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giovedì 12 dicembre 2013

L’umiltà di crescere: lo spazio, i cittadini e la città

Pubblicato su  Macrame dicembre 2013

L’umiltà di crescere: lo spazio, i cittadini e la città
di Andrea Satta

Lo spazio è un concetto obiettivo. Esistono modi di intenderlo che presumono una consapevolezza di ciò che si è e di ciò che si fa.
Questo vale per le persone e per le istituzioni.
Pordenone è una piccola città, da un estremo all’altro, in bicicletta, la si percorre in poche decine di minuti, per lungo e per largo. La città vera e propria è racchiusa in un ring, nome altisonante per pochi chilometri di circonvallazione interna, fuori, nel raggio di poco, ci si ritrova ancora in frazioni alternate di capannoni e campagna.
Eppure nonostante questa dimensione a volte i Pordenonesi vivono di parigina grandeur. Parcheggiano a pochi secondi dal bar dell’aperitivo, unico rito sociale rimasto in una città che da sempre mal sfrutta la sua capacità innovativa, culturale e sociale, si lamentano del costo dei parcheggi abitando a 5, 10 minuti a piedi dal corso.
Pordenone è una città ricca, anche se lo sta diventando sempre meno, ricca di luoghi pubblici di potenziale socialità che quotidianamente subiscono l’attacco di una mentalità protettiva e un po’ miope.
Le istituzioni pensano in grande, a volte grandissimo, e poi dimenticano il piccolo, piccolissimo.
Pensare, scrivere, leggere, suonare, dedicare, recitare, curare ed assistere.
Pordenone tende a usare l’infinito trasformando ciò che è piccolo in ciò che potrebbe divenire grande, dimenticando la città, la sua dimensione non certo infinita ma ben definita. A volte gli imperativi imperano: Legge! Pensa! Scrive! Dedica! quasi fosse un ordine morale per i cittadini che, invece colgono tutto ciò come hanno sempre fatto: partecipando con moderazione.
Le istituzioni sociali in questo non son diverse e portano in sè le ansie di un bambino bravo ma mingherlino.
A Pordenone non basta più pensare la città, Pordenone deve in qualche modo ripensare se stessa.
L’ultimo, in termini di tempo, episodio di difficoltà di visione politica futura è stato l’Ospedale, o meglio il Nuovo Ospedale. Dove sia giusto farlo, come e con che soldi sono argomenti di ordine politico regionale, provinciale e locale. Dove sia il giusto io, personalmente non lo so.
Una cosa però è chiara, anche a chi come me nel sociale lavora da più di 15 anni:  la discussione non ha preso la strada giusta.
Siamo ricaduti nell’effetto Great Complotto. Si parla di Pordenone come se fosse Londra. Però una cosa è certa: Pordenone potrebbe diventare come Londra… ma Londra non diventerà mai come Pordenone.
L’Ospedale serve, eccome se serve, a tutti e non solo ai cittadini. I soldi per farlo servono, e tanti. La volontà politica è essenziale, l’accordo politico no.
Ciò che servirebbe oggi, come sarebbe servita nel 1984 per la musica, è un po’ di umiltà, cercare il bene comune, e, come non mai, oggi ricostruire da zero le basi sociali, culturali e politiche di una città che si sta risvegliando, con un terribile mal di testa, dalla sbronza di benessere degli ultimi 40 anni.
Sembra mancare però l’Alka-seltzer, sembra mancare la capacità di sedersi e guardarsi in faccia e dirsi: forse era meglio non esagerare.
Passeggiando per il corso, desolatamente vuoto alle 9 di sera, sembra di camminare per una piccola Disneyland del nordest: negozi sfavillanti di merce costosa e invenduta, palazzi ristrutturati e pochi segni di (in)civiltà: nessun mozzicone per terra, bar chiusi, silenzio assordante.
Per strada la domenica, il sabato, vedi passeggiare gruppi di uomini e donne in carrozzina o tenuti per mano da altri uomini e donne con la faccia dei bravi ragazzi, alcuni, dei cattivi ragazzi altri. Sono il nostro futuro e il nostro presente che vogliamo non vedere, sono quel sommerso di lavoro di relazione e cura che ogni giorni, per poche lire, i professionisti del sociale fanno: educatori, operatori. La nomenclatura non cambia la sostanza.
La città è piena di piccoli luoghi di vita e speranza, centri di salute mentale, case di riposo, alloggi protetti. È piena di spazi con ragazzi difficili, o meglio con ragazzi diversamente facili, di luoghi con famiglie che si arrabattano scavando nei bidoni della Caritas, è piena di ragazzi sull'orlo di una crisi di identità, costretti a guardare al proprio futuro occupato da vecchi quarantenni ancora, e sempre di più, precari.
La città, le sue istituzioni, sono governate, come tutta l’Italia, quasi esclusivamente da una gerontocrazia giovanile.
Ecco cosa dovrebbe fare Pordenone: smettere di essere giovanile e diventare adulta.

Dovrebbe lasciare che a crescere siano i cittadini di ogni razza e colore (e non me ne vogliano i puristi del politicaly correct se uso razza), che a trasformare Pordenone da un deprimente status di parvenù ad un meraviglioso stato di consapevolezza, siano loro, i cittadini, di nuovo, nuovi.



DOMICILIARITA’ LEGGERA, UN’ALTERNATIVA ALLA SOLITUDINE


DOMICILIARITA’ LEGGERA, UN’ALTERNATIVA ALLA SOLITUDINE
Di Andrea Satta

Ormai da alcuni anni il sistema dei servizi per gli anziani s’interroga sulle possibili nuove soluzioni, adatte alle loro esigenze e alle ridotte disponibilità economiche del sistema pubblico, ribadendo la necessità di proseguire nella ricerca di soluzioni alternative ai grandi contenitori come RSA e case di riposo.
Il nuovo contesto sociale, il perdurare della crisi economica, la necessità di trovare continuamente nuove risorse in grado di sopperire ad un sistema di welfare sempre più in affanno, apre la possibilità di coprogettazione e cogestione di soluzioni alternative alla formula tradizionale, in linea con la nostra attuale esperienza di Rete, approfondendo le tematiche della microresidenzialità e della commistione pubblico-privata per la proposta di modelli alternativi.
Sicuramente ciò che non si può prevedere sono sviluppi alternativi alle istituzioni tradizionali senza una forte connessione territoriale, una capacità di progettazione innovativa e una capacità di fundraising presso il privato.
Risulta evidente come il pubblico e il privato dovrebbero colloquiare sullo stesso piano, riuscendo così a trovare soluzioni particolarmente vantaggiose, ma allo stesso tempo rispettose dei bisogni degli anziani.

La presenza di attori del privato profit che risultano essere oggi gli interlocutori più interessanti per le operazioni territoriali di questa portata, è particolarmente complessa di fronte ad un sistema di finanziamento non ancora in grado di valorizzare gli aspetti economici anche per le fondazioni bancarie, gli investitori privati o fondazioni di comunità. Questi soggetti sono interlocutori preferenziali per rispondere in modo efficace ai bisogni di cura anche per anziani autosufficienti, per piccole comunità in zone territorialmente svantaggiate e per soluzioni che possano intercettare il sempre più diffuso e preoccupante fenomeno dell’assistenza familiare.

mercoledì 25 luglio 2012

Ancora provincia 1

ho due motivi per parlare di Provincie con cognizione di causa:
  1. ho raccolto le firme, in anni assai lontani e per nulla sospetti, per un referendum radicale sull'abolizione di tutte le Provincie, cosa di cui mai mi sono pentito.
  2. ho lavorato per 8 anni (mese più mese meno) per la Provincia di Pordenone in qualità di consulente
a questo aggiungerei che sono, sono stato e sarò federalista, autonomista e sardista (e perchè no friulanista) nonostante gli ultimi venti anni di nazileghismo che hanno ridotto questi concetti a barzelletta o peggio a mostruosità.
Aggiungo, a mia discolpa, che hò tirato un sospiro di sollievo quando la Sardegna (i sardi) ha abolito, con referendum, le 4 mostruose, insensate Provincie create solo pochi anni fa.
Eppure la scelta fatta da Alessandro Ciriani di difendere la Provincia di Pordenone mi trova terribilmente concorde.
Mi convincono le motivazioni, le modalità e la sincerità della difesa.
Due sono le motivazioni di fondo che non mi hanno convinto:
  1. l'attacco feroce all'Autonomia Regionale e alla specialità
  2. le ragioni puramente contabili (venate, ha ragione Alessandro, di un certo populismo)
Parto dalla seconda per cui mi accaloro  meno. Le ragioni di riduzione della spesa (lascio gli inglesismi a quando lavoro) sono sacrosante. Lo Stato italiano è abituato a vivere abbondantemente sopra le proprie possibilità, è fondato sulla intoccabilità dello status quo, sulla permanenza delle corporazioni, degli albi, dei privilegi, su un approccio alla politica mafioso, basato cioè sul ricatto e non sullo scambio. In fondo siamo uno stato delinquente di natura poichè privilegia il potere diffuso e arbitrario alla democrazia.
Dunque sono (sarei) felice delle liberalizzazioni, sarei felice dell'abolizione degli ordini, albi etc, sarei felice dell'abolizione della sudditanza ad un paese straniero (e parlo del Vaticano non della AmeriKa). Insomma nessuna titubanza... forse. Eppure non vedo aboliti gli ordini, non vedo aprire il mercato del lavoro, non vedo dismettere Eni e le fabbriche di Stato varie, anzi vedo sovvenzionare con i soldi pubblici anche fabbriche private.
Le Provincie si e mi viene il sospetto che si cerchi un capro espiatorio politico/istituzionale.
Ma torniamo a Pordenone. Dire che tutto va bene è folle, dire che tutto è stato risparmiato, controllato, ottimizzato è esagerato. Ma dire che è un pozzo senza fondo...
Per anni uno dei giornali locali si è divertito a pubblicare i miei fantasmagorici incarichi da consulente ( ho comprato una Ferrari l'anno con i guadagni da consulente... è che le tengo nascoste per paura del fisco e giro con una Modus del 2005 per vezzo snob). Lo ha fatto in nome della trasparenza della lotta agli sprechi. Così chiamavano sputtanare dei professionisti, precari, precarissimi, preparati e selezionati. Da quel giorno ho capito che la strada per l'inferno è asfaltata di buonissime intenzioni, sulla pelle degli altri. Oggi si spara ad alzo zero contro la Provincia di Pordenone facendo di tutta l'erba un Fascio (e non me ne voglia Alessandro per il paragone subdolo...)dimenticando che prima di tagliare i costi si dovrebbe controllare se veramente si risparmia. Ciriani dice che ci costerà di più ma anche se così non fosse, il giochino vale la candela? Delegare le decisioni politico amministrative di un territorio alla Regione ha sempre senso? O, come io penso, ha senso solo in presenza di una cattiva politica e cattiva amministrazione? Tagliare una Provincia di 51 comuni, di cui 24 montani, ha senso se questa è l'unico collante per politiche di pianificazione territoriale? Lasciare Trieste con 6, dico 6, comuni ha senso?
Il problema son le competenze. La Provincia non dovrebbe occuparsi di soldi, non dovrebbe dare contributi, ne gestire servizi ma dovrebbe essere quell'ente intermedio in grado di governare (autonomamente) le politiche di interesse sovracomunale.
Snello, snellissimo senza apparati, senza grandi budget ma con una forte, autorevole, decisionale capacità politica di modificare il tessuto socioeconomico e culturale di un territorio.
Faccio un esempio pordenonese: l'aggregazione sotto un unico nome delle maggiori manifestazioni (comunali) musicali estive ha un enorme valore politico, molto maggiore delle poche decine di migliaia di euro date alle singole associazioni. Il forum fattorie sociali, almeno nelle mie intenzioni quando lavorai a questo credo con passione, è una rete sovracomunale, intersettoriale in grado di rappresentare un valore aggiunto politico che giustificherebbe da sola l'esistenza delle Provincia.
Mi si dirà: perchè spendere milioni di € per mantenere queste inezie? Perchè i milioni di € servono a mantenere gli apparati e non a creare innovazione politica.
La politica non è far di conto, per questo bastano i commercialisti (e per quanto mi riguarda Tremonti è stato più che sufficiente), ma far si che la democrazia sia applicata, che chi governa si assuma oneri e onori, ed eventualmente disonori, di ciò che fa in nome del proprio elettorato e per conto di tutta la cittadinanza.
La domanda è: la Provincia di Pordenone ha svolto, nel bene e nel male, questa funzione? O ha, come dicono i tagliatori di enti, solo sprecato?
Il problema è politico più che contabile ed io credo nel assunto: se la politica è efficente le spese sono sempre giuste(o   meglio giustificate per evitare un approccio etico).
Qual'è il criterio con cui si giudica un'amministrazione pubblica eletta a governare un territorio, piccolo o vasto che sia? È la quantità della spesa o la qualità della stessa?
Io penso che sia la qualità a distinguere una buona amministrazione da una cattiva e penso che si dovrebbe tagliare, rimodernare, riordinare, sopprimere, accorpare gli enti che non producono qualità e che la spending review (chissà perchè gli italiani pensano che parlare inglese sia il miglior modo per parlare per eufