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martedì 27 marzo 2012

Peccato... Sottomessi alla lega

Recensione a

Sorestans e sotans

Intervista sul Friuli

Di Gianfranco D'Aronco, William Cisilino (Intervistatore)


La lunga e interessante intervista di Cisilino a D'Aronco lascia l'amaro in bocca. Il Friuli, la sua storia, la sua autonomia, la sua alloglossia, la sua cultura si intravedono appena nelle nebbie provocate dall'infatuazione leghista.
Il glorioso, democratico, tollerante, accogliente, onesto autonomismo friulano scompare, umiliato da nomi difficili da pronunciare per un sincero regionalista, autonomista e friulanista come D'Aronco dovrebbe essere. Eppure la Lega sembra aver ottenebrato anche le menti più lucide grazie a quattro talleri, sacrosanti e benvenuti, regalati in nome del friulano. I friulani hanno accettato acriticamente gli ultimi venti anni di becero nazionalismo padano fatto a suon di proclami anti emigrazione (loro la chiamano immigrazione ma è solo girarci attorno) di editti razzisti, di slogan sessuofobi e infine, ma è quello che più mi sconvolge se accettato da persone come D'Aronco, di crassa ignoranza identitaria.
Peccato che l'autonomismo sia finito così male, sostituito dal bieco leghismo, che il Friuli sia stato sostituito dalla padania.
Peccato perchè l'intervista letta acriticamente affascina, coinvolge e stimola riflessioni. Sarebbe bastato un po' di coraggio in più: il Friuli è Europa, ne Italia e tanto meno padania (ammesso e non concesso che essa sia, è e sarà mai qualcosa di diverso dal fantaceltismo nazilefevriano che la propaganda)

venerdì 23 marzo 2012

art. 18 un privilegio inutile

a chi giova proteggere l'art.18? a me? al cocopro? al lavoratore iterinale? alla partita Iva falsa? ai giovani in apprendistato?
Forse ai dipendenti subordinati a tempo indeterminato? a tutti?
A quelli delle piccole imprese? ai dipendenti di cooperativa? ai dipendenti di sindacati, partiti politici, del no profit?
A nessuno di loro interessa, a nessuno, che ci sia o meno il reintegro cambia nulla.
Il reintegro, è questa la questione e non la libertà di licenziamento, è un abominio giuridico, o almeno lo dovrebbe essere in un sistema liberale. Il lavoratore discriminato, ingiustamente sanzionato o licenziato a causa di incapacità mercantile del padrone, perchè mai dovrebbe voler tornare a lavorare proprio nel posto da cui è stato ingiustamente cacciato?
Per ripicca, per soldi, per orgoglio perchè?
Cos'è un diritto: avere accesso al mercato del lavoro in modo equo e libero o rimanere incollati al proprio posto di lavoro qualunque cosa succeda?
Io penso che il diritto sia il primo: eguale accesso per tutti. Io credo che la libertà di cambiamento sia un diritto , io credo che il mercato del lavoro Italiano impedisca, a chi come me non ha accettato la logica del posto ad mortem, l'accesso a posti di responsabilità, di crescita, di sviluppo personale e lavorativo.
La logica dell'articolo 18 ci ha tagliato i coglioni, alla radice direi, ci ha raccontato un Italia ad occupazione perfetta: chi è dentro è protetto chi è fuori no. E' la stessa logica della CIGS, e della CIGO, della mobilità e del valore legale del titolo di studio, degli albi professionali, degli ordini e delle corporazioni.
I diritti acquisiti non si toccano, e quelli che non li hanno si attaccano.
Con questa bella favola, bella solo per chi l'ha scritta, la mia generazione, e tutte quelle dopo sono convinte che difendere i diritti altrui ci faccia conquistare una briciola di protezione.
L'articolo 18 non è un diritto, è un privilegio.
Si tratta di privilegio perchè tutela solo alcuni, dei privilegiati appunto, perchè discrimina in base al tipo di contratto, all'età, alla provenienza, al tipo di lavoro, dimensione dell'azienda. Tutela i forti e non i deboli (chi ha un lavoro, non chi lo cerca). Come tutti i privilegi non serve a nessuno, nessuno lo usa ma nessuno lo tocca.
Allora perchè rischiamo di far crollare l'unico governo degno di avere questo nome negli ultimi venti anni?
Per un privilegio?

giovedì 15 marzo 2012

Il corpo del capetto

More about La canottiera di Bossi

Se il Corpo del capo era un capolavoro, la canottiera di bossi e un buon compendio di miserie leghiste. Bossi è l'emblema del leghismo, la figura paradigmatica del partito, il simbolo spacciatore di simboli patacche (soli, spadoni, dita medie e avambracci ripiegati). Nonostante tutto l'impegno e la ricerca, Bossi rimane un po' sotto tono, sarà per la malattia che ne ha stroncato la carriera di sbruffone di corte, ma alla fine, nel bel libro di Belpoliti, ci fa quasi tenerezza. Ecco forse è questo il vero difetto del libro: non riesce a restituire la pericolosità di un leader, la sua nefasta influenza sulla politica italiana ed infine la sua caparbia ignoranza, la sua oscena ipocrisia.
La lega non ha modificato solo la politica italiana, ha fatto molto di peggio: ha distrutto l'autonomismo, l'utopia federalista, regionalista ed europeista della migliore classe politica nata dall'antifascismo (Lussu, Spinelli, Rosselli, Rossi). E questo nel libro non compare, anzi paradossalmente si  accentuano le caratteristiche "italiane, provinciali, strapaesane" del movimento/partito. Ci si dimentica che se oggi non abbiamo una repubblica federale, europea e pluralista è anche per colpa di Bossi e del suo nazionalismo padano, del suo cellodurismo e del suo apparire everyman. Un uomo qualunque assurto a leader, come Hitler, insomma della peggior specie.