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lunedì 23 settembre 2013

Un consorzio per promuovere nuovo welfare

Un consorzio per promuovere nuovo welfare
 di andrea satta
Macramè settembre 2013
Si è costituita lo scorso 4 aprile una nuova realtà cooperativa: il CONSORZIO VIVES. Nato con lo scopo dichiarato di affrontare le profonde trasformazioni in atto nelle politiche sociali, intende proporsi sul mercato in modo competitivo,efficace ed innovativo.Le promotrici Codess FVG,Duemilauno Agenzia Sociale e FAI sono fra le più importanti cooperative sociali del Friuli Venezia Giulia. Da circa 20 anni gestiscono servizi alla persona in ambito sociale, educativo, sanitario a favore di anziani, minori, prima infanzia, disabili, persone con disagio psichico, in tutto il territorio regionale e nel Veneto orientale.Complessivamente il Consorzio Vives rappresenta un aggregato di 1.250 soci-lavoratori, regolarmente inquadrati nel CCNL di riferimento, e intrattiene rapporti con oltre 50 Enti e Amministrazioni pubbliche ed offre i suoi servizi a fondazioni, associazioni e privati cittadini. Il loro volume aggregato nell'esercizio 2012, è stato di oltre 34 milioni di euro.Il Consorzio nasce da un concreto e diffuso radicamento su tutto il territorio regionale e intende agire in coerenza con i valori della cooperazione sia in Friuli Venezia Giulia sia nelle regioni del Nord Italia in cui sarà possibile intraprendere azioni di sviluppo. Diffondere il modello cooperativo,che le consorziate, nella propria specificità rappresentano, significa consolidare esempi di eccellenza e innovazione in ogni ambiti di servizi alla persona.Il Consorzio svilupperà le proprie azioni commerciali in un’ottica di progettazione innovativa e partecipata coniugando l’efficienza e la qualità dei servizi erogati con l’attenzione al territorio e la promozione di un welfare di comunità.Le Cooperative hanno costituito da oltre un anno la Rete per l’innovazione nel Sociale, strumento di sviluppo di progetti innovativi che offre un importante valore aggiunto sociale all'offerta del Consorzio Vives. L’integrazione delle politiche di sviluppo, delle progettazioni dedicate e delle sperimentazioni sul territorio, con le attività consortili attente alla qualità dei servizi, al rispetto dei contratti e alla sostenibilità delle proposte, sarà un nuovo modo di fare marketing sociale.L’obiettivo strategico del Consorzio è di andare a incidere direttamente sulla vita dei cittadini,attuando progetti di ricerca, innovazione e sperimentazione di nuovi servizi nel campo socio-assistenziale, educativo, sanitario, implementando buone prassi ed esperienze significative già avviate sul territorio regionale o nazionale.Il Consorzio ha prima di tutto cura dei propri lavoratori, dei socie delle socie delle Cooperative,riconoscendo in essi il valore fondante del lavoro di cura. Un’attenzione che diviene parametro imprescindibile per l’esecuzione e la gestione dei servizi.Il Consorzio, anche grazie alla Rete per l’innovazione nel sociale, intende in modo trasparente ed etico, promuovere e favorire l’emanazione di provvedimenti legislativi ed amministrativi di promozione e di sostegno alla cooperazione, ed insieme operare per una rivisitazione del sistema di welfare promuovendo interventi sul territorio che possano coinvolgere la comunità, le istituzioni ed il privato, sociale e non.Il Consorzio è iscritto all'albo regionale delle cooperative Sociali dal 6 giugno ed è completamente operativo.
 Il Consiglio di amministrazione è composto dai Presidenti delle tre cooperative associate Fabio Fedrigo (FAI), Franco Fullin (Codess FVG) e Felicitas Kresimon (Duemilauno Agenzia Sociale). Il CDA è presieduto da Franco Fullin. L’Ufficio Ricerca e Sviluppo è composto da Andrea Satta, Coordinatore della Rete per l’Innovazione nel sociale, e Cristina Benes, coordinatrice d’area di Duemilauno Agenzia Sociale.

La comunità è un bicchiere mezzo pieno

La comunità  è un bicchiere mezzo pieno
di andrea satta


Definire ciò che è giusto e ciò che è utile nel sociale comporta sempre ri-definire il nostro modo di essere all'interno della comunità. Questo vale prima di tutto per le istituzioni, per gli operatori sociali ma anche, a volte ce ne dimentichiamo, per ogni cittadino.Entrambe le parole sono giuste ed utili per definire una qualsiasi strategia che voglia modificare radicalmente il sistema del welfare locale. Si tratta di pensare al nostro futuro senza che a farne le spese sia il nostro oggi. Nel lavoro di progettazione sociale calcolare le ricadute sulla lunga durata è un’operazione complessa. La materia su cui prevedere le conseguenze è estremamente pericolosa: l’uomo. Di esso possiamo calcolare l’altezza, il peso, la capacità cranica, il rischio di insorgere di malattie, ma non riusciremo mai a calco-lare come ciò che togliamo oggi creerà un’assenza domani.Un’assenza che si ripercuote non solo sull'offerta dei servizi ma che ricade sui corpi, le relazioni e il vivere in comunità.La comunità è formata sempre e unicamente da individui e non è un soggetto terzo dal tratto etico e morale. Per questo pensarla aprioristicamente e giuridicamente come un luogo perfettibile da modificare porta a immaginare comunità “perfette” ma totali. Da moltissimi anni si discute sull'istituzione totale e la si critica. Oggi a trenta, quarant'anni di distanza si è passati da istituzione a comunità totale, credendo che questo sia sviluppo, in realtà ricadendo inconsapevolmente su un modello di welfare di comunità in voga negli anni trenta del secolo scorso. Il vero problema oggi è riconoscere “le comunità” e solo dopo, individuare un welfare adatto ad esse. Esiste una comunità ideale che alimenta se stessa cadendo nello stesso errore delle istituzioni, come in anni non sospetti ricordava Ivan Illich, parlando della medicina che crea le malattie e della scuola che crea l’ignoranza. Questo paradosso si sta riversando nell'idealizzazione di una società in cui l’integrazione non ha bisogno di cura e  la comunità crea sempre necessariamente benessere.
Far parte di questa comunità ideale, fatta di uomini e donne accoglienti, integranti, partecipanti e solidali, crea una meravigliosa dipendenza. In questa comunità si sta bene. Peccato che non esista. Immaginare l’inserimento di persone espulse dalla società per le loro debolezze come processo virtuoso a carico della stessa società che li ha espulsi è come minimo presuntuoso. Pensare altrimenti a una società in grado d’integrare al suo interno il singolo nel rispetto delle sue peculiarità significa, offrire ad ognuno gli strumenti adatti ed efficaci a migliorare la qualità della vita.
Viviamo la peggior crisi degli ultimi cinquant’anni e facciamo finta che la comunità sia ancora in grado di sopportare il peso, l’onere e il costo della difficoltà pubblica di gestire il welfare.
Un approccio etico, partecipativo, ed efficiente può nascondere un sistema di welfare ideale in grado solo di perpetuare se stesso, in condizioni di protezione e tutela. Quella comunità accogliente, integrante, partecipata e solidale, se mai è esistita, oggi combatte quotidianamente con l’indifferenza, l’omologazione e l’intolleranza, lasciando nella marginalità proprio quelli che più hanno bisogno di essere integrati.
Al di là di ogni retorica restituire la delega politica e assistenziale alla comunità, sperando che essa oggi sia in grado di sopportarne oneri, onori e denari è utopistico. La politica ha la delega dei cittadini per amministrare, attraverso le tasse, la cosa pubblica, e con il paravento della spending review e della casta, si deresponsabilizza e abbandona la comunità, ma sarebbe più corretto dire quella parte più fragile della comunità, ad un’autogestione priva di mezzi, di capacità e di risorse finanziarie.  
Il welfare di comunità nasconde dietro la sua ragionevolezza etica e la sua morale partecipativa una visione del mondo totalizzante. In realtà è l’intera comunità ad essere fragile e allo stesso tempo frazionata in un disagio sempre più individuale. Il ruolo del terzo settore, dei servizi, delle istituzioni, deve essere di risposta alla quotidianità, attraverso servizi che ricostruiscano il senso di appartenenza, di dignità e di autodeterminazione, utilizzando tutto ciò che già esiste per rinforzare la comunità e creare nuovamente i presupposti perché essa possa diventare finalmente accogliente.

