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giovedì 8 ottobre 2020

Pistolotto a destra.


Ci sono movimenti a destra. 
La Meloni si sta spostando su posizioni confederaliste Europee, dal sovranismo all'Europa delle nazioni, confederate.
Una vecchia posizione della destra europea conservatrice.
Una vecchia rivista Europa nazione confidava in una Europa pacifica e potente, fatta di nazioni amiche e solidali, unite contro il nemico comune e accomunate da uguali valori. l'Europa non è uno Stato quanto un'idea comune per le nazioni e i popoli europei, il direttore Filippo Anfuso disse «sarebbe difficile immaginarsi un’Europa spoglia delle sue soggettività nazionali». 
La Nuova Destra francese e anche quella italiana, da De Benois a Tarchi, ponevano la questione identitaria, politica e nazionale insieme, e fu una deriva, o meglio una felice intuizione, quella che portò la destra, figlia del machismo imperialista fascista, a prendere strade identitarie.
I Campi Hobbit furono controcultura per due motivi: andavano contro una cultura dominata dal marxismo e contro una cultura conservatrice e benpensante. 
Il terrorismo della seconda metà degli anni settanta ha stigmatizzato quello di destra come unicamente  stragista, quello di sinistra come politico, nonostante ciò entrambe, destra e sinistra, furono capaci di immaginarsi altro dalla violenza. 
Re nudo e Campi Hobbit erano due facce della stessa generazione con gli stessi ideali declinati in modo diverso, come lo furono i terrorismi. 
Se da una parte la sinistra ha virato verso la socialdemocrazia e la destra verso il conservatorismo, dall'altra c'era una destra intellettuale che finì ad alimentare posizioni identitarie, a difendere i popoli oppressi, a difendere le guerre apparentemente più ingiuste. Negli anni novanta e fine ottanta cresceva, al fianco del leghismo, una attenzione per le lingue e i popoli europei, per le piccole patrie, per l'identità, le etnie, le tradizioni arcaiche e locali, per i medievi più o meno fantastici, per le streghe e le saghe nordiche. In questo coacervo di contraddizioni in cui Dumezil, Cioran, Celine, Canetti, Jungher, Mishima e tanti altri convivevano sulle stesse bancarelle con troll e fischietti artigianali, si sperimentava l'identità ritrovata dopo anni di ghetto fascista. Tutto questo a 30 anni di distanza appare sfumato, trasformato da anni disidentitari che hanno riportato tutto al manicheismo di facciata che oggi, con il tripartito di Conte appare evidente: Lega, PD e M5S hanno un programma comune un idea di Stato che ha dimenticato l'identità come concetto
Uno vale uno è la morte dell'identità e con essa la morte della nazione ma anche la morte dell'ideologia. E su questo campo che si gioca la partita a destra. Il FDI è un partito identitario, se si scioglie nell'un idea vale l'altra è finito, inutile. Per questo permette il controcanto autorevole, paternalistico e giovanile di Crosetto e soprattutto non si è mai alleato con i M5S e ha sempre sostenuto l'unità del CDX. Non ha tradito, come fece Fini forzando la mano e sbagliando identità prevalente, e mantiene la parola data. La Meloni, se vuole mantenere l'identità, deve trovarne una riconoscibile, consolidando l'elettorato conservatore e un po' reazionario ma comunque rispettabile e borghese.
Il problema è che queste categorie si sono dissolte e si devono ricreare a partire da idee in grado di spostare l'attenzione dal quotidiano, in cui uno vale sempre uno, in cui un idea vale l'altra e nessuno vale niente, al futuro. L'ingresso in pompa magna in Europa, a capo di una non irrilevante parte dell'elettorato Europeo, la certifica come qualificata a guardare il futuro e a proteggere la nazione.
Se Renzi è la mossa del cavallo, la Meloni è una torre.
La Meloni strategicamente si mette in attesa e piano piano si istituzionalizza, meno proclami più argomentazioni di buonsenso, Salvini scivola, inciampa e si rialza come un pugile ubriaco. Verrà messo a riposo, se sarà abbastanza furbo da capirlo, e il doge prenderà le redini del partito, abbandonerà il sud al suo destino e si riprende il Nord. 
Se furbo. 
Se stolto potrebbe fare due errori: passare con il suo partito, ricordatevi che la Lega si chiama Lega Salvini non Padana, o quelli che rimangono, in maggioranza o in minoranza di nuovo con i M5S o peggio rimanere fuori dal governo di unità nazionale che invece la Meloni coglierebbe al balzo insieme a Zaia e Giorgetti. 


sabato 6 ottobre 2012

PD: primarie giovanilistiche (1/11/11)

Vecchie considerazioni (1/11/11) purtroppo attuali: Renzi, Fini e Vendola...
 
e noi a parlare di dialogo fra generazioni. Che sia stato proprio il presunto dialogo a far saltare il patto fra generazionale che vedeva i vecchi ciclicamente sconfitti dai giovani? O meglio: non è che questa presunta diatriba fra giovani e vecchi nasconda una più infida eliminazione della classe di mezzo: gli adulti?

È di questi giorni (1/11/11) una ridicola querelle sui giovani e i vecchi del PD.
La cosa più triste e ridicola è che i giovani sono dei "marmocchi" di 35/40 anni! e che i vecchi sono dei signori di 55/65 anni.
Questa semplice constatazione dell'età farebbe ridurre, in un paese normale, la questione a oscenità intellettuale.
La verità è che sotto i venticinque anni, in Italia, neanche si esiste, che gli adulti di 25/35 anni sono ancora "troppo giovani" per ambire al potere vero, e che i 35/45enni sono giovani al potere solo per concessione degli over 60 e poco meno. Insomma gli adulti devono solo fare i giovani, occupare posizioni in quota protetta (come le donne, gli omosessuali, gli immigrati, i disabili), per concessione dei vecchi.
In questo destra, sinistra (e centro) sono identici.
Trovo ridicolo che per esprimere le proprie adulte idee gli adulti (dei partiti) debbano continuamente ringiovanire per accondiscendere altri uomini (ex)adulti come loro che meriterebbero solo la pensione.
D'altronde possono dei giovani avere idee non innovative?
Questi giovani ben invecchiati (quarantenni) spacciano come idee innovative delle normali riflessioni di politici scafati, usano tecniche e approcci furbetti, giovanili più che giovani.
Nessuno di questi ricorda quand'era giovane. A volte penso che molti di loro non siano mai stati giovani.

Ad esempio quel Renzi, il rottamatore, è un vecchio democristiano di 40 anni scarsi.
Porta avanti idee, alcune condivisibili come l'abolizione del valore legale del titolo di studio, non certo nuove e innovative, anzi.
La realtà è che la politica innovativa in Italia non la fa nessuno ne giovani ne adulti ne vecchi.
Non la fa certo quel 60 enne di Grillo, uscito dall'Uomo qualunque in salsa noglobal, ne Di Pietro, 60 enne, ne Bersani, e tanto meno Berlusconi o i suoi schiavi 40enni come Alfano.
I più creativi, o meglio i più politici, sono Fini e Vendola.
Due teste pensanti accomunati dalla ricostruzione di un'identità di sinistra e di destra diversa dal conservatorismo del PD(L).
E non sono giovani ma, al contrario dei giovani alla Renzi, sono adulti che fanno gli adulti, senza ammiccare ai giovani ma coerentemente esercitando una leadership che si sono meritati sul campo.
Che sia questo la vera soluzione?
Leadership chiare, oneste...senza età.

martedì 14 dicembre 2010

ancora 2 anni...


Lo dico da mesi, da quando in Italia è nata finalmente l'alternativa di destra, lo dico mentre stiamo ancora aspettando quella di sinistra, ci vorranno ancora due anni per tornare ad essere un paese civile.
Due anni perchè crolli, macerato dal potere, il castello di carte con cui l'eccelso trombatore idraulico copre le sue disgrazie di inetto governatore.
Due anni perchè prima avremmo governi nuovi, forse elezioni fasulle, rivendicazioni di governi del fare (i cazzi propri).
Due anni perchè si possa scegliere fra destra e sinistra (una liberale e progressista e una liberale e conservatrice, o una progressista e conservatrice e una liberale liberale, è irrilevante) fra due partiti che rappresentino i propri elettori in campagna elettorale, il proprio paese al governo, e il proprio programma di fronte al corpo elettorale. Questa si chiama democrazia.
Se uno non sa governare (ed è l'esempio lampante dell'incapace dormiglione) non verrà rieletto. e basta.

Due anni, se dio vorrà, due lunghissimi anni.

PS Dovremmo tutti, fascisti, comunisti, democristiani, radicali, liberali e repubblicani, socialdemocratici e socialisti, ringraziare Fini per averci ricordato cos'era la politica.
Non sudditanza ma libertà. Non obbedienza ma eresia. Non conservazione ma rivoluzione. Non denaro ma sudore e fatica. Non Violenza ma nonviolenza.

Questo era e oggi per alcuni di noi potrà tornare ad esserlo... qualsiasi sia il proprio partito.

lunedì 8 novembre 2010

finalmente un partito di opposizione! era ora!

L'intervento di Giafranco Fini alla prima convention di Fli

L'intervento di Fini:
il nostro progetto per l'Italia

di Gianfranco Fini
Care amiche e cari amici di Futuro e libertà, senza alcuna presunzione, umilmente, a bassa voce, credo che per si possa dire che se ci guardiamo intorno, se volgiamo gli sguardi dietro noi, alle settimane e ai mesi passati, possiamo per davvero di poter dire che abbiamo tutto il diritto di essere molto molto soddisfatti perché c’era chi con una certa presunzione, con un approccio superficiale, ci aveva frettolosamente liquidato: “sono quattro gatti, non ha senso politico quel tipo di avventura”. E solo in poche settimane, dal discorso di Mirabello a oggi, ci troviamo in questa splendida cornice di passione, in una manifestazione politica che, sempre senza presunzione, ha pochi precedenti, soprattutto per la molla che l’ha determinata. In poche settimane siamo diventati non marginali, non condannati all’oblio, ma politicamente determinanti per le sorti del governo e soprattutto, ed è più importante, per l’avvenire della nostra patria.

E allora è giusto chiedersi innanzitutto, e me lo chiedo innanzitutto io, questo piccolo grande miracolo da cosa è stato determinato? La risposta è una e una sola: gli artefici siete stati unicamente voi e con voi i tantissimo che oggi non sono qui fisicamente, ma ci sono idealmente. Donne, uomini, giovani, anziani che hanno dimostrato in queste settimane che si può ancora vincere una sfida basata sulla passione e sul coraggio civile, che hanno dimostrato di voler credere in progetto ideale da anteporre a ogni tornaconto personale. Voi siete qui per una certa idea di Italia, non per fedeltà a una persona e nessuno, amici miei, vi chiederà mai di cantare “Meno male che Fini c’è”, perché meno male che ci siete voi! Gli uomini passano, le idee restano, gli uomini sono il progetto, le idee la proiezione nel futuro. Altro che rancori personali, c’è stata una corale assunzione di responsabilità, un crescente desiderio di voltare pagina, una crescente stanchezza nel centrodestra e non solo che ha determinato questa voglia di tornare a essere artefici del proprio destino. Ho ritrovato una bella frase di un poeta troppo frettolosamente giudicato naif, Saint Exupery sulla costruzione di una nave.

Fuori di metafora, in Italia c’è la nostalgia di una politica diversa, pulita, fatta di valori e ideali. Un ringraziamento sincero va a tutti coloro che hanno reso possibile questo piccolo grande miracolo, ma in particolare ai più giovani, ragazzi e ragazze, che sono il motore di Futuro e libertà. A loro ieri ho chiesto di continuare a essere intransigenti senza diventare estremisti, perché l’estremismo è la negazione dell’intelligenza, gli ho chiesto di essere intransigenti nei valori. Un ringraziamento va anche ai tanti che non hanno esperienze politiche precedenti, a coloro che sono qui in rappresentanza di associazioni di volontariato, no profit, terzo settore, ai tanti italiani perbene che vogliono cambiare la società, che non credono più nella politica. Un grazie va anche a coloro che hanno alle spalle una gloriosa militanza politica nella nostra destra e a chi ha alle spalle altre esperienze politiche. E’ stato bello anche nel susseguirsi degli interventi degli amici che hanno preso la parola, constatare che oggi Fli possa realizzare quel disegno che era alla base della nascita del Pdl, la sintesi di quelle esperienze, il superamento delle incomprensioni del Novecento, dei valori supremi che uniscono tutti nell’interesse generale. Ringrazio chi viene da altre esperienze, del cattolicesimo liberale, del socialismo riformista, della cultura liberal: Fli non sarà certo una An in piccolo ma nemmeno una sorta di zattera pronta a raccogliere i naufraghi del Pdl.

In altri contesti si era solito dire: porte aperte a tutti, esclusi i perditempo. Qui, in termini politici, diciamo: porte chiuse ad affaristi e carrieristi. Oggi che rappresentiamo una bella novità dobbiamo essere coerenti con il nostro messaggio ideale, dobbiamo vigilare. E’ quello quello ho detto ai nostri ragazzi e a tutti coloro che sono venuti qui senza chiedere nulla, a loro spese, solo perché orgogliosi di partecipare a scrivere una nuova fase politica.
Abbiamo il dovere di avere accortezza, perché il nostro progetto è ambizioso: in poche parole ha la volontà di incarnare e rendere vivi quei valori autentici del centrodestra italiano, che siano il reale collegamento con i valori del centrodestra europeo, col moderatismo che rappresenta in Europa un punto di riferimento per il centrodestra. Nel Manifesto che ha fatto da colonna ideale al nostro evento, ci sono i valori che voglio richiamare, i capisaldi della carta identità di Fli: a cominciare dall’idea di nazione intesa come senso di appartenenza alla comunità, la coscienza di una identità, intesa come certezza che se lo Stato unitario ha affrontato 150 anni di vita, la gens italiana esiste da almeno duemila anni.

Senso di appartenenza, di identità, significa legittimo orgoglio per la nostra storia, l’orgoglio di rappresentare nel mondo il Paese che detiene la più alta percentuale del patrimonio culturale dell’umanità. E - lo dico senza alcuna strumentalizzazione - che dolore, amici, nel leggere quella notizia che ha fatto il giro del mondo, il crollo della domus dei Gladiatori a Pompei, unita a quell’altra notizia che nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo dando un’immagine degli italiani che non meritano. Non si può essere pienamente europei se si perde il senso di identità, di coscienza nazionale.

Il nostro paese ha delle responsabilità nello scenario internazionale e credo che il modo migliore, più onesto, meno retorico per ringraziare i nostri soldati, i nostri eroi - e caro Gianfranco permettimi di dirti che uomini come te sono la dimostrazione di quanta vitalità c’è oggi nella nostra Italia - il modo migliore per rendere omaggio questi uomini è impegnarsi perché l’Italia nel mondo oggi appaia diversa da quella immagine che purtroppo ha in alcuni frangenti. E’ un valore, quello della nazione, che si accompagna a un altro valore riassunto nel nostro manifesto: la legalità. La legalità, il più impegnativo, profondo, doveroso omaggio a chi è in prima linea e la considerazione della magistratura, che è una garanzie della nostra democrazia. La legalità non è solo il pacchetto sicurezza di cui il governo può menar vanto. La legalità è la certezza che se non si insegna ai nostri figli che prima di rivendicare un diritto essere pronti a assumersi un dovere, che se non si dice che senza il rispetto delle istituzioni senza il senso stato non c’è il senso di appartenenza a una comunità nazionale. La legalità bene intesa è la precondizione per la libertà. Senza cultura della legalità non c’è cultura della libertà. Altrimenti la libertà diventa solo quella del più forte verso i più deboli, del potente verso chi non ha certezza di uno Stato garante.

Legalità, nazione e - sempre non in ordine di ideale gerarchia ma in ordine che mi viene dal manifesto – il valore del rispetto della persona umana con il corollario della tutela dei diritti civili di ogni persona umana. Persona umana senza alcuna distinzione e soprattutto senza discriminazioni. Rispettare la persona vuol dire che non si possono distinguere bianchi e neri, cristiani, musulmani ed ebrei, uomini e donne, eterosessuali e omosessuali, cittadini italiani e stranieri. Perché porre la persona al centro non significa negare la necessità per ognuno di adempiere a dei doveri. E’ il concetto pocanzi espresso.

Ma è triste constatare la superficialità o l’arretratezza del dibattito politico-culturale. Lo dico per esempio per la questione di ciò che si deve fare per chi giunge in Italia da altri paesi e non è ancora cittadino, che mette al mondo qui i suoi figli, ragazzi che considerano l’Italia la loro patria anche se l’Italia non è la terra dei loro padri. Mi rifiuto di pensare che questo centrodestra risolva tutto con la propaganda del “gli immigrati clandestini se ne vadano”. Non contestiamo la necessità di allontanare i clandestini, contestiamo la dabbenaggine di chi non capisce che sempre più in futuro la nostra società sarà molto diversa da quella attuale, che avrà sempre di più la necessità di integrare coloro che rispettano la nostra storia, cultura, tradizione. Non c’è in nessuna parte d’Europa su questi temi, diritti civili e cittadinanza, un movimento politico così arretrato culturalmente come mi sembra essere il Pdl al rimorchio della peggior cultura leghista.

E sempre nell’ambito dei valori del nostro manifesto c’è quella che mi piace chiamare l’esaltazione del lavoro in tutte le sue accezioni: manuale o intellettuale, dipendente o autonomo. Il lavoro come luogo fisico dell’economia. Io non demonizzo la finanza, ma quando nell’economia prevale la ricchezza prodotta dalla finanza c’è sempre rischio speculazioni. La centralità del lavoro intesa anche come garanzia di un riscatto sociale, di possibilità per ogni persona di esprimere tutte le capacità che ha. Il lavoro consente a ogni uomo di crescere non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista morale. La centralità del lavoro, che come dimostrano gli anni che abbiamo alle spalle, è diventato e sempre più sarà il naturale alleato se vogliamo un’economia sana e solida del capitale. Oggi possiamo dire che l’antitesti capitale lavoro o, come la chiamavano alcuni, la lotta di classe per far crescere i ceti più deboli si sarebbe rivelato inganno. E, con altrettanta certezza, possiamo dire che non avevano capito coloro i quali pensavano che il capitale fosse la parte trainante dell’economia rispetto al lavoro. Oggi, in ogni parte dell’Occidente e non solo, si cerca una sintesi tra capitale e lavoro come condizione essenziale per un’economia al servizio di un popolo e non solo parte di esso.

Anche la centralità della famiglia, intesa come cellula primaria della società, come principale agenzia educativa: in molti casi ognuno di noi è quello che impara ad essere dai suoi insegnanti, dalla madre, dal padre, la famiglia è un fattore di coesione sociale. Se in Italia non ci fosse la famiglia, al di là del fatto di esserlo legale o di fatto, perché nel secondo caso è innegabile che dobbiamo colmare un divario e allinearci a standard europei, dicevo, se la famiglia non fosse nella condizione attuale, se non svolgesse quel ruolo così centrale, il disagio sociale sarebbe ancora peggiore. Nel Manifesto c’è una centralità riconosciuta della famiglia nella società, ma anche di tutti quei valori che si riflettono in una dimensione continentale, quelli del moderatismo e popolarismo europeo. Fli si riconosce in questi valori e non sarà mai subalterna alla cultura politica della sinistra, dei nostri avversari, di quella cultura politica che rispettiamo e non demonizziamo ma che non ci può insegnare nulla. Io considero risibile che con un centrosinistra alla prese con i suoi travagli e i suoi litigi, c’è chi se la prende ancora con i comunisti; c’è qualcosa di più complesso, ma fino a quando noi avremo i nostri valori non saremo mai subalterni alla sinistra. Per questo dico che se Berlusconi ha bisogno di polemizzare contro di noi, cerchi argomenti più credibili di questo.

Credo di poter dire che Fli non sarà mai sinonimo di pensiero unico, di insipidi e deboli minestroni o incapace di cogliere i tratti civili della nostra identità per metterli al servizio del progetto. Un progetto,il nostro, ambizioso, e che si riassume nella volontà di far nascere un soggetto politico, come era alla base dell’intuizione del Pdl, in grado di dar vita a una grande rivoluzione liberale più volte promessa, che viene presentata in ogni campagna elettorale e che non è mai stata realizzata se non in minima parte. Noi abbiamo l’ambizione di animare e incarnare un moderatismo italiano con uno spirito diverso, perché essere moderati, nel centrodestra europeo, oggi significa non conservare ma cambiare il volto della società: questa è stata una delle grandi scommesse del governo che sono state perdute o mai affontate. Il nostro non è un progetto contro il Pdl, nel Pdl ci sono tanti uomini e donne contro cui non possiamo avere nessuna ostilità, in molti casi ne comprendiamo il disagio, l’amarezza e lo sconcerto, ma loro non sono i nostri avversari, non lo è il Pdl e per certi aspetti neanche Berlusconi. Semplicemente perché noi siamo oltre il Pdl, perché quella stagione politica si sta chiudendo o si è chiusa nell’incapacità di incarnare e realizzare i desideri e i progetti che aveva in sè.

Il nostro è un progetto ambizioso che tenta di recuperare il tempo perduto e il paradosso è che Berlusconi non capisce che un’iniziezione di vitalità alla sinistra gli viene solo dal fallimento del centrodestra e dall’incapacità di mantenere gli impegni con gli elettori. E’ stato detto che dovevamo fare chiarezza, spero di esserci riuscito finora, ci è stato chiesto di dire che cosa vuole essere Fli, cercherò di essere chiaro. Voglio citare due analisti politici che scrivono su due giornali che secondo qualcuno non andrebbero letti e che invece vanno letti; anche perché è meglio leggere quei giornali che ascoltare alcuni tg che sembrano usciti da quella cultura delle veline di certi paesi qualche anno fa, e per veline non mi riferisco a quelle signorine di bell’aspetto.

Uno è di Pierluigi Battista e l’altro il professor Alessandro Campi che hanno posto quesiti ai quali abbiamo il dovere di rispondere e abbiamo cercato di rispondere. Non abbiamo messo in piedi questa avventura per lucrare interessi, per giocare sullo scacchiere politico come in altre occasioni ha fatto chi voleva essere determinante a prescindere dai contenuti, come ha fatto chi era pronto a schierarsi di qua o di là solo per interesse. Chi pensa questo di Futuro e libertà deve ricredersi e credo abbia già iniziato a ricredersi, se è intellettualmente onesto.

Analoga citazione. Alessandro Campi, sul Riformista, si è chiesto se il progetto di Futuro e libertà è costruire una destra nuova, alternativa al berlusconismo, porre le basi di un centrodestra diverso dall’attuale, e se così è ogni scorciatoia o colpo di mano istituzionale su cui si favoleggia è fuori questioni il compito di Futuro e libertà non può essere quello di realizzare per vie traverse ciò che agli avverarsi di Berlusconi non riuscito attraverso le elezioni. Il compito di Futuro e libertà è assai più importante, perché politico, e impegnativo, perché teso a elaborare una proposta politico programmatica all’altezza dei problemi del paese.

Ho letto questo due brani di osservatori politici diversi tra loro perché entrambi pongono questioni cruciali e credo che questi concetti non possano essere espressi in modo più efficace . Il nostro progetto non è di un partito per lucrare, il nostro progetto è talmente ambizioso da rendere necessaria la domanda: ci riusciremo? Lo dirà solo tempo, ma dobbiamo crederci, metterci energie non per l’interesse di comunità politica, ma per l’interesse di una comunità intera. E per avere una possibilità in più di riuscirci bisogna tornare a sentire il polso del paese, guardare e ascoltare quell’Italia profonda, silenziosa che cerca di migliorare con il lavoro la condizione di vita nella nostra società. Quell’Italia silenziosa che non urla, non ha la bava alla bocca, non sta sulle gradinate e quindi non è fatta di ultrà. Quell’Italia che rappresenta la stragrande maggioranza del nostro popolo, che non è il paese dei balocchi che di tanto in tanto dipinge Silvio Berlusconi e che ha dipinto anche nella riunione della direzione nazionale del Pdl dell’altro giorno. Non è quel paese dei balocchi. Intendiamoci, il governo ha fatto bene, ha ben operato e fronteggiato l’emergenza. Non c’è dubbio che Tremonti sia stato capace di preservare l’Italia da una crisi finanziaria che ci avrebbe condotto non su orlo del baratro, ma precipitato nel baratro. Tenere sotto controllo la spesa pubblica è necessario, Futuro e libertà non sarà mai il soggetto che chiede una spesa ulteriore o usa il denaro pubblico per creare un nuovo assistenzialismo o mantenere vecchie sacche di privilegio. Semmai a Tremonti contestiamo la modalità di come i conti pubblici sono stati tenuti sotto controllo, quella dei tagli lineari: tagli qualcosa a ogni dicastero. Questa modalità ha rappresentato per certi aspetti il modo più agevole per non accontentare qualcuno e non scontentare altri, ma è stata anche il modo migliore per il governo per non scegliere. I tagli lineari esentano dal compito difficile di scegliere su cosa tagliare e su cosa investire, ma ci tornerò.

Non ho problemi a dire che la riforma dell’università del ministro Gelmini va nella direzione giusta perché mette in discussione i tradizionali assetti educativi che non si erano rivelati idonei per i nostri figli. Ma una riforma fatta senza denaro è inutile, come Fli ha sostenuto in Parlamento quando ha cominciato a ragionare sulla base delle proprie convinzioni e non seguendo il precetto di “credere, obbedire e combattere”. Così come non c’è dubbio che l’azione del ministro Maroni sia stata positiva, ma è da elogiare soprattutto il ruolo delle forze dell’ordine nel settore della sicurezza. Dico forze dell’ordine perché sono in prima linea e se si lamentano per la carenza di mezzi e si dichiarano pronti a fare di più ma ci chiedono di metterli in condizione di farlo, non possiamo fare finta di non sentire e dire che i sacrifici devono farli tutti. Non c’è dubbio che su alcune questioni il governo non abbia il polso del Paese, non abbia la percezione reale di quelli che sono timori e ansie degli italiani.Per certi aspetti il governo sta galleggiando, tampona le emergenze, ma spesso perde di vista quella che era la rotta: non ha davanti a sé quel progetto che deve essere essenziale per costruire oggi l’Italia del domani. Il governo non ha preso coscienza che alcune questioni vanno affrontate senza esitazioni.

Quali sono le priorità? Altro che ddl sulle intercettazioni. Le priorità che sono nell’agenda degli italiani devono essere anche quelle del governo, che deve cogliere quali sono i sentimenti della nostra gente, ascoltare i suoi timori, le sue speranze. La priorità è affrontare il nodo dell’indebolimento dell’identità nazionale, del senso di appartenenza alla comunità: quando si brucia il tricolore, bè, c’è davvero motivo di allarmarsi. Se per protesta, non so quanto fondata, si arriva al vilipendio del simbolo della dignità nazionale, questo è conseguenza del fatto che per troppo tempo si è sottovalutato non il rischio della secessione, ma l’egoismo strisciante territoriale che è stato il motore della Lega nord. A loro non interessa nulla di ciò che accade sotto il Po perché non ha alcun interesse al valore dell’unità nazionale. Alla vigilia dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità, il governo ha il suo caposaldo nel Pdl, un partito che nasce con una vocazione nazionale ma che al nord adesso è una pallida copia sbiadita della Lega.

Alla vigilia delle celebrazioni, bisogna fare una riflessione su cosa significa essere italiani oggi, è doveroso. La caduta della coesione sociale, non so se se ne sono resi conto, sta aumentando le diseguaglianze, si sta perdendo di vista quel disegno del Pdl che mirava a far migliorare le condizioni di vita del nostro popolo riducendo le diseguaglianze,e si sta trasformando in disegno opposto. In Italia il ceto medio si sta impoverendo, chi ha un solo reddito ha problemi ad arrivare a fine mese. Altro che Paese dei balocchi e del va tutto bene… In Italia c’è un impressionante conflitto generazionale, oggi i più giovani se pensano a futuro si chiedono se sarà migliore o peggiore. Perche oggi i nostri ragazzi sanno che abbiamo un tenore di vita accettabile ma hanno capito bene che quando la famiglia non sarà più in grado di aiutarli per loro ci saranno seri problemi.

Mi ha colpito l’analisi di un istituto di ricerca che ha osservato come si siano rovesciati i termini del rapporto tra giovani e anziani. Fino a poco tempo fa nelle nostre famiglie l’impiego di un giovane consentiva al nonno di vivere una vecchiaia serena. Oggi, in molti casi, specie al Sud, senza la pensione del nonno un ragazzo non avrebbe la possibilità di portare a cena la fidanzata di una vita. E’ un conflitto che va affrontato, dicendo chiaramente ai padri e alle madri che è il momento di fare dei sacrifici, ma finalizzati a garantire ai figli di entrare a testa alta nella società e nel mercato del lavoro. Sarebbe illusorio pensare di garantire a tutti i giovani il posto fisso, magari nella pubblica amministrazione, ma il fatto che il mercato del lavoro sia flessibile, che i contratti siano aperti non può significare la precarietà assoluta e vita natural durante. Guardiamo agli altri paesi europei. Il nostro welfare non può essere solo delle garanzie, deve essere anche delle opportunità. Oggi tra i ceti tradizionalmente deboli, accanto agli anziani, ai disabili, ai cassintegrati, vanno messi anche i giovani. Ed è accaduto senza che nessuno se ne accorgesse. Perché non guardare alla Germania, dove ci sono più contratti a termine che da noi, ma la busta paga è mediamente più pesante rispetto a quella di un giovane che a parità di mansioni ha un contratto a tempo indeterminato?

La perdita della coesione sociale, lo sfibrarsi delle ragioni per cui l’Italia sta insieme e un’altra emergenza, legata alla situazione economica: il calo di competitività e produttività. Basta leggere quello che ha detto ieri Draghi e che aveva detto anche la Marcegaglia qualche giorno fa. Possibile - e lo dico al governo - che personalità così diverse tra di loro indichino come priorità quella di rilanciare l’economia, di mettere in campo politiche per la ripresa della produzione? Possibile che da parte della politica si liquidi tutto dicendo che si tratta delle assurde congiure di qualche potere o dell’incapacità di capire che tutto va bene perché c’è il governo del fare? Mi sembra che governo del fare certe volte significhi fare finta di non vedere che non è vero che tutto va bene.

Nell’agenda politica è necessario non avere tolleranze nei confronti di quello che è cultura dell’illegalità, anche intesa come quella logica secondo cui, da che mondo è mondo, il paese si divide sempre in due categorie di fronte alle quali uno si deve schierare. A me non piace un paese dove non c’è una levata di scudi corale rispetto a certi luoghi comuni che vengono diffusi, luoghi comuni tipo quello per cui chi fa tutto il suo dovere e paga tutte le tasse è fesso e chi invece trova il modo di fare il furbo va apprezzato. E’ lo stravolgimento del principio di legalità come cultura del bene comune. Poi c’è anche quello che chiamo una sorta di decadimento morale e qui serve davvero fare sfoggio di padronanza della lingua, perché il tema è scivoloso e il moralismo è una delle peggiori attitudini di una parte del nostri popolo e di tanti sepolcri imbiancati, sempre capaci di fare la predica ma poi non guardare dentro di sé. Quando dico decadimento morale, intendo una parte dell’attualità che non è figlia obbligata della modernità. Credo che quel decadimento sia in qualche modo anche la conseguenza di una progressiva perdita del senso del decoro e del rigore dei comportamenti - e in particolar modo dei comportamenti di chi, gli piaccia o meno, deve essere d’esempio, perché se si è un personaggio pubblico si è obbligati in qualche modo a essere d’esempio.

E lasciatemi laicamente, con la laicità positiva della coscienza del “date a Cesare quel che è di Cesare” ma anche del ruolo fondamentale che ha nella società occidentale la religiosità e in quella italiana l’insegnamento di Santa romana chiesa, lasciatemi laicamente citare l’insegnamento del Papa che dice che la spazzatura non è solo nelle strade ma negli animi e nelle coscienze. Questo, credo, è il decadimento che c’è e da questo punto di vista io non credo che la politica se ne possa lavare le mani, perché per certi aspetti non tutto quello che c’era nella prima repubblica è oggi da buttare. Io non so quanti si ritroveranno nelle parole che sto per dire, ma io ho rimpianto dello stile di comportamento di Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa. Nella prima repubblica c’erano anche queste personalità, che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato.

Eppure, amici miei, nonostante ci siano queste emergenze legate alla coesione sociale, all’economia, alla difesa dell’identità nazionale, al dovere di combattere l’afasia morale, io sono convinto che l’Italia non sia un paese destinato a declinare inevitabilmente, che si sfascerà e finirà nel burrone. Non ci credo perché sento forte nel paese una parte di società vita, vitale, reattiva, tutt’altro che rassegnata o indisponibile alla buona battaglia. E’ quella parte di società che ha bisogno di un’altra politica, più alta rispetto alla quotidiana bagarre, all’eccesso di propaganda. Quella parte di società che bisogno di una politica capace di superare la logica per cui l’altro da te è tuo nemico, per cui o si sta di qua o di là. Io credo che sia significativo se soltanto i tentativi di cercare momenti condivisi, di trovare convergenze parlamentari, viene immediatamente bollato come se fosse il sinonimo del peggiore inciucio, della peggiore truffa nei confronti degli elettori.
Perché il bipolarismo è un valore ma non può significare che finita una campagna elettorale l’altra coalizione resta un nemico da combattere con eccessi di propaganda e deficit di politica. Su questioni delicate, che fanno tremare le vene ai polsi, o si è capaci di trovare obiettivi condivisi nell’interesse del Paese oppure diventa difficile far vincere una politica che parli alla parte sana del Paese, quella che tira la carretta ogni giorno. Serve una politica che garantisca la stabilità delle istituzioni. Io non ho esitazioni nel dire che in questo contesto di crisi internazionale e con la necessità del Paese di mettere sul mercato migliaia di titoli, con alcune nubi che arrivano da altri Paesi europei, di tutto c'è bisogno tranne che di una sfida tra Orazi e Curiazi o dell'ennesima campagna elettorale.

Non ho esitazioni nel dire che è necessario valutare le condizioni per un patto di legislatura è che a mio vedere il patto è qualcosa in più del compitino dei 5 punti con scolaretti che devono votare altrimenti è lesa maestà. Un patto è possibile a condizione che ci sia un colpo d’ala, una svolta che consenta di aprire una nuova fase: serve una nuova agenda politica, un nuovo programma di governo da qui alla fine della legislatura. Per quanto riguarda Fli, visto che ci hanno chiesto di essere chiari, per noi un nuovo patto è possibile a condizione che nell’agenda ci siano alcune grandi questioni che nei 5 punti programmatici non ci sono o sono accennate in mina parte,

In primo luogo, il rilancio dell’economia attraverso un nuovo patto sociale, a partire per esempio dagli stati generali sull'economia e il lavoro nel Paese. In una fase in cui mancava il ministro dello Sviluppo e qualcuno pensava che non era necessario, “tanto pensa a tutto lui”, c'è stata una prima pagina di un nuovo patto sociale con il tavolo delle parti sociali su cinque punti d'intesa. Un tavolo al quale hanno partecipato tutti, compreso la Cgil, Confindustria, Confragricoltura e altri: tutti, con i sindacati, si sono dati da fare per vedere cosa si poteva trovare in comune per un patto della crescita. Unica assente al tavolo era la politica, ma da quel tavolo sono uscite alcuni punti d’intesa tra datori di lavoro e parti sociali che andrebbero sostenute sul fronte degli investimenti sulla ricerca e l’ innovazione. Altri Paesi hanno subìto tagli più pesanti dei nostri ma sulle spese per ricerca e innovazione hanno investito di più. Da noi, dove non ci sono i grandi gruppi industriali e l’economia è sostenuta soprattutto dal tessuto delle Piccole e medie imprese, bisognerebbe essere coerenti. Le Pmi mai potranno destinare ingenti risorse ai brevetti, agli studi tecnologi, all’innovazione, se non li supporta lo Stato. Investire in ricerca e sapere significa mettere le piccole e medie imprese nella condizione di vincere la sfida sulla qualità dei prodotti, non sulla quantià, dove è impossibile competere con paesi come Cina e India. Queste non sono utopie, basta vedere altri paesi, come la Germania, dove la Merkel ha fatto una manovra dura ma alla voce ricerca e sapere non c’è segno meno ma segno più, nonostante nel loro tessuto economico il ruolo delle grandi imprese sia determinante.

Altro punto prioritario, fermo restando il problema della sburocratizzazione della pubblica amministrazione, è la necessità di intervenire sul meccanismo degli appalti nella pubblica amministrazione, garantendo legalità a trasparenza. Basta guardare quello che è accaduto negli ultimi tempi in Italia per capire che questi princìpi in Italia spesso non vengono rispettati. E in molti casi non è necessario che intervenga la magistratura per comprendere che l’unica regola è l’intermediazione della politica, con evidenti conseguenze sul malaffare. Così come è ormai non più rinviabile un intervento per legare i salati alla capacità produttiva: come si fa a non capire che chi lavora di più e meglio va pagato meglio di chi timbra solo il cartellino?

Tornando al tavolo tra le parti sociali, tra i suoi obiettivi c’era quello di utilizzare in pieno i fondi Fas, che non possono essere il bancomat a cui Tremonti ricorre quando la Lega glielo chiede per tamponare le emergenze. Se c'è una prova del fatto che il Pdl è afono e che la linea gliela la dà solo la Lega, è quando Tremonti ha preso i soldi dai fondi Fas per tacitare gli allevatori delle quote latte che avevano violato la legge. Per quanto riguarda le opere infrastrutturali, non ha senso mettere fondi su tutto, si dica quello che si può fare su alcune opere, basta l’illusione del “facciamo tutto”. Un ultimo punto uscito dal tavolo delle parti sociali è quello relativo alla necessità di dare corso a una fiscalità di vantaggio per il sud che non danneggi il nord, per metterlo in condizione di essere competitivo, visto che oggi sono tantissime le aziende italiane che de localizzano all’estero a condizioni più favorevoli. Certo se la linea del governo la detta la Lega non credo che per i nostri ministri sarà possibile dire che serve una inversione di tendenza.

Ma servono questi punti per avviare un processo per rilanciare il paese. Servono almeno due, tre riforme per l’ammodernamento del nostro sistema istituzionale. Le grandi riforme che si sono fatte - permettetemi una considerazione amara - tra il 1861 e il 1870, in un’epoca in cui ci si muoveva con i cavalli. La classe dirigente allora diede vita a riforme che servivano per l’Italia. Oggi, nell’epoca di internet, non vi è nulla di paragonabile a quanto fatto dalla classe dirigente dell’epoca.

Occorre abbinare la rappresentatività delle assemblee alla capacità degli esecutivi di governare. Io credo che nell’agenda per il patto di legislatura oltre alle cose di cui abbiamo parlato, vadano inserite alcune riforme, altro che i 5 punticini.
Sulla riforma del federalismo fiscale dico che è una considerazione fin troppo facile spiegare perché non ci sono stati ripensamenti o rallentamenti. Questo è un governo in cui, piaccia o meno, l’iniziativa politica è alla Lega. Il federalismo fiscale è in procinto di essere ultimato, e dico subito che non sono preoccupato perché prevedere il fondo di compensazione renderà possibile da parte regioni sud non rimanere indietro. Quel fondo per una lunga fase non prevederà il rischio di abbandonare il Sud a se stesso. Su questo ha ragione Adriana Poli non parliamo di federalismo solidale perché il federalismo o è solidale o non è. Io dico che quando il federalismo fiscale entrerà in vigore non ci sarà il pericolo, ma una bella sfida che farà emergere una capacità della classe dirigente perché forse qualcosa che gli amici della Lega non hanno compreso è che la classe dirigente del Sud non è meno capace di quella del Nord, aspetta solo di essere messa in condizione di mostrarlo. Il federalismo fiscale non comporta un rischio di disgregazione, ma sarebbe privo di senso senza un ammodernamento in senso federale dello Stato: la camera delle regioni, che rappresenti il territorio. Senza, sarebbe l’ennesima riforma incompiuta, che rischierebbe solo di peggiorare la situazione. Berlusconi assuma l’impegno di riscrivere l’articolo 117 e dar vita alla camera delle autonomie.

Patto di legislatura, nuova agenda, nuovo programma, rilancio delle istituzioni, riforme. So che ciò che sto per dire non sarà considerato con grande soddisfazione, ma se si vuole dar corso al principio di rispettare il popolo, che nelle sue mani ha lo scettro, allora non ci può essere un patto di legislatura se non si cancella una legge elettorale che è una vergogna. Avete diritto di scegliere i vostri parlamentari, non ci si può affidare solo alla leadership.

E’ necessaria una nuova agenda, è necessario un nuovo programma, è cambiato tutto dalle elezioni. Una nuova agenda e un nuovo programma. Berlusconi ha fatto un appello all’unità del centrodestra, della coalizione. E sarebbe facile ironizzare: “se se ne fosse reso conto un po’ prima che non c’erano solo schiaccia pulsanti, che non c’era alcun controcanto, nessuna voglia di dire solo no, ma il desiderio di aiutare la politica. Potrei ironizzare, ma non lo faccio . E’ certamente necessario verificare le condizioni per l’unità della coalizione ma il presidente Berlusconi ha detto qualcosa di più: “faccio appello ai moderati italiani, a tutti quanti non sono e non vogliono stare a sinistra. Bè, i moderati italiani si ritrovano particolarmente, in parlamento, in un soggetto che è l’Udc. Io credo che il presidente Berlusconi, che non è un ingenuo, anche se ama dire che di non essere un professionista della politica ne abbia capito i meccanismi, ma credo ne abbia sperimentato i peggiori.

È tra le cose possibili che il centrodestra si ricompatti solo perché, bontà sua, ha riconosciuto la nostra presenza? Futuro e libertà non può rinunciare alla sua identità, che è scritta nel manifesto, alle sue proposte, ai suoi progetti solo perché adesso è stato proposto un patto. Dobbiamo aggiornare l’impegno in ragione delle nuove esigenze.
Ed è altrettanto ingenuo pensare che l’Udc solo per l’appello ai moderati dica: “bene allora ora arriviamo anche noi”. E’ una logica che non attiene alla politica, è una logica che attiene ad altra attività: quella mercantile. Non c’è alcuna possibilità di un patto di legislatura se non si è chiari su questi aspetti: nuova agenda, nuovo programma.

E per rendere possibile tutto ciò credo che Berlusconi debba dimostrare quel coraggio già dimostrato in altre occasioni, che in passato gli ha già consentito colpi d’ala. Deve avere il coraggio di rassegnare le dimissioni, di salire al Colle, dichiarare che la crisi è aperta di fatto e avviare una fase politica in cui rapidamente si ridiscutano l’agenda e il programma, si verifichi la natura della colazione e la composizione del governo. Se Berlusconi avrà questo coraggio, questa sarebbe davvero una bella svolta del predellino. Noi certamente non ci tiriamo indietro, in ragione di quanto detto e fatto fin qui.

Se non ci sarà il colpo d’ala, se prevarranno i cattivi consiglieri – quanti cattivi consiglieri ci sono stati in queste settimane – se prevarranno quanti dicono quella di Fini è una trappola, se Berlusconi non darà ascolto ai cattivi consiglieri e ci sarà il colpo d’alta, tutti si assumeranno le proprie responsabilità amici miei.

Se al contrario ci non sarà, se prevarrà in lui quell’autoconsolatorio quanto fasullo assunto del “che problema c’è tanto ci penso io, mettiamo le cose a posto”, amici, è evidente che Ronchi, Urso, Menia e Buonfiglio non rimarranno un minuto in più in quel governo. Io li ringrazio per quello che hanno fatto e per come dimostrano che tra noi non c’è alcun tipo di divisione. Il nostro gruppo, i nostri vertici, continueranno a votare ciò che è condiviso e se neanche questa giornata convincerà Berlusconi ad aprire una nuova fase, è chiaro che il problema non sarà più chi resta col cerino in mano o chi stacca la spina. Se proseguiranno le furbizie e i tatticismi saranno gli italiani che la staccheranno. Gli italiani staccheranno la spina perché sono stanchi di un governo che non governa, di chi intende la stabilità politica come un paracarro, che sta lì, non si muove, non fa nulla e non ne prende atto. La stabilità è quella delle istituzioni che sono in grado di risolvere i problemi reali.

Questo è l’appello che Fli rivolge al governo nello stesso momento in cui ci è stato chiesto di essere chiari: noi ci siamo assunti le nostre responsabilità, che non ci spaventano, chiediamo che ci siano analoghe prese di responsabilità perché così non si può andare avanti. Lasciamo al premier l’onore e l’onere di dire se intende aprire una nuova fase con un’agenda e un programma discusso con noi, prendendo atto di quello che pensano gli altri, se vuole tirare a campare o tirare le cuoia, come direbbe Andreotti. Qualunque decisione ci troverà con la coscienza a posto. Il senso profondo di questa due-giorni è che Fli non è un partitino o un esperimento, è un ambizioso e coraggioso ed estremamente nobile tentativo di dare voce autentica al nostro popolo, ridargli la speranza di una Patria che si risolleva. Noi non vogliamo nuove elezioni, ma se qualcuno le vuole sappia che non ci spaventano. Lasciamo ad altri l'onere di dimostrare se ha davvero a cuore l'interesse del Paese o vuole rimanere a palazzo Chigi in attesa che passi la bufera. Viva l’Italia, viva Futuro e libertà.

(Questa trascrizione è stata fatta in tempo reale, va pertanto considerata una bozza da aggiornare)

Discorso pronunciato a conclusione della prima convention di Fli a Bastia Umbra il 7 novembre 2010

domenica 5 settembre 2010

ConFini!

Ffwebmagazine - Avanti con Futuro e libertà

Il Pdl non c'è più. E adesso bisogna lavorare per il bene del paese

Avanti
con Futuro e libertà

di Gianfranco Fini*
Care amiche e cari amici di Mirabello, ogni volta che ho avuto modo di prendere la parola in questo piccolo paese che mi è caro per tante ragioni, ogni volta, ho sempre provato una certa emozione. Per ragioni note, perché qui affondano le radici di una parte della mia famiglia, perché qui anni fa un uomo certamente capace di guardare avanti, indicò al suo popolo la necessità di un salto di generazione. E credo che la presenza qui di un uomo come Mirko Tremaglia sia la più bella dimostrazione di quella idea e continuità. Mirabello come luogo - per tanti di noi - delle emozioni, che nel corso del tempo, dall’Msi ad An, si sono rinnovate. Qui la destra italiana ha vissuto dei momenti importanti. Qui, con Pinuccio Tatarella, annunciammo An. Qui, preconizzammo quell’ulteriore svolta che portò al Pdl. Ma, tutte le volte, credetemi, l’emozione è quella di ieri. Ma credo che mai nel mio cuore ci sia stata un’emozione forte come quella che provo ora. Questa festa del 2010, appuntamento rilevante per l’intera politica italiana, non solo per il Pdl. Mirabello è per un giorno la capitale della politica italiana. E credo, caro Vittorio Lodi, che questo sia il regalo più bello che ti possiamo fare: un appuntamento per la politica nazionale. Un ringraziamento sincero a Vittorio, a tutti gli uomini e le donne che ci hanno raggiunto da tutto il paese. È la dimostrazione di un popolo che è qui perché non precettato, ma sente il profondo desiderio di partecipare, di ritrovare l’impegno politico, all’insegna di alcuni valori. Un popolo di uomini e donne che si ritrova. Spero che questa piazza che mi dà forza, e vi ringrazio, in questa fase di difficoltà possa esser l’occasione da parte mia per dare un contributo di chiarezza su quello che è accaduto e su quello che accadrà. Che cosa è accaduto in questo periodo estivo? Non lo si capisce se non si va indietro al 29 luglio. Quando l’ufficio politico del Pdl, dopo una riunione durata un paio d’ore, in mia assenza, mi ha di fatto estromesso dal partito, che io ho contribuito a fondare in rappresentanza della destra italiana. Al termine di questa riunione è stato approvato un documento in cui è scritto che la nostra linea politica era un continuo stillicidio, spesso in sintonia con l’opposizione e i temi della sinistra, e partecipe - questa fa ridere – con l’azione delle procure. Per cui Fini non sarebbe stato coerente con i principi del Pdl. E quindi, per fare chiarezza non c’è stata alcuna fuoriuscita, nessun tipo di scissione, nessun atteggiamento teso a demolire. Di fatto, un atto profondamente illiberale che nulla ha a che spartire con il pluralismo proprio di un partito liberale. Un atto, non ho difficoltà a dirlo, che forse è stato ispirato da quel libro nero del comunismo che ci fu regalato al congresso di An, un atto in perfetto stile stalinista. Quel documento fu una brutale aggressione al dissenso, teso ad annullare ogni tipo di diversità. E allora ragioniamo, chiediamoci. In quello che è stato definito “partito dell’amore” è possibile fare delle critiche? Da parte mia ci sono state, abbiamo fatto anche proposte. È possibile dire, ad esempio, che a fronte di un governo che per certi aspetti ha ben fatto contro la crisi, forse si potevano modulare in modo diverso quei tagli lineari alla spesa che hanno determinato due clamorose proteste. Mi ha ferito, ad esempio, quando a Venezia ho visto le forze di polizia manifestare il proprio dissenso.
Credo che meriti rispetto ogni dirigente, ogni cittadino colpito da quei tagli che non andavano fatti, e penso anche ai tagli ai fondi alla scuola, causa della protesta dei precari che ancora non sanno se fra qualche giorno avranno la cattedra. Non è una critica demolitoria. Allora, è lecito avanzare critiche, esprimere dubbi? Come quelli nei confronti del federalismo fiscale, non in sé ma per come viene attuato. Il federalismo fiscale è una grande occasione per l’Italia, certo, ma in alcuni momenti è apparso che così non fosse. Lo so che sono prospettive non condivise da tutti. Ma io le ho avanzate consapevolmente. Per esempio, quando si parla di lotta all’immigrazione clandestina si deve parlare anche di integrazione dell’immigrato onesto. E ancora, il garantismo è un principio sacrosanto, ma mai e poi mai può essere considerato una sorta di impunità permanente: garanzia dell’imputato, certo, ma i processi si devono svolgere. Tutto questo è eresia, è disfattismo? È stillicidio polemico ribadire che la magistratura è un caposaldo della democrazia? Non si può a causa di qualche mela marcia contestare quello che rimane un presidio della nostra Repubblica. È uno stillicidio dire che noi siamo un grande partito nazionale, e che proprio perché deve avere a cuore tutti, da Vipiteno a Lampedusa, non può appiattirsi su un alleato come la Lega che ha dimensione locale? Perché accontentare un migliaio di produttori di latte che sforavano le loro quote solo per compiacere Bossi a scapito di tanti agricoltori onesti? Il Pdl doveva essere un grande partito nazionale, un grande partito occidentale. Con valori di riferimento precisi: libertà, rispetto e dignità della persona umana. E se non fossi stato espulso dal Pdl avrei detto quello che dico adesso: quello di Gheddafi a Roma, un personaggio che non ha nulla da insegnarci, è stato uno spettacolo indecoroso. Da ex ministro degli Esteri conosco le ragioni della realpolitik, posso anche arrivare a dire che ci possa essere una quota di realpolitik in una logica di interessi nazionali. Ma questo non può portare a una sorta di genuflessione. E allora, continuando, è possibile dire all’interno del Pdl, come ho detto in passato, che c’è un preciso dovere per chi ha responsabilità istituzionali, quello di rispettare le altre istituzioni? Quando il premier chiede che gli venga riconosciuto il rispetto dovuto, lui deve riconoscerlo agli altri, in primis al capo dello Stato che rappresenta la Costituzione. E si deve rispettare il Parlamento, che non è una dependance dell’esecutivo. E non lo dico da presidente della Camera, ma perché devono essere equilibrati i poteri. È stillicidio dire che governare è una nobile e ardua impresa ma non può mai significare comandare? Sì, perché governare significa comprendere le ragioni di tutti e garantire equilibrio. E sempre per essere chiari: era stillicidio, provocazione, boicottaggio, ribadire che il Pdl doveva essere la garanzia di portare a termine grandi riforme economiche e istituzionali? È vero, la crisi è stata un ostacolo. Ma perché non si parla più di una grande riforma per far nascere l’alba di una nuova repubblica? Non avevamo concepito il Pdl per mantenere l’esistente, ma come forza di vero e autentico cambiamento.
E, ancora, è stata dimostrazione di preconcetta ostilità ribadire che in questa fase di crisi - in cui è ancora più indispensabile l’impegno per una politica con più attenzione al sociale – promuovere la rivoluzione del merito che deve diventare non un impegno elettorale, ma un atto politico conseguito giorno per giorno per privilegiare chi è più capace. E ritengo di avere diritto di porre alla mia comunità politica anche quesiti scomodi e questo non credo meriti il gesto infastidito di chi li dice incompatibili con l’atteggiamento politico. Il presidente del Consiglio, lo dico senza ironia, ha tanti meriti, ma anche qualche difetto: innanzitutto quello di non capire che in una democrazia non può esserci eresia. Gli siamo tutti grati per quello che ha fatto nel ’94, per aver battuto la cosiddetta macchina da guerra, ma la gratitudine non implica che non possa esistere il confronto, che i distinguo debbano essere accusati di lesa maestà: perché non siamo un popolo di sudditi. Io gli ho contestato la sua attitudine a confondere la leadership con quello che è l’atteggiamento di un proprietario di azienda. Proprio perché il Pdl ha aperto orizzonti di grandi speranze, non può essere derubricato a contorno del leader, ma deve essere una fucina di idee, un polmone che respira e dà ossigeno all’intera nazione. Rivendicare la possibilità di esprimere opinioni non è boicottaggio ma democrazia interna, fisiologia di un partito di massa, non teatrino della politica. È possibile che la sola volta in cui si sia riunita la direzione del Pdl abbia segnato il momento di avvio del processo che ha portato al 29 di luglio? Giorno che considero lesivo non della mia persona, ma di un grande partito che è il Pdl e si fonda sulla democrazia.
Continuare in questa dialettica interna non significa tradire gli elettori perché ci sono tanti, tanti elettori del Pdl autenticamente moderati che non si accontentano dell’affermazione “siamo il partito dei moderati”. Ci sono per davvero tanti elettori del Pdl convinti che la ragione prima della politica sia garantire l’interesse generale, della polis, l’interesse nazionale, non l’interesse di una parte. C’è gente che non capisce perché il Pdl anziché lavorare per unire, lavori per dividere, per alzare gli steccati, per determinare scontri.
Ecco il Pdl autenticamente nazionale. Certo, questi elettori del Pdl sono in molti casi donne e uomini che hanno votato Alleanza nazionale, ma non solo. Sono elettrici ed elettori di altre tradizioni politiche. E ne abbiamo avuto la riprova dopo l’espulsione, quando si sono costituiti i gruppi di Futuro e libertà. Si sono uniti uomini e donne che non avevano avuto niente a che fare con quella tradizione politica.
Il ringraziamento che voglio fare è a quei parlamentari che non erano mai stati a Mirabello. Fli non è An in sedicesimo. Chi lo pensa non ha capito assolutamente nulla. Qui c’è il tentativo difficile ma doveroso di non disperdere quel sogno. Dobbiamo dare risposte alle tante donne e ai tanti uomini che nemmeno leggono più le pagine della politica, che nutrono fastidio per telegiornali e giornali che sembrano essere fotocopie. Nel Paese sta crescendo il distacco nei confronti della politica. Fli, come punto di riferimento di tanti elettori che nelle ultime elezioni magari si sono astenuti o che nelle prossime amministrative, senza un’alternativa, si asterrebbero. Sono elettori che ci dicono di andare avanti, di cercare di difendere non solo le nostre buone ragioni ma i principi originari, più autentici del Pdl, che ci chiedono di dar vita a una buona politica, che è l’unico antidoto alla sfiducia crescente nelle istituzioni. Quando tante persone perdono fiducia nella politica è la vigilia di momenti che possono essere più problematici. Il Pdl, come lo avevamo concepito e voluto, è finito il 29 luglio perché è venuta meno la volontà di dar vita a quel confronto di idee che è il sale della democrazia. Il Pdl non c’è più, ora c’è il partito del predellino. Per certi aspetti il Pdl è Forza Italia che si è allargata con qualche colonnello o capitano che ha soltanto cambiato generale e magari è pronto a cambiarlo ancora. E il fatto che il Pdl non c’è più è la ragione per la quale è facile rispondere alla domanda: cosa accadrà? Ed è molto più facile rispondere se si ragiona, piuttosto che se ci si fa prendere dai desideri o dalle paure. Fli non può rientrare in ciò che non c’è più, non accadrà. Non si entra in ciò che non c’è più, si va avanti con le nostre idee, con il nostro impegno, con la nostra elaborazione politica. Non ci ritiriamo in convento né erriamo raminghi in attesa del perdono.
I gruppi parlamentari non possono essere trattati - Berlusconi è un uomo di spirito e non se la prenderà - come se fossero dei clienti della Standa, che se cambiano il supermercato dove fino a quel momento si sono serviti ottengono poi il premio di fedeltà. I parlamentari che stanno con noi hanno voglia di far politica, di parlare con la gente. Si va avanti con le nostre idee, con le nostre proposte, si va avanti senza farci intimidire da quello che è stato definito il “metodo Boffo”, messo in campo nell’ultimo mese da alcuni giornali che dovrebbero essere il biglietto da visita del cosiddetto partito dell’amore. E se questo è l’andazzo, immaginate se non erano amorevoli cosa poteva succedere. Non ci facciamo intimidire perché di intimidazioni ne abbiamo vissute ben altre, in anni in cui i pericoli per la destra erano ben altri. Non ci facciamo intimidire da campagne paranoiche e patetiche. Paranoiche perché indecenti, e patetiche perché non si rendono conto del disprezzo che gli sta montando attorno.
Noi attendiamo fiduciosi i riscontri della magistratura, che dirà e stabilirà i responsabili di tanta volgarità, di tante menzogne e falsità. Altro che valori della libertà. È stato un atteggiamento infame, non perché rivolto alla mia persona, ma alla mia famiglia, ed è tipico degli infami. Si va avanti e lo si fa per tenere fede allo spirito delle origini, si va avanti per non tradire lo spirito del Pdl, si va avanti per evitare che il governo commetta altri errori, si va avanti – e se lo tolgono dalla testa - senza cambi di campo, senza ribaltoni e ribaltini, perché da questo punto di vista le polemiche sono indice dello scarso livello del comprendere. Si va avanti convinti, come siamo, della necessità di portare a termine il patto scritto con gli elettori, senza dimenticare parte del programma, senza inventare altre cose che poi diventano, a comando, emergenze. Si va avanti anche quando il presidente del Consiglio presenterà il patto dei cinque punti – la riforma della giustizia, il Mezzogiorno, il federalismo, il fisco e la sicurezza - è di tutta evidenza che i nostri capigruppo parleranno chiaro e forte e parleranno senza distinzioni tra falchi e colombe, perché a noi non interessa l’ornitologia.
E i parlamentari di Futuro e libertà, se vogliono ridare dignità e spirito di attuazione a quello che era il progetto del Pdl, possono opporsi ai capisaldi del programma? E allora sosterremo da donne e uomini liberi questo programma. Ma credo che non possa essere negato, a noi come a nessun deputato o senatore della maggioranza, di chiedere come si declineranno questi obiettivi del programma. Con spirito costruttivo chiederemo come si vuole dare vita a questo programma. Fli non rema contro, ma rappresenta l’azione politica di chi vuol far camminare veloce il governo in modo proficuo ristabilendo anche un buon rapporto con la pubblica opinione (perché c’è qualche segnale di stanchezza, amici miei, sondaggi o non sondaggi). Cercheremo di dare vita a un patto di legislatura, dunque, per riempire di fatti concreti gli anni che ci separano da quando andremo a votare. È un “interesse nazionale”, e per questo riteniamo che sia avventurismo politico minacciare un giorno sì e l’altro pure le elezioni, magari per intimidirci e magari per regolare i conti con qualcuno. Governare è fatica, confidiamo nel senso di responsabilità di tutti, nessuno escluso. Perché il fallimento di questa legislatura sarebbe un fallimento per tutti: per me, per Fli, per Berlusconi. E credo che ne sia cosciente, Berlusconi. Perché al di là di tante espressioni polemiche, quando si ottiene una fiducia talmente ampia e si ottiene una maggioranza parlamentare come mai era capitato nella storia della Repubblica, la prima cosa da fare non è mettere alla porta il dissenso o chi magari è antipatico, ma governare. Siamo certi che un patto di legislatura posa garantire la legislatura. E credo che ne siano consapevoli anche Bossi e la Lega. Bossi capisce gli umori della gente, è un leader popolare. Abbiamo polemizzato spesso, è vero. Solo chi non conosce la storia, oltre che la geografia può pensare che la Padania esista per davvero! Bossi ha capito che quella bandiera che ha alzato per primo anni fa, anche raccogliendo l’ironia e lo scetticismo di molti, il federalismo, può essere una bandiera da alzare, che determinerebbe il compimento di quella missione storica che Bossi ha dato al suo movimento. Ma il federalismo è possibile solo se è nell’interesse di tutta l’Italia. Bossi è uomo concreto, sa che il nord ha bisogno del federalismo a condizione che sia nel nome dell’interesse generale. E potrei tranquillamente dire che nella commissione bicamerale con trenta componenti per il federalismo fiscale, il nostro senatore Baldassarri è determinante. Allora, discutiamo assieme a Lega e a Forza Italia allargata di che significa federalismo equo e solidale. È una grande questione che non si riduce al rapporto tra Calderoli e Tremonti. Si può realizzare a patto che si stabiliscano i costi standard.
Il Meridione ha tutto da guadagnare da una riforma in senso federalistico, nella quale è indispensabile valutare i costi standard nelle regioni, perchè nessuno può obiettare il fatto che i costi in Emilia Romagna non sono la stessa cosa di quelli in Calabria. Nessuno difende la spesa storica, quella in base alla quale le amministrazioni si vedevano pagare le loro spese a pié di lista, ma la definizione dei parametri di spesa non può non essere discussa, come si deve discutere dei tempi del federalismo o di cosa voglia dire fondo perequativo. Tanto più che, con questa riforma dobbiamo essere all’altezza di una ricorrenza, quella della celebrazione dei 150 anni di unità italiana, che non deve essere solo ricostruzione dei tempi storici, ma occasione per una riforma nazionale, che non lasci indietro alcune regioni, che non sia espressione di egoismo di parte ai danni di tutti. L’Italia una e indivisibile è non solo interesse del Sud, ma anche del Nord. E basta vedere cosa accade fuori dalla nostra nazione per occorgersi che se la crisi della Grecia fa tremare la Germania, la Padania non può certo sopravvivere alla crisi di un solo paese europeo o che si affaccia nel Mediterraneo. L’Italia ha il dovere di confermare la sua unità e di mettersi in competizione con gli altri paesi. Ha il dovere di fondare un nuovo patto di legislatura, che non sia più un tavolo a due gambe, né un accordo gestito con quiescenza.
Ma che fine ha fatto nel programma quel punto con il quale si pigliavano gli applausi relativo all'abolizione delle province? Che fine ha fatto quel punto del programma che prevedeva la privatizzazione delle municipalizzate? È stato sufficiente capire che in alcune aree diventavano i tesoretti di un partito per allineare la Lega alla sinistra italiana. Il nuovo patto di legislatura non è più soltanto tra Berlusconi e Bossi, ma nell'interesse di tutti, della Lega ma anche di Silvio Berlusconi. Sono convinto che nel suo realismo e pragmatismo metterà da parte l'ostracismo, anche perché non ci fermiamo. È inutile che dicano “facciano quello che vogliono”, perché lo faremo. Non servono a nulla gli ultimatum anche perché non ci spaventano. Silvio Berlusconi ha il sacrosantodiritto di governare, perché è stato scelto in modo inequivocabile dagli elettori e non ho alcuna difficoltà a dire che pensare a scorciatoie giudiziarie per toglierlo di mezzo, rappresenterebbero un tradimento del volere democratico. Nessuno è contrario al lodo Alfano o al legittimo impedimento. Siamo convintissimi che occorra risolvere la questione relativa al diritto che Berlusconi ha di governare senza che vi sia l'interferenza di segmenti iperpoliticizzati della magistratura che vogliono metterlo in fuorigioco. Affidare al dottor Stranamore - che è l'onorevole Ghedini - è incomprensibile. La soluzione non si trova mai e il problema si acuisce. Non va fatta una legge ad personam che danneggi parte della società, ma una legge a tutela del capo del governo, del capo dello Stato che esiste in molti paesi d'Europa.
Il che non vuol dire impunità, non vuol dire cancellare i processi, ma la sospensione degli stessi. E dobbiamo farlo cercando di avere in mente che alcune riforme sono giuste: come si fa a essere contrari al processo breve? Si deve lavorare per quello e dobbiamo ricordare a proposito che l’Ue ci ha condannati più volte per l’eccessiva durata, occorrono anni per sapere come va a finire. Ma la cosa che non è accettabile è che una volta che il testo che è arrivato dal Senato si stravolga con il rischio che nel momento in cui tante vittime aspettano di sapere il destino del processo li si lasci poi con un pugno di mosche in mano. La riforma va fatta per garantire i cittadini. La riforma della giustizia non può essere fatta contro la magistratura, che certamente non ha il compiuto di interferire con il parlamento. E allora discutiamo in parlamento, di come garantire a Berlusconi il diritto di governare, discutiamo anche con le parti più responsabili dell’opposizione: una dimostrazione su questo punto l’ha data Casini. Discutiamone anche delle proposte che derivano dall’opposizione, senza che i solerti consiglieri del principe hanno subito stracciato, come quella dell’avvocato Pecorella. Facciamo la riforma della giustizia senza per questo determinare però un perenne cortocircuito tra il potere politico e la magistratura. È un impegno gravoso, difficile, che comunque dobbiamo portare avanti. Se la sovranità appartiene al popolo, la sovranità si esprime i tanti modi. Qui vogliamo rilanciare una proposta: una di quelle per le quali dicono “Fini dice cose che lo avvicinano alla sinistra”: la sovranità popolare significa anche che la gente ha il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Se la sovranità è popolare credo che la gente abbia il diritto di scegliere anche questo. Federalismo e giustizia: sono grandi questioni, ma non posso:no essere i soli temi del dibattito. Perché l’attenzione degli italiani non è rivolta solo per la giustizia: oggi tanti italiani sono preoccupati per le condizioni economiche.
Gli italiani nel nord come nel sud sono preoccupati per le condizioni economiche e sociali, per il lavoro: non è propaganda, né demagogia, né “fare il verso” all’opposizione. Sono i problemi delle famiglie. Fli deve fare tutto per affiancare ai due temi del federalismo e della giustizia gli altri temi che davvero interessano i cittadini. Teniamo presente quello che hanno detto il capo dello stato, le imprese, i lavoratori. Possibile che nei 5 punti non ci sia nulla per far ripartire l’economia e renderla competitiva? C’è un Italia preoccupata. E Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo, ma non può essere ottimismo solo verbale, deve diventare azione concreta. Perché, fermata la crisi (e il nostro governo ha operato bene in questo senso), oggi dobbiamo far ripartire l’economia. Non possiamo accontentarci che le entrate siano garanzia dell’economia. Serve il coraggio politico di ridare vita a quelle riforme che erano nel programma originale del Pdl e di cui non sento parlare: per esempio, il superamento dei due miti fasulli del novecento, la lotta di classe e il mercatismo. È arrivato il tempo di dare vita a una sintesi, a nuovo patto tra capitale e lavoro: significa mettere i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata. Una proposta che feci in occasione di quella direzione nazionale e che è caduta nel nulla, è una riforma del mondo del lavoro. Serve una politica che comprenda le esigenze del nostro mondo produttivo. I piccoli imprenditori lo sanno meglio di tutti. È importante ricordare che il tessuto produttivo è diverso da altri paesi, si basa su imprese medio piccole. Si tagli il superfluo, ma non si lesini in infrastrutture, in ricerca, in produzione di eccellenze di avanguardia. Viviamo in una fase in cui i giacimenti culturali valgono più - nella globalizzazione - dei giacimenti petroliferi. Dobbiamo investire, anche se è evidente che la coperta è corta. Sarebbe facile dire “il governo tiri fuori le risorse”. Ma dobbiamo passare dallo scontentare tutti a dire che c’è un settore su cui si deve investire, ed è il settore connesso a ciò che può dare competitività al nostro sistema produttivo. Soprattutto per le nostre imprese che esportano: non basta pensare alla delocalizzazione delle imprese, ma bisogna attrarre capitale e mettere chi vuole nelle condizioni di aprire un'impesa. Vuol dire dare attuazione ai punti qualificanti del programa del Pdl. Non voglio affondare il coltello nel burro ma nonostante il ghe pensi mi, vi sembra possibile che ancora non si conosca il nome ministro allo Sviluppo economico, in quale altro paese sarebbe possibile?
È chiaro che deve essere un ministro capace di ragionare e lavorare con il ministro dell’Economia. Ed è chiaro che serve una politica capace di liberalizzazioni, una politica che riesca a dare vita al patto generazionale. Perché credo ci sia un altro grande campo in cui un governo di centrodestra che ha a cuore il governo nazionale non deve risparmiarsi: è il contesto giovanile, infatti non esiste genitore degno di questo nome che non sia disposto a fare un sacrificio personale per il futuro dei propri figli.
La questione giovanile è centrale, e mi piange il cuore che tra i giovani ci sia un disoccupato su quattro. C’è chi contrabbanda la flessibilità, che è invece necessaria per l’economia e per le imprese, con la precarietà permanente: dimenticano che in Germania ci sono sì molti contratti a tempo determinato, però lì le buste paga non sono certo leggere come da noi, ma spesso più corpose di quelle dei contratti a tempo indeterminato. E dobbiamo renderci conto che il patto generazionele è importante come quello tra Nord e Sud se abbiamo a cuore il governo nazionale.
Perché non è giusto che serva l’aiuto del nonno per far vivere più sereno il nipote: si è completamente ribaltato il mondo, prima spesso era grazie al lavoro del nipote che si sosteneva il nonno.
Poniamoceli questi problemi. Chiediamo ai ragazzi un impegno e quando dico andiamo avanti e non ci fermiamo, lo dico anche perché in queste settimane abbiamo visto come siano i più giovani a dirci “provateci, non vi fermate, siamo con voi”. Credo che sia estremamente bello vedere anche qui questa sera tante ragazze e tanti ragazzi che vogliono ancora credere in una politica capace di costruire il loro futuro. Il futuro della libertà. E la prima libertà è metterli nella condizione di far vedere ciò di cui sono capaci. Che fine ha fatto la rivoluzione meritocratica. Preoccupiamoci delle condizioni sociali. Credo che debba destare preoccupazioni in tutti leggere che nell'ambito della cosiddetta spesa sociale il nostro paese è uno degli ultimi paesi in Europa. Perché andrà avanti Futuro e libertà, perché sono servite le fondazioni che hanno riempito un vuoto? È doveroso chiedersi visto che la società è profondamente cambiata, la spesa sociale deve essere rivolta verso quelle categorie tradizionalmente più deboli o non è il momento di investire su quella famiglia che rimane il luogo in cui da sempre si dà vita alla trasmissione di valori, si crea la condizione per la quale ci si sente figli di una comunità? Un welfare delle opportunità per i giovani, basato sulle esigenze della famiglia, soprattutto quella monoreddito. Oggi il centrodestra deve saper tradurre in realtà ciò che era stato inserito nel programma di governo.
Intervenire con con politiche a sostegno delle famiglie, vuol dire anche che se nei cinque punti c’è la riduzione del carico fiscale non possiamo annunciarlo e basta ma si deve assume l’onore di fare delle proposte. E noi queste le abbiamo fatte: interveniamo ad esempio sul cosiddetto quoziente famigliare, che faccia si che chi ha a casa più figli o un disabile abbia poi un carico fiscale diverso dagli altri. Ed è necessario che di tutto ciò ne parliamo in parlamento, e mi fa piacere che lo abbia fatto ad esempio il ministro Tremonti. E facciamolo cercando di coinvolgere anche le opposizioni, se hanno delle idee, per capire anche se il concetto di interesse nazionale ha fatto breccia anche da quelle parti. Una maggiore giustizia sociale fa cuore a tutti, un governo grande sa prendere la buona idea anche se viene dall’opposizione. Prendiamo a raccolta questa Italia che lavora. L’Italia che lavora, che poi equivale all’Italia onesta, che quando sente parlare di etica del dovere non ha l’atteggiamento di chi alza le spalle e dice “è ragnatela del passato”. È l’etica che il padre insegna al figlio, e la politica deve sentire il dovere di praticarla. Assieme al senso civico. Basta con questo egoismo diffuso, basta con questa Italia parcellizzata, che non si interressa del vicino…
Il senso civico, il senso di appartenenza. Basta con questo egoismo diffuso, con questa Italia parcellizzata che non si fa più carico del disagio del vicino. Una politica nazionale non ha timore di parlare di legge come garanzia per il più debole. Perché da che mondo a mondo se si dice che “la legge è uguale per tutti”, perché la garanzia serve ai più deboli, non ai più potenti, a chi riesce a piegarla ai suoi interessi. Questoè il centrodestra. Se crediamo in queste cose, non stanchiamoci di ringraziare chi fa il suo dovere per lo stato: è gratitudine, è senso civico. Essere servitori dello stato, nell’Italia che sogniamo, deve essere motivo d’onore non si può dire che “sono poveretti che non sanno che altro fare e allora decidono di entrare nei carabinieri”: significa servire il nostro popolo, la nostra patria. E ancora più convinti di prima, portiamo avanti la lotta contro ogni forma di criminalità, compresa quella dei colletti bianchi, dei furbetti del quartierino, di chi pensa che il garantismo è impunità. Contnuiamo la lotta per la legalità, rilanciamo ildecreto anticorruzione: cosa costa rimetterlo al centro dell’attenzione del Parlamento? Discutiamo sull’opportunità di stabilire un codice etico per chi ha cariche pubbliche. Stabilendo ciò che è legale e ciò che no, ma anche ciò che è opportuno e ciò che è no. Su questi temi e su altri, lavoriamo per unire non per dividere. Su queste questioni cerchiamo di dare vita a una politica che segni un salto di qualità. Gli italiani sono stanchi di questa perenne campagna elettorale che non finisce mai, di questo trionfo della propaganda, di questa ordalia quotidiana. Fli guarda a un futuro per unire, siamo convinti che su queste questioni, con un azione politica che parta dal centrodestra si possano ritrovare anche altri. Gli italiani sono stanchi di muri e di risse, smettiamola con gli insulti, con gli appelli che cadono nel vuoto. Diamo vita a una politica che sia capace di uno scatto di orgoglio, di uno scatto di reni, in nome di ciò che è giusto, non di ciò che è utile. Sapete, in molti mi hanno detto: “Chi te lo fa fare? Ma aspetta, sei più giovane!”. Ma io credo che se vogliamo ridare all’Italia quella passione che merita, allora basta con l’utilitarismo, con la logica del meglio domani che oggi…
Basta con l’utilitarismo, basta con il calcolo del farmacista, basta con il meglio attendere domani. Bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo, bisogna dare un senso alla politica e bisogna farlo nel nome delle nostre idee e della nostra concezione politica. Ricordando quello che avevamo nel cuore a 18-20 anni, quando nessuno di noi pensava all’ingresso in Parlamento o a cariche istituzionali e nessuno era mosso dall’utilitarismo, né c’era qualcuno che diceva «aspetta non ti conviene, sai è permaloso». Tenendo bene a mente, come ci piaceva dire da giovani, che se un uomo non è disposto a lottare per le proprie idee o non valgono niente le sue idee o non vale niente lui come uomo. Allora, in nome di un centrodestra autenticamente liberale, nazionale, riformatore, sociale, europeo, avanti con Futuro e libertà per l’Italia!

Testo integrale del discorso pronunciato in occasione della Festa tricolore, Mirabello, 5 settembre 2010

giovedì 26 agosto 2010

Ffwebmagazine - Credere, obbedire combattere: ecco la novità della "destra berlusconiana"

Questo l'avrei voluto scrivere io!!!!


Ffwebmagazine - Credere, obbedire combattere: ecco la novità della "destra berlusconiana"


C'è chi non tradisce "i valori" e soprattutto non tradisce Lui. Meno male!

Credere, obbedire combattere: ecco
la novità della "destra berlusconiana"

di Filippo Rossi
Non vi preoccupate, vossignori, la destra c’è. È viva è vegeta. E sta, ovviamente, tutta nel Pdl. Non vi preoccupate, la destra esiste ancora, perché c’è chi non tradisce i valori assoluti, perché le radici profonde non gelano, perché c’è chi non rinnega. La destra cresce e crescerà all’ombra di Silvio Berlusconi, unico sdoganatore, unico comandante (o versione latineggiante della definizione), unico salvatore. Non vi preoccupate, vossignori, i badogliani non vinceranno. Perché i duri e puri, i militanti, quelli delle sezioni, quelli con le palle, fanno la guardia al capo di Arcore, cavalcando la tigre, ergendosi su un mondo di rovine (o veline?). Perché Lui ci ha salvato, ci ha sdoganato, e lo difenderemo fino alla morte: battaglioni compatti, milizia per sempre fedele, per sempre devota.

Non vi preoccupate, vossignori, la destra c’è. E si batterà per quello in cui crede. Sarà una battaglia dura, senza esclusione di colpi. Ma la destra viva e vegeta è così: è eroica, è intrepida. E non tradisce MAI. Perché la destra non tradisce la destra. Non tradisce i suoi Valori, la sua Fede. (E il suo Emilio Fede). La destra non tradisce il proprio Capo. Il proprio Duce. (Battaglioni di Silvio, battaglioni…). Perché la destra è dura e pura, è fedele alla linea. Meglio: è fedele a chi detta la linea. La destra è così: combattente. Va alla guerra. E quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Perché la destra, quella vera, quella fedele, quella genuina, sa prendere ordini; sa obbedire; sa, alla bisogna, turarsi il naso. E sa non guardare a un palmo dal naso.

Non vi preoccupate, vossignori, la destra c’è. Coerente con la propria storia. Coerente con le cose giuste e le cose sbagliate. Coerente con tutto. Perché la destra è così: NON CAMBIA MAI IDEA. Come diceva Giuseppe Prezzolini? “La coerenza è la virtù degli imbecilli”. Ecco cos’è la vera destra. E se lo dice uno di destra come Prezzolini, bisogna credergli! Perché la destra crede, obbedisce e combatte! Al resto ci pensano gli altri. (Meno male che Silvio c’è).

Non vi preoccupate, vossignori. La destra c’è, anche se non sa quel che è.

26 agosto 2010

Secolo d'Italia - Politica

é mai possibile che mi tocchi ammirare sconsideratamente una banda di fascisti!

Secolo d'Italia - Politica

Una tantum, replica ai veleni e alle bugie

Flavia Perina

Dopo l’editoriale che chiedeva alle donne del Pdl di pronunciarsi sul linciaggio di Elisabetta Tulliani e l’intervista a “Repubblica” sullo stesso tema tanti colleghi mi hanno chiesto: perché nessuna risposta? Come mai le destinatarie dell’appello hanno preferito non pronunciarsi, né a favore né contro? Basta leggere “Libero” e “Il Giornale” di oggi per capire il motivo del silenzio. Chi parla è perduto. Chi rompe il fronte è condannato al plotone di esecuzione mediatico. Ed evidentemente l’intimidazione sortisce i suoi effetti: anche io, che una qualche esperienza di prima linea ce l’ho, sono rimasta a bocca aperta davanti alla violenza mistificatoria con cui la fabbrica del fango ha reagito a un appello politico e a un ragionamento sulla concezione della donna coltivata da alcuni settori del Pdl. Non me lo aspettavo. E tuttavia sono contenta di un fatto: nessuna collega del Pdl si è prestata a dare manforte all’operazione di Belpietro e di Feltri, nessuna (almeno in prima battuta) ha messo il suo nome e la sua faccia al servizio dei lapidatori. Ringrazio tutte: so che sono state sollecitate a intervenire e si sono sottratte.
Ma veniamo al punto. Anzi, ai punti che sono essenzialmente due. Il primo è facile da liquidare: Vittorio Feltri accusa il “Secolo” di doppiopesismo, sostenendo che il nostro quotidiano non ha mai difeso Mara Carfagna e altre esponenti del Pdl finite nel tritacarne mediatico della sinistra. È una assoluta menzogna e la collezione del giornale è lì a dimostrarlo con editoriali di prima pagina, interviste, pubbliche prese di posizione per le quali il ministro (che all’epoca nemmeno conoscevamo personalmente) ci ringraziò più volte. Eravamo e siamo convinti che la campagna anti-Mara rispondesse a uno stereotipo sessista che abbiamo sempre contestato – quello secondo cui le donne schierate a destra sono belle oche e fanno carriera ancheggiando – e ripetevamo che la Carfagna (come la Gelmini, come la Prestigiacomo, come tante altre) andasse giudicata sui fatti e non sull’estetica o sulle sue scelte private. Ed è esattamente lo stesso spirito che ha animato l’appello contro la fucilazione quotidiana di Elisabetta Tulliani: una che nemmeno sta in politica e che viene bersagliata solo perché è la compagna di Fini.
E veniamo al secondo punto, cioè al titolo di apertura di “Libero” sulla «pulizia etnica di Fini», relativa al caso di una nostra collega, Priscilla Del Ninno, in causa con il “Secolo d’Italia” per le modalità con cui è stata messa in cassa integrazione quando il giornale aprì lo stato di crisi e poi licenziata alla fine della Cig. La vicenda viene equiparata a quella dei sindacalisti Fiat estromessi dal lavoro (e reintegrati dalla magistratura) perché accusati di aver determinato il blocco di una linea di produzione durante uno sciopero. Con una sostanziale differenza: Priscilla del Ninno non è una sindacalista, non ha mai protestato contro la decisione del “Secolo” di indire lo stato di crisi, non ha nemmeno preso parte alle assemblee del gennaio-febbraio 2007 nelle quali si discusse e si votò liberamente la scelta dell’azienda, la cassa integrazione, la ristrutturazione. Infatti, all’epoca, si mise in malattia. La malattia le consentì di non assumersi la responsabilità – che tutti gli altri redattori si presero – di pronunciarsi sul piano del direttore e dell’amministratore, che prevedeva la riduzione delle pagine culturali (quelle nelle quali lavorava), tre prepensionamenti e la cassa integrazione per tre unità: un piano discusso e approvato non solo dall’assemblea del “Secolo”, ma dal sindacato dei giornalisti e dei poligrafici in sede locale e nazionale dopo minuziose disamine e correzioni. Non solo: grazie allo “status” di malata la Del Ninno fu la sola tra tutti a essere tutelata dalla possibilità di finire in cassa integrazione. E infatti non ci finì: per 9 mesi restò in malattia e solo raggiunto il limite massimo previsto dalla legge entrò in Cig, salvo uscirne di nuovo due o tre mesi dopo perché era rimasta incinta e si mise in maternità. Nel frattempo aveva avviato una causa contro il giornale. Ha vinto in primo grado (l’azienda ha ricorso): avrebbe potuto rientrare in redazione ma utilizzò ancora l’aspettativa per maternità, e finita quella si mise in ferie. Un altro procedimento è in corso: rispetteremo la sentenza, come abbiamo sempre fatto, non perché “femministe” (l’aggettivo usato da Maurizio Belpietro con toni spregiativi) ma perché ci sembra normale fare così.
Non entriamo nel merito delle altre bugie raccontate da “Libero”, a cominciare da quella secondo cui la Del Ninno sarebbe stata defenestrata per sostituirla con persone più “fedeli alla linea” come Filippo Rossi: tra l’altro Priscilla – ed era un suo vanto – una “linea” non l’ha mai avuta, salvo quella di usare fino in fondo le buone relazioni di suo padre con la direzione e l’amministrazione che l’avevano assunta per garantirsi dalle scomodità legate all’esercizio della professione. Ricordo personalmente un durissimo richiamo (all’epoca ero caporedattore) ricevuto perché avevo disposto il suo spostamento nell’open space redazionale dalla stanza “privata” che occupava con una collega. Suggeriamo ai colleghi di “Libero”, se vogliono sollevare scandalo sul tema dei diritti femminili negati al “Secolo”, di prendere in considerazione un altro caso: quello di Annalisa Terranova, che nel 1996, mentre era incinta, fu scavalcata nel suo ruolo di responsabile del servizio politico da un collega che si occupava di tutt’altro ma era più amico del direttore e solo per senso di responsabilità scelse di non rivolgersi al sindacato. Il direttore dell’epoca era Malgieri, ultimamente arruolato proprio da “Libero” come commentatore antifiniano («Fini ha poche idee, confuse e non di destra» è il titolo del suo ultimo articolo).
Comunque, va bene così. L’escalation della fangosa campagna contro Fini e i finiani – comunisti o fascisti, epuratori o clientelari, amici dei magistrati o violatori di sentenze a secondo di quel che serve – dimostrerà alle lunghe una sola cosa: Futuro e Libertà fa paura, al di là delle percentuali elettorali che gli vengono riconosciute in caso di voto, perché rappresenta una prospettiva di destra potenzialmente più credibile di quella rappresentata da “Libero” e dal “Giornale”. Il tentativo di screditare il gruppo di Fli serve a coprire il vuoto di contenuti degli “altri”, la loro incapacità di offrire risposte di merito sui problemi del partito e dell’Italia, ma di questo passo non farà che rendere questo vuoto sempre più evidente, palpabile, verificabile anche dai meno provveduti. E, crediamo, saranno sempre di più gli italiani che si chiederanno: ma davvero la destra deve essere questa babele di veleno e di fango? Poi arriverà un sondaggio e anche il Cavaliere se ne accorgerà. Probabilmente un giorno troppo tardi come è accaduto sui “numeri” dei finiani.

martedì 24 agosto 2010

FLI vero partito di destra... e rimanga tale

oggi leggevo Cacciari parlare di terzo polo (casini, fini e montezemolo)...

Futuro e libertà (se non fosse per quel futuro avrei sperato in Giustizia e Libertà) è un partito di destra. Una destra laica, liberale, moderna, antiautoritara, democratica, garantista, liberista, femminista, rivoluzionaria, sociale, europeista, tollerante.
La vera destra che i problemi li affronta con cognizione di causa, nel ferreo rispetto delle regole, nella ferma volontà di usare gli strumenti legali, costituzionali, legislativi per trasformare questo ridicolo sultanato in un paese democratico.

I finiani stanno conducendo una strepitosa guerriglia parlamentare, giornalistica, mediatica. Sono, questi fascisti, i veri antifascisti del 2010. Non aventiniani, duri e coesi, politici e preparati.

L'unica tattica valida, in questa guerra, è quella di colpire e ritirarsi su posizioni sicure. Lo fecero i partigiani, i vietcong...
Contro il nazismo padano che occupale valli del nord e quello nazionale che occupa televisioni, banche, ministeri, comuni e regioni in tutta Italia.

L'unica forma di lotta che può vincere (come fu per il nazifascismo) è la politica, alla clausewitz se serve, con i suoi strumenti di lotta. Cambiare le leggi in parlamento, cambiare la legge elettorale, restituire il potere di scelta al popolo.

Per questo ogni forma è concessa: rimanere al governo, emendare, provocare, colpire e proporre.

Una destra europea è l'unica modo per avere una sisistra europea in Italia. Fini se non altro ci sta provando.

lunedì 23 agosto 2010

il re è nudo, e non fa una gran bella figura

Il Filippo Rossi non sbaglia un colpo... ne vorrebbero così a palzzo Grazioli. Ma hanno scelto Capezzone... che è causa del suo mal pianga se stesso.

Ffwebmagazine - Storiella di fantapolitica: Lui, il popolo e la libertà

ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale

Storiella di fantapolitica:
Lui, il popolo e la libertà

di Filippo Rossi
Un tizio fonda un partito e dice che è libero e liberale. Talmente libero e liberale che ci vuole la parola libertà anche nel nome. Talmente libero e liberale che non lo chiama nemmeno per nome: lo chiama “popolo”, luogo della differenza per antonomasia, delle idee che s’incontrano e si confrontano. Perché – dice – i partiti sono una cosa vecchia, roba che non può esprimere tutta la libertà che ci serve, roba anti-democratica. Insomma, uno fonda un partito e spiega che è il partito di tutti, che gli italiani ci si potranno riconoscere, dice che è la “casa comune” di idee, storie diverse. Un tizio fonda questo benedetto partito nuovo, laico liberale democratico, e spiega subito che, sì, è vero che è di tutti, ma in fondo uno strappo alla regola si può anche fare. E così impone l’inno del suo vecchio partito: una cosa del tipo “meno male che Lui c’è”. Che poi significa: grazie all’Uomo della Provvidenza. Che poi significa: senza di lui non saremmo nessuno. Qualcuno storce il naso, ovviamente. Qualcun altro ingoia il rospo. Poi lo lasciano fare: in fondo, pensano, è solo il narcisismo di un uomo anziano che sta facendo tanto per tutti noi, per l’Italia, per il mondo. Gli si può ben concedere una canzoncina per aprire e chiudere i suoi comizi. Che differenza fa, pensano. In fondo è uguale: perché la politica, quella vera, è un’altra cosa. Uno fonda un partito, quindi. Laico libero e liberale. Poi sceglie un inno: “Meno male che Io ci sono”. Poi comincia a dire: qui decido io; qui decido tutto io; qui comando io. La gente si guarda sorpresa: ma come, pensa, non dovevamo essere laici liberi e liberali? Tranquilli, rispondo altri, è solo propaganda, è solo facciata, è solo perché Lui sa parlare meglio di tutti al suo popolo, al nostro popolo. Ma in realtà – continuano – in fondo siamo liberali davvero! E Lui è il più liberale di tutti: perché ci sa capire, ci guarda nei cuori, sa cosa vogliamo. Quando parla Lui è come se parlassimo noi. Ci sa spiegare cosa dobbiamo pensare. Si può essere più liberi di così? Chiedono, dandosi già la risposta. Uno fonda un partito. E poi decide che è roba sua. Perché Lui è la gente. Perché Lui è il popolo. Perché lui è la verità, la via e la luce. E chi non ci sta è un eretico, un reietto. Chi non ci sta è messo all’indice. Chi non ci sta è messo alla porta.Uno fonda un partito a sua immagine e somiglianza. E chi non ci s’identifica, peste lo colga. Ok, gli altri pensano. Va bene, il Tuo partito non è quello che pensavamo. Ci abbiamo provato, abbiamo sbagliato, tu ci hai cacciato. Ognuno per la sua strada. Va bene, magari ce ne facciamo un altro, attraverso il quale possiamo dire quello che pensiamo. Così, poi, riusciamo a fare anche politica…E no, dice lui a questo punto. Come vi permettete? Come si permettono? Il mio partito deve essere di tutti, è di tutti. E tutti devono cantare tutti insieme meno male che Io ci sono. Altrimenti che liberali sono? Che italiani sono? Traditori, ecco cosa sono. Perché il mio partito è il partito di tutti. Perché il mio partito è l’unico partito possibile. Anzi, il mio partito è un partito “unico”. L’unico possibile. E chi non ci sta, è un anti-italiano. E chi non ci sta, non può parlare. Chi non ci sta non è liberale! Non è democratico! Chi non ci sta non esiste! Perché la libertà sono io. Perché il popolo sono io. E gli altri? Gli altri non sono un cazzo. Ps.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

23 agosto 2010