenebrato anche le menti più lucide grazie a quattro talleri, sacrosanti e benvenuti, regalati in nome del friulano. I friulani hanno accettato acriticamente gli ultimi venti anni di becero nazionalismo padano fatto a suon di proclami anti emigrazione (loro la chiamano immigrazione ma è solo girarci attorno) di editti razzisti, di slogan sessuofobi e infine, ma è quello che più mi sconvolge se accettato da persone come D'Aronco, di crassa ignoranza identitaria.
Peccato che l'autonomismo sia finito così male, sostituito dal bieco leghismo, che il Friuli sia stato sostituito dalla padania.
Peccato perchè l'intervista letta acriticamente affascina, coinvolge e stimola riflessioni. Sarebbe bastato un po' di coraggio in più: il Friuli è Europa, ne Italia e tanto meno padania (ammesso e non concesso che essa sia, è e sarà mai qualcosa di diverso dal fantaceltismo nazilefevriano che la propaganda)

venerdì 23 marzo 2012

art. 18 un privilegio inutile

a chi giova proteggere l'art.18? a me? al cocopro? al lavoratore iterinale? alla partita Iva falsa? ai giovani in apprendistato?
Forse ai dipendenti subordinati a tempo indeterminato? a tutti?
A quelli delle piccole imprese? ai dipendenti di cooperativa? ai dipendenti di sindacati, partiti politici, del no profit?
A nessuno di loro interessa, a nessuno, che ci sia o meno il reintegro cambia nulla.
Il reintegro, è questa la questione e non la libertà di licenziamento, è un abominio giuridico, o almeno lo dovrebbe essere in un sistema liberale. Il lavoratore discriminato, ingiustamente sanzionato o licenziato a causa di incapacità mercantile del padrone, perchè mai dovrebbe voler tornare a lavorare proprio nel posto da cui è stato ingiustamente cacciato?
Per ripicca, per soldi, per orgoglio perchè?
Cos'è un diritto: avere accesso al mercato del lavoro in modo equo e libero o rimanere incollati al proprio posto di lavoro qualunque cosa succeda?
Io penso che il diritto sia il primo: eguale accesso per tutti. Io credo che la libertà di cambiamento sia un diritto , io credo che il mercato del lavoro Italiano impedisca, a chi come me non ha accettato la logica del posto ad mortem, l'accesso a posti di responsabilità, di crescita, di sviluppo personale e lavorativo.
La logica dell'articolo 18 ci ha tagliato i coglioni, alla radice direi, ci ha raccontato un Italia ad occupazione perfetta: chi è dentro è protetto chi è fuori no. E' la stessa logica della CIGS, e della CIGO, della mobilità e del valore legale del titolo di studio, degli albi professionali, degli ordini e delle corporazioni.
I diritti acquisiti non si toccano, e quelli che non li hanno si attaccano.
Con questa bella favola, bella solo per chi l'ha scritta, la mia generazione, e tutte quelle dopo sono convinte che difendere i diritti altrui ci faccia conquistare una briciola di protezione.
L'articolo 18 non è un diritto, è un privilegio.
Si tratta di privilegio perchè tutela solo alcuni, dei privilegiati appunto, perchè discrimina in base al tipo di contratto, all'età, alla provenienza, al tipo di lavoro, dimensione dell'azienda. Tutela i forti e non i deboli (chi ha un lavoro, non chi lo cerca). Come tutti i privilegi non serve a nessuno, nessuno lo usa ma nessuno lo tocca.
Allora perchè rischiamo di far crollare l'unico governo degno di avere questo nome negli ultimi venti anni?
Per un privilegio?