lunedì 9 settembre 2013

Come nascono le idee

Come nascono le idee 
Edoardo Boncinelli 
Editori Laterza, 2010
Collana Economica Laterza I Libri del Festival della mente
Una buona idea è quella di prendere Come nascono le Idee e leggerlo tutto di un fiato.
Boncinelli, genetista e fisico, racconta con leggerezza come il nostro mondo sia percepito, elaborato e raccontato grazie ad un infinito numero di connessioni. In realtà uno scienziato non parlerebbe mai di infinito di fronte ad un sistema certo complesso, ma circoscritto, analizzabile. Per un normale lettore, a cui è destinato il libro, il mondo della neurobiologia è talmente ampio da risultare infinito.
Una scrittura semplice e precisa, come solo gli scienziati sanno fare, racconta fra filosofi a, psicologia e biologia come l’idea non sia mai un colpo di genio ma sempre frutto di un processo complesso, anche se dura un attimo.
La coscienza, la consapevolezza sembrano finalmente acquisire sostanza divenendo il modo con cui l’uomo ha imparato a differenziarsi dal resto del mondo e non più il modo con cui giudica. Infine la creatività, parola il cui solo suono evoca inutili banalità, inizia ad aver un senso compiuto distinguendosi dal raziocinio ma anche dalla follia e dal genio. Insomma scrivere questo libro è stata una buona idea, leggerlo anche.

PSICHIATRIA E NAZISMO

PSICHIATRIA E NAZISMO
I deportati ebraici dagli ospedali psichiatrici di Venezia
Angelo Lallo
Lorenzo Toresini
Psichiatria e nazismo
La deportazione ebraica dagli ospedali
psichiatrici di Venezia nell’ottobre 1944
Editore Nuova Dimensione, 2001
La storia è fatta di piccole malvagità quotidiane, di soprusi inutili, tanto più inutili quanto più odiosi. Di fronte a San Marco, a Venezia, ci sono due isole: San Servolo e San Clemente.
Sono due manicomi, o meglio lo sono stati, e sono stati teatri di una inutile tragedia.
Ogni tragedia è enorme e la storia di sette o otto, il numero poco importa, ebrei internati nelle due isole è solo uno degli infiniti tasselli di dolore che compongono la storia della Shoah.
Ottobre 1944: anche a Venezia diviene luogo di applicazione di quello che banalmente e burocraticamente veniva chiamato
Endlösung der Judenfrage (soluzione finale della questione ebraica) lasciando all’eufemismo un significato sinistro. Psichiatria e nazismo racconta poco, pochissimo, racconta di povere vite di uomini e donne deportati e uccisi per il solo peccato di essere altri, doppiamente altri: ebrei e pazzi. Eppure racconta tutto, tutto quello che si deve sapere per comprendere come alcune righe di diagnosi e appunti medici possano rivelare una vita intera e, come insegna Primo Levi, narrare l’intera umanità. Purtroppo questa Storia non ha nessun lieto fine, come quasi sempre avviene, e non è accaduto che chi salva una vita salva il mondo intero.
Uomini e donne senza nome e cognome, così hanno scelto gli autori, non esistono più, il loro mondo non è stato salvato.

Opinioni degli stakeholder

Opinioni degli stakeholder, una direzione da intraprendere
di Andrea Satta, progettista FAI la cosa giusta


Il Progetto FAI la cosa giusta ha chiesto ai dirigenti di raccontarsi e di raccontare cosa significhi provare a dare risposte alle donne in rientro dalla maternità, alle famiglie che lavorano in Cooperativa. Otto interviste, otto opinioni, otto approcci che oggi, a mesi di distanza, appaiono premonitori di un’interesse che, nella realtà dell’agire quotidiano, è già diventata buona prassi. La cura delle relazione e l’ascolto dei bisogni delle socie, in un contesto delicato, complesso e coinvolgente, era ed è la preoccupazione prima di chi deve dirigere, coordinare, facilitare la routine degli operatori. Tutti i giorni la cooperativa si confronta con la malattia, la disabilità, la vecchiaia, il distacco, il fine vita, ed anche la gioia, l’affetto, la riconoscenza di chi riceve le cure, l’assistenza, le parole e il conforto degli operatori. Gli otto dirigenti sono consapevoli e in un qualche modo preoccupati di questi aspetti e di fronte alle domande sono stati molto disponibili e incuriositi, Il loro è un punto di vista particolare, volutamente individuale, basato sull’esperienza personale, sulla formazione e sul lavoro in cooperazione. Il lavoro di ascolto e sintesi dei lunghi dialoghi ha costruito un quadro ricco e sfaccettato in cui le preoccupazioni quotidiani di gestione e le visioni strategiche si sono alternate in una forma colloquio curioso e innovativo. La conciliazione è risoluzione dei problemi nella prospettiva del funzionamento della struttura, questa è la visione evidenziata dai coordinatori delle strutture e dai referenti di area cogliendo, nel progetto Family Friendly, la possibilità di rendere più fluida ed efficiente la gestione delle relazioni e delle dinamiche quotidiane, fatte di richieste orarie, turni, malattie e famiglie. Ma è anche risoluzione dei problemi in funzione di un cambiamento aziendale. Così come hanno ben descritto ed evidenziato chi nella cooperativa si occupa direttamente di progettazione, comunicazione e formazione. Questa doppia visione si fonde perfettamente in quell’evoluzione, informazione e accompagnamento, che la Cooperativa FAI ha intrapreso proponendo la creazione dello sportello FAI la cosa giusta.Ognuno porta con sé la propria storia, professionale e personale, ed è nella Storia della Cooperativa che ci si ritrova a condividere, discutere e risolvere la quotidianità della conciliazione. Quando abbiamo iniziato...spesso alle domande i nostri interlocutori hanno risposto iniziando così, dando forza e peso alla crescita, alla volontà di chi partendo da pochissimo ha creato una delle eccellenze di cooperazione sociale in provincia.Oggi i dirigenti si trovano a cercare nel lavoro sociale quel precario equilibrio fra chi coinvolto direttamente nei problemi e chi deve trovare e condividere una visione strategica di lungo periodo.Il lavoro sociale è femminile? Beh... guardati attorno! Così scherzando, anche se solo per un attimo, una delle questioni più scivolose del ambito del lavoro di cura, i dirigenti hanno colto una delle maggiori contraddizioni del sistema, cooperativo incluso, sociale: la diversità fra i generi, gli stereotipi e allo stesso tempo la forza positiva delle differenze.Nel sociale gli uomini stanno ai piani alti e le donne... anche ma dopo aver faticato di più! Con questa dolce amara considerazione abbiamo chiuso un primo scambio di opinioni, che al di là della apparente leggerezza ha fornito al progetto la legittimazione, ha fatto emergere l’importanza del lavoro d’equipe, delle modalità di risoluzione dei problemi, dell’importanza dell’informazione, della formazione e della continua attenzione sul tema. Insomma, per dirla con una frase di Hugo Von Hofmannsthal, la vita è integrale conciliazione dell’inconciliabile.

venerdì 6 settembre 2013

Radical Chic - recensione

Tom Wolfe
Radical chic
Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto
Castelvecchi 2005

Più riguardo a Radical chic

Ci sono delle giornate in cui ti senti depresso, in cui vorresti che il peso della quotidianità fosse sommerso dalla leggerezza, in cui la crisi, la politica fossero annullati da un ironico sorriso.
Se siete in quelle giornate potete leggervi i due racconti di Tom Wolfe racchiusi sotto il titolo Radical Chic. Siamo negli anni sessanta, in una strepitosa New York, nel pieno del fermento giovanile, in quello che banalmente chiamiamo '68. Le Black Panther compaiono nel panorama americano dopo anni di lotte sui diritti civili, dopo Martin  Luther King, dopo Malcom  X, dopo Kennedy e prima di Reagan.
Essere   liberal   era   uno   status   simbol,   appoggiare   cause   sociali,   gruppi rivoluzionari era, ed è, un ottimo modo per lavarsi la coscienza. É così che nascono   i   radical   chic.   In   un   vortice   paradossale   di   discorsi   rivoluzionari, tartine al caviale e champagne, domestici bianchi e ospiti negri tutta l'ipocrisia del bel mondo occidentale si palesa in un crescendo di incomprensioni e nuovi party dedicati a nuove cause da sostenere.
Se poi la giornata è ancora lunga ed il libro è breve e avete ancora un po' di depressione dal mondo circostante, leggete il secondo racconto.
I   Mau   Mau,   ultimi   guerriglieri   di   un   colonialismo   morente,   diventano paradigmatici del metodo nonviolento. Siamo in California, punta avanzata del '68   americano,   piano   degli   interventi   statali   per   combattere   la   povertà, l'esclusione sociale, la perdita di lavoro e la ghettizzazione. Siamo un po' come oggi ma con più speranza.
Qui i veri protagonisti sono i funzionari statali, i parapalle, che devono erogare posti di lavoro, creare leader di comunità nera, essere i mediatori fra comunità dei ghetti e Stato.
Anche   in   questo   caso   l'apparenza   inganna   e   i  disperati  sono   degli   abili manipolatori   dei   pregiudizi   che   subiscono.   Si   presentano   cattivi   e   violenti, senza mai alzare un dito ovviamente, bastano sguardi, atteggiamenti, vestiti e colore della pelle. La paura del parapalle bianco è assicurata, così come il posto estivo a spese del governo. Il libro finisce con un magistrale colpo di teatro: una masnada di bambini urlanti e un leader vestito da magnaccia...
Buona lettura.

Articoli di Conciliazione Casarsese

Sportello Informadonna nuova iniziativa a Casarsa
Intervista a Ingrid Culos, consigliera Comunale del Comune di Casarsa con delega alle Pari Opportunità

a cura di andrea Satta

Pubblicato su Macramè, Aprile 2012

La consigliera comunale Ingrid Culos ci racconta la nascita dello Sportello Informadonna del Comune di Casarsa, finanziato nel 2012 dalla Regione.
Il progetto originario, Donne insieme ha come obiettivo l’integrazione delle donne di nuova immigrazione e italiane attraverso la promozione di luoghi di scambio e di aggregazione. Come è nata l’idea di sostenere un percorso dedicato alle donne?
L’amministrazione comunale ha sempre pensato che le politiche di parità riducano i costi sociali ed economici e che siano un incentivo allo sviluppo locale.
Casarsa è un comune molto sensibile alle tematiche che riguardano il sostegno alle donne e alla famiglia più in generale.
Sono numerosi i progetti messi in campo in tal senso negli ultimi anni e la nuova amministrazione intende offrire un punto di riferimento informativo e progettuale rappresentato dallo Sportello Informadonna.
Come è avvenuto il coinvolgimento delle realtà locali in un territorio ricco di associazionismo?
Le associazioni, le cooperative e le organizzazioni di familiari sono sempre state coinvolte anche grazie all’Osservatorio Sociale nella lettura dei bisogni del territorio e nella proposta di nuove opportunità.
Come ritieni che l’idea di uno sportello aziendale possa integrarsi in questo contesto?
Conosco da tempo il lavoro dello Sportello FAI e penso abbia caratteristiche molto simili al nostro progetto. Si tratta di attività di sostegno, non solo occupazionale, ma anche su questioni legate alla famiglia e alle offerte territoriali. A questo abbiamo aggiunto un’attenzione particolare a situazioni più difficili come ad esempio il mobbing, i centri antiviolenza e il sostegno alle famiglie in difficoltà. Per le persone sarà possibile avere un primo contatto per essere avviate ai servizi di competenza.
Sia il nostro progetto che lo sportello hanno coinvolto la Consigliera di Parità della Provincia Chiara Cristini, come pensi che possa svilupparsi in futuro questa collaborazione?
La figura della Consigliera di Parità, che ha una forte attenzione al mondo del mercato del lavoro, risulta estremamente importante in una situazione di crisi in cui il benessere delle donne passa soprattutto attraverso l’enpowerment, cioè la capacità di attivarsi e di sviluppare le proprie potenzialità.
Gli sportelli come questi, sono luoghi in cui le donne possono ricevere informazione, e allo stesso tempo acquisire consapevolezza. Auspichiamo che tutti insieme si possa creare una rete ampia a sostegno di questo tipo di iniziative, a partire dai comuni limitrofi e associazioni, e che in futuro questo modello possa diventare buona prassi per altre amministrazioni locali.

Conciliazione diffusa Dallo Sportello Conciliazione allo Sportello Informadonna 
di andrea Satta e Elisa Giuseppin

Le buone prassi diventano tali solo quando si diffondono.
Grazie a questo assunto e grazie alla disponibilità di Ingrid Culos, consigliere del Comune di Casarsa della Delizia con delega alle Politiche Giovanili e Pari Opportunità, lo sportello Conciliazione Family Friendly FAI
potrà offrire la sua esperienza al Progetto Donne insieme.
Questo progetto prevede l’apertura di uno Sportello Informadonna. Elisa Giuseppin, referente per il rogetto, predisporrà le azioni di front office informativo, di formazione, di condivisione di banca dati e di consulenza personalizzata, sulle tematiche di conciliazione, pari opportunità, famiglia, gender mainstreaming.
Il coinvolgimento delle associazioni e delle cooperative sarà parte integrante del percorso, in particolare per quelle che hanno già attivato azioni dedicate alle donne.
La rilevazione dei bisogni degli stakeholder locali ha evidenziato come la partecipazione di tutte le famiglie e l’integrazione con i servizi esistenti, sia prioritaria per la sostenibilità del progetto.
Mutuando un’esperienza aziendale, si è voluto dare sostanza più che con una semplice convenzione, con un vero e proprio lavoro integrato tra amministrazione pubblica e privato sociale. Questo modello si va diffondendo a macchia di leopardo sul territorio friulano anche in settori apparentemente molto istituzionalizzati. Non si tratta di una delega in bianco da parte delle amministrazioni, ma ad una vera e propria coprogettazione, che ha coinvolto fin dalla fase ideativa la cittadinanza. FAI ha condiviso questa nuova opportunità per diffondere un metodo di lavoro attento allo sviluppo di comunità ed anche un nuovo modo di fare impresa.
Lo Sportello Informadonna è aperto il mercoledì pomeriggio dalle 16.00 alle 18.00, presso Palazzo De Lorenzi Brinis, via Stazione 2, Casarsa della Delizia (PN). Telefono 0434 873937, email sportellodonnacasarsa@gmail.com, blog informadonnacasarsa.blogspot.it
S

Nido Diffuso

Nido Diffuso
Modello innovativo per un servizio educativo domiciliare

Pubblicato su Macramè, Aprile 2012

di andrea Satta
FAI ha intrapreso, insieme a Codess FVG e Duemilauno Agenzia Sociale, un innovativo percorso dedicato alla prima infanzia: il Nido Diffuso. Si tratta di un nuovo modo di fare welfare locale che risponde ai bisogni dei cittadini ottimizzando le risorse, aumentando le possibilità di scelta e, contemporaneamente, offrendo alternative personalizzate per le famiglie. La proposta Nido Diffuso applica tre principi base: la territorialità
ovvero la copertura dell’intero territorio regionale, la sostenibilità ovvero la capacità di calcolare i costi benefici dal punto di vista economico, professionale, formativo, occupazionale, ed infine la cooperazione ovvero la capacità di utilizzare il proprio know-how, l’esperienza intersettoriale e la capacità di rogettazione. Il sistema cooperativo con il suo alto valore sociale può offrire come valore aggiunto: il riconoscimento da parte della comunità, la qualità del servizio, l’attenzione al lavoratore e la responsabilità sociale d’impresa.
I tre valori del progetto sono: la famiglia, la cooperazione e la fiducia. I servizi socio-educativi per la prima infanzia sono luoghi di promozione del benessere e dell’agio per bambine e bambini e svolgono n’importante
funzione di sostegno alla genitorialità e alla conciliazione tra i tempi del lavoro e della famiglia.
Il Nido Diffuso è infatti in grado di sostenere, legittimare, organizzare e connettere le strutture del privato sociale, impegnate nella progettazione e nell’offerta dei servizi prima infanzia, con il mondo dell’associazionismo familiare.
La fiducia reciproca, fra soggetto gestore, famiglie e istituzioni è la base etica su cui il modello fonda la sua forza. L’offerta del servizio tiene conto sia
della gradualità che della flessibilità necessaria per posizionarsi sul mercato, con l’intento di
calmierare i costi per le famiglie e al contempo tutelare la progettazione pedagogica, disincentivando la formula baby parking ed offrendo percorsi e attività adatte alla crescita dei bambini.
La Rete offrirà pacchetti flessibili e differenziati per ogni struttura prevedendo alternative personalizzate all’interno dell’intero sistema integrato. Il servizio è rivolto a bambini e bambine dai 3 ai 36 mesi, alle loro famiglie ed alle associazioni che le rappresentano. Inoltre il servizio intende offrire un’opportunità occupazionale per donne in possesso dei titoli previsti e della disponibilità del domicilio idoneo. Il 19 dicembre la Rete per l’Innovazione nel Sociale ha presentato con l’Assessore Roberto Molinaro, presso la sede della Regione FVG di Udine, il progetto Nido Diffuso. È iniziata una nuova avventura.