giovedì 15 marzo 2012

Il corpo del capetto

More about La canottiera di Bossi

Se il Corpo del capo era un capolavoro, la canottiera di bossi e un buon compendio di miserie leghiste. Bossi è l'emblema del leghismo, la figura paradigmatica del partito, il simbolo spacciatore di simboli patacche (soli, spadoni, dita medie e avambracci ripiegati). Nonostante tutto l'impegno e la ricerca, Bossi rimane un po' sotto tono, sarà per la malattia che ne ha stroncato la carriera di sbruffone di corte, ma alla fine, nel bel libro di Belpoliti, ci fa quasi tenerezza. Ecco forse è questo il vero difetto del libro: non riesce a restituire la pericolosità di un leader, la sua nefasta influenza sulla politica italiana ed infine la sua caparbia ignoranza, la sua oscena ipocrisia.
La lega non ha modificato solo la politica italiana, ha fatto molto di peggio: ha distrutto l'autonomismo, l'utopia federalista, regionalista ed europeista della migliore classe politica nata dall'antifascismo (Lussu, Spinelli, Rosselli, Rossi). E questo nel libro non compare, anzi paradossalmente si  accentuano le caratteristiche "italiane, provinciali, strapaesane" del movimento/partito. Ci si dimentica che se oggi non abbiamo una repubblica federale, europea e pluralista è anche per colpa di Bossi e del suo nazionalismo padano, del suo cellodurismo e del suo apparire everyman. Un uomo qualunque assurto a leader, come Hitler, insomma della peggior specie.

domenica 19 febbraio 2012

Legami da spezzare Azione politica e azione non-violenta


Pubblicato su Ippogrifo 6- Inverno 2011

 

 Premessa

Trovare una forma di associazione che difenda e protegga,mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti non ubbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima
Jean-Jaques Rousseau, Il contratto sociale, 1762

Il mondo, sempre più piccolo e allo stesso tempo sempre più parcellizzato, sembra essere alla disperata ricerca di un nuovo contratto sociale, per legare insieme i fili delle relazioni comunitarie.
La democrazia e la dittatura sono oggi concetti fluidi a volte persino opinabili, se accade che i dittatori vengano lodati come democratici e i democratici vengano trattati come tiranni. Le rivoluzioni sono un accadimento, come lo sono le elezioni, spostano potere, legittimano e delegittimano allo stesso tempo i legami civili, trasformano e distruggono il prima e non assicurano il dopo. La politica, soprattutto in questo tardo '900 e inizio nuovo millennio, è priva di grandi visioni prospettiche, attanagliata da sistemi economici inefficienti e prepotenti, tensioni nazionaliste, ortodossie religiose e approcci da Stato etico.
La primavera araba, così come lo furono le rivoluzioni colorate degli stati ex sovietici, è oggi l'emblema di un profondo ripensamento del metodo rivoluzionario.
Prima di legarsi bisogna perciò sciogliere alcuni nodi.

 

Il nodo slegato


Alessandro si fece condurre al cospetto del nodo, provò forse a tentarne la corda; o forse aveva già deliberato la sua soluzione: sguainò la spada, e recise a mezzo il nodo. Aveva ventitré anni , non aveva tempo da perdere, l'Asia sarebbe stata sua.
Adriano Sofri, Il nodo e il chiodo, 1995

Il legame è ciò che serve a legare, è esso stesso il nodo che unisce.
Il legame ha due terminali, un inizio e una fine, un in mezzo.
In mezzo c'è un filo costituito da un intreccio di materia sociale, politica, economica. Il legame ha come antidoto la slegatura e il taglio.
Il nodo si taglia o si slega? La dicotomia recisione/scioglimento è corrispondente a violenza/non violenza, guerra/pace, sbagliato/giusto?
Pensare in questo modo la struttura del legame, e la sua risoluzione, porta dunque a dare un'accezione etica, diversa da un approccio pragmatico in cui è la sostenibilità delle relazioni a chiarire la dinamica della violenza e della non violenza nei processi politici.
La (in)sostenibilità dei legami politici, e la loro funzionalità materiale, è data dalla pazienza che vogliamo o possiamo investire per risolverli.
La politica è: uomini, mezzi e fini, per dirlo in tre parole. Ovvero, aggiornandola ad oggi, cittadini, legami, sostenibilità.
Proprio perché la politica è costituita da una moltitudine di connessioni che sono indipendenti dalla forma di governo, la realizzazione dei fini della polis o, se vogliamo usare termini oggi più in voga, della comunità, non dipendono dalla forma di governo quanto dalla capacità di governare la sostenibilità stessa delle relazioni.

Dittatura vs democrazia

Se la legalità è l'essenza del governo non tirannico e l'illegalità quella della tirannide, il terrore è l'essenza del potere totalitario
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951.

La dittatura è una struttura di relazioni di grandissima efficienza. Ogni più lontano terminale comunitario (associazione, sezione di partito, circolo ricreativo, luogo di culto, luogo di lavoro o di svago) è strettamente legato al potere. Anzi, ne costituisce, consciamente o meno, il sistema immunitario.
Il legame comunitario all'interno di una dittatura non ammette libertà e sistematicamente usa la violenza come medium, come collante che, nella sua applicazione quotidiana, diventa sinonimo di terrore.
Uno Stato totalitario, etico e necessariamente sociale, individua un nemico, una diversità, e, attraverso il processo del consenso e dell'immedesimazione di massa, instaura legami omologanti che tendono ad escludere le eccezioni che diventano il pericolo identitario, il potenziale distruttore dei legami politici del regime.
La comunità diventa massa, Popolo e dunque Stato, perdendo ogni interesse a legami sociali diversi da quelli finalizzati al bene comune dogmatico. Così l'amore è funzionale allo Famiglia, l'educazione alla Cultura, il lavoro al Progresso, la religione alla Chiesa, la società alla Patria, il diritto alla Verità, il territorio alla Guerra. Il cittadino infine è funzionale allo Stato e non il contrario.

 

L'esempio perfetto

Lo statalismo è la forma superiore che assumono la violenza e l'azione diretta trasformate in norma. Attraverso e per mezzo dello Stato, macchina anonima, le masse agiscono autonomamente.
La ribellione delle masse, Josè Ortega Y Gasset

I regimi dittatoriali trasformano il legame sociale, in funzione del potere carismatico, in comando, ordine e infine in asettica direttiva, circolare, decreto.
L'ordine, che costituisce il legame stesso ed è sempre banalmente violento è distribuito burocraticamente fra l'intera popolazione in una efficacissima riduzione ad inezia di ogni piccola azione.
La deresponsabilizzazione in una catena di comando lunga, complessa e ritualizzata attribuisce direttamente alla Volontà del Popolo, incarnata dal dittatore stesso, la responsabilità. Questo secondo passaggio autorizza tutti ad essere sollevati dalla responsabilità personale, individuale, in nome della più ampia e condivisa Gleichschaltung (sincronizzazione, coordinamento), così come la chiamavano i nazisti.
Verrebbe da dire che i legami, così concepiti, sono sempre politici e sempre violenti e che ognuno ha fatto solo quello che gli è stato ordinato di fare.

 

Libertà è violenza: un ossimoro?

L'ottimista proclama che viviamo nel migliore dei mondi possibili, il pessimista teme che sia vero
James Branch Cabell, The Silver Stallion, 1926

La domanda è: come liberarsi della violenza intrinseca nei legami politici (dei regimi)?
Una qualsiasi prospettiva non-violenta della transizione dei regimi da dittatoriali a democratici sconta il dogma: la violenza chiama violenza.
Bisogna allora intendersi sui termini violenza e non-violenza. Affrontare il problema dal punto di vista teorico, dimenticando che la politica è soprattutto prassi comunitaria e non solo etica e morale, porta ad allontanarsi dall'essenza di ciò che più correttamente dovremmo chiamare semplicemente Politica.
Bisogna ripartire dal legame e dalla sua funzione di struttura portante dell'azione politica, insomma ritrovare la democrazia (rappresentativa).
La democrazia funziona su connessioni deboli, continuamente e volontariamente modificabili. É la sua forza e si chiama contratto sociale ed è condiviso attraverso le leggi, le rappresentanze e sopratutto la delega.
Le elezioni slegano i cittadini da ogni subalternità con il proprio rappresentante, gli elettori non perdono responsabilità ma la delegano. Non è un ideale bene comune a rappresentare la comunità, la polis, ma è l'eletto fino al momento in cui smette di essere votato. Almeno così dovrebbe essere.
Il regime democratico trasferisce porzioni di potere secondo criteri condivisi, le elezioni, e resiste fino a che tutti possono sperare di esercitare, a tempo determinato, il potere.
Per questo la democrazia è sostenibile, contrariamente alla dittatura. Perché i suoi legami non sono fondati sull'imposizione, sulla sudditanza, sulla convenienza e sulla sopravvivenza, ma si basano sulla mutabilità, sulla contrattazione, sulla condivisione e il riconoscimento del bene comune.
La democrazia sopravvive agli uomini che la rappresentano, la dittatura assai difficilmente può vantare la stessa longevità.

 

Rivoluzioni e conservazioni

Il colpo di stato, invece, è politicamente neutro, e non esiste alcuna presunzione che, dopo la conquista del potere, si seguirà una particolare politica.
Strategia del colpo di stato, Edward Luttwak ,1972

Quali sono le armi per modificare, sciogliere e recidere i fili che legano il potere alla repressione? Dove sono i terminali delle connessioni? Un organismo complesso come uno Stato può permettersi di perdere legami senza morire?
Vale la pena dissanguare, e non solo metaforicamente, uno Stato per ricostruire da zero i legami comunitari, per riscrivere un nuovo contratto sociale?
Dunque la Libertà è necessariamente violenza?
Cosa succede in un paese quando le forze in campo decidono di cambiare le regole, ovvero di cambiare regime, cosa succede quando dalla dittatura si vuol passare alla democrazia?
La conservazione del potere è la caratteristica principale dei regimi totalitari. Finché il legame politico non viene modificato, controllato e addomesticato il potere non si sposta.
Sciogliere le connessioni con il passato (regime) è sempre una rivoluzione ed è sempre e comunque tranciante, modificante e un cambio di potere non certifica che il risultato sia buono o cattivo.
Le rivoluzioni possono cadere dall'alto, imponendo un nuovo potere, o possono nascere dal basso, rimontando e ricostituendo la struttura politica. Questa schematizzazione semplicistica ha avuto nella realtà storica molteplici variabili, più o meno elitarie, più o meno popolari o militari. É una questione di potere, una traslazione di potere da un gruppo ad un altro, da una persona ad un'altra, da una classe ad un'altra: rivoluzione, pronunciamiento, putsch, guerra di liberazione, insurrezione, rivoluzione, la sostanza non cambia.
Una tabula rasa su cui riscrivere i nuovi contratti comunque dev'essere preparata.

 

La non-violenza è un metodo

La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.
Karl von Clausewitz, Della Guerra, 1834

La non-violenza è un metodo, prima ancora di una filosofia, e come tale ha bisogno di studio, applicazione e disciplina. Esattamente come la guerra.
Non vi sono metodi immorali, ma azioni e politiche immorali si.
Dunque è evidente che non si può imputare al metodo il risultato, come non si può accusare i mezzi dei fini perseguiti.
Il '900 ci ha raccontato che proprio a causa delle migliori intenzioni si sono perpetrate le peggiori nefandezze, ci ha raccontato che la guerra è un metodo efficace ma terribilmente costoso, anche in termini di legami sociali lacerati e mai ricostruibili.
Perché allora scegliere un metodo chiamato non-violenza?
Perché i metodi di Gandhi, Martin Luther King, Lech Walesa, Gene Sharp e dei nostri Danilo Dolci e Aldo Capitini sarebbero più efficaci di quelli di Charles De Gaulle, Malcom X, o dei nostri Giuseppe Garibaldi o Sandro Pertini?
Le azioni di tutti loro sono state modificanti, distruttive e rivoluzionarie. Quando parliamo di cambio di stato dello Stato presupponiamo che la non-violenza non sia pacifismo così come la guerra non sia bellicismo.
La non-violenza è logorare, la guerra è tagliare. La prima usa la pazienza al fine di sciogliere il nodo scorsoio da cui intende liberarsi. Un gioco pericoloso perché come tutti sanno i nodi più tiri più si stringono.
La guerra, d'altra parte, tende ad usare un'ascia per tagliare un filo da pesca...

 

Azione politica, una questione di strumenti e parole

L'azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa, è stata usata per obiettivi vari, sia "buoni" che "cattivi"; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo
Gene Sharp, CORRECTIONS, An open letter from Gene Sharp, 2007

Chi usa la parola non-violenza sa di fare in Italia un'operazione che assorbe i concetti, i retaggi culturali e sopratutto dimostra una profonda ed inequivocabile vena elitaria.
Il nostro Paese non è un Paese per non-violenti, forse perché non è uno Stato compiutamente democratico, ne definitivamente dittatoriale. La non-violenza ha bisogno di chiarezza, puntualità e pazienza, doti che forse oggi (?) non siamo in grado di esprimere.
Per aggirare l'ostacolo dovremmo avere il coraggio di parlare più prosaicamente di azione politica o ancora meglio, come fa Gene Sharp, di political defiance, ovvero dimenticare le ragioni filosofiche e concentrarci su quelle pratiche.
La parola defiance è talmente ricca da essere essa stessa un manuale di azione politica non-violenta: resistenza, opposizione, non complicità, disobbedienza, insubordinazione, dissenso, renitenza, sovversione, ribellione; oltraggio, disattenzione, rifiuto, insolenza.
Proprio l'azione politica va a sciogliere quei legami insostenibili, perversi e immobili che costituiscono la trama di un regime.
Ogni parola diviene strumento applicativo e non mera manifestazione d'intenti, ed è in questo che la (non-violenta) azione politica riesce ad essere assai più efficace della (violenta) azione politica.
Per tagliare la trama del regime si deve costituire una nuova rete di legami solidi, e al contempo elastici, in grado di sostenere durante la lotta i cittadini e allo stesso tempo preparare un nuovo tessuto sociale e un nuovo contratto democratico.
Gli strumenti sono fondamentali per legare i cittadini. Come la prima guerra mondiale ha costituito il primo vero terrificante banco di prova delle masse e dei regimi totalitari, l'89 ha messo alla prova gli individui democratici e continua, in un fenomeno di lunga durata, a sollecitare l'applicazione di metodi di disobbedienza civile.
Come fare azione politica, sapere che esistono metodi, tecniche, manuali è rassicurante per chi, come sempre più spesso oggi pare accadere, ha desiderio di diventare nuovamente azionista del proprio futuro e della propria comunità. Per chi voglia tornare a riprendersi la delega politica, troppo spesso considerata in bianco.
Le primavere arabe, così come le rivoluzioni colorate (le uniche che anagraficamente posso ricordare) hanno dimostrato che nulla è inscalfibile, nemmeno piazza Tienanmen.

 

Bibliografia sragionata.

L'uomo libero conferisce alle armi il loro significato
Trattato del Ribelle, Ernst Jünger

Jean-Jaques Rousseau, Il contratto Sociale, Milano 2010
Karl von Klausewitz, Della Guerra, Milano 1970
Amartya Sen, La ricchezza e la ragione, Bologna 2000
Amartya Sen, Globalizzazione e libertà, Milano 2002
William Volmann, Come un'onda che sale e che scende, Milano 2007
Adriano Sofri, Il nodo e il chiodo. Libro per la mano sinistra, Palermo 1995
José Ortega Y Gasset, La ribellione delle masse, Milano 2001
Curzio Malaparte, Tecnica del colpo di Stato, Milano 2002
Gene Sharp, Come abbattere un regime Manuale di liberazione nonviolenta,Milano 2011
Ernst Jünger, Trattato del ribelle, Milano 1990
Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta voll. I-II-III, Torino 1985
M.K. Gandhi, Teoria e pratica della non-violenza, Torino 1996
Edward Luttwack, Strategia del colpo di stato. Manuale pratico, Milano 1983
Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, Milano 1992
Jean Marie Muller, Manuale di azione nonviolenta per la Lega Nord, Venezia 1993
Morjane Baba, Guerrilla Kit, Milano 2005
Alberto Martinelli e Alessando Cavalli a cura di, Il black panther party, Torino 1974
Ian Kershaw, L'enigma del Consenso, Bari 2007
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino 2009