Il vicolo Cieco

Il vicolo cieco 
La nonrivoluzione italiana

Pubbilcato su Macramè, Aprile 2012

L’Italia è il Paese delle rivoluzioni annunciate.
Ogni governo promette riforme epocali che spesso nascondono semplici e controrivoluzionarie manovre finanziarie. Il sistema Italia, ammesso che si possa definire sistema, mantiene una stratificazione normativa che applica regi decreti e leggi del ventennio fascista.
La definizione di un sistema politico, o di un regime se non diamo un’accezione negativa alla parola, deve essere in grado di definire limiti, o semplicemente diritti e doveri sia per chi le leggi deve applicarle sia per
chi deve rispettarle.
L’Italia è da questo punto di vista quello che da studente mi sembrava l’aspetto più anarchico del greco antico: le regole che devi studiare meglio sono le eccezioni.
Abbiamo delle regole ma ciò che ci guida è l’eccezione alla regola.
Non credo che la vera rivoluzione sia creare regole ma semplicemente uscire dal cul de sac dove novanta anni di regimi dittatoriali e democratici ci hanno portato.
Siamo veramente in un vicolo chiuso?
Prendiamo il nostro sistema di welfare. La costituzione lo vorrebbe universalistico: l’articolo 3 dice che siamo tutti uguali, e solidaristico (art.2), ma la riforma del Titolo V ha introdotto un mini federalismo attraverso la sussidiarietà, ovvero le regioni più ricche aiutano quelle più povere.
Quindi l’Italia è diventata un po’ più federalista e il suo welfare un po’ meno centralista. Detto così verrebbe da dire che, finalmente, una vera riforma è iniziata. Eppure l’incertezza regna sovrana: siamo federalisti nell’erogazione degli interventi ma centralisti nella distribuzione delle risorse necessarie al funzionamento.
Così verrebbe da pensare che se siamo tutti uguali curarsi a Orotelli è uguale che curarsi a Villa Santina, che essere assistito da ricco è uguale che essere assistito da povero.
L’Italia sembra un bambino indeciso, nonostante stia lentamente raggiungendo la maturità democratica, ovvero abbia raggiunto cent’anni o poco più di democrazia imperfetta.
Ogni volta che ci si pone la domanda dove stiamo andando siamo incerti, come un bambino capriccioso: vorrei il sistema universalistico ma anche selettivo, le pensioni statali ma anche i fondi integrativi, il lavoro fisso ma anche flessibile, gli ospedali pubblici ma a pagamento, le scuole pubbliche ma a carico dei genitori...
Siamo sempre un po’ comunisti con forti propensioni al liberalismo, siamo un po’ liberali ma con grande attenzione al consociativismo, siamo familisti per le famiglie altrui e libertini per le nostre, siamo generosi con il terzo mondo e violenti con i rom italiani, siamo federalisti quando si tratta di ricevere soldi e centralisti
quando si tratta di non darli ad altre regioni, siamo autonomisti se ricchi e nazionalisti se poveri (e incredibilmente anche viceversa). Cosa ci aspetta nei prossimi anni? Una sintesi tutta italiana dei modelli politici europei (e non solo). Oppure, come sembra prospettarsi anche dopo questi primi mesi dell’anno, torneremo a parlare di riforme epocali, di pericoli rossi, arancioni e blu, di colpe altrui e ente parlare
del nostro sistema statuale, ha bisogno di chiarezza: o di qua o di là. Il vero problema è che non si sa cosa sia il qua ed il là.
Forse almeno questo potremmo chiederlo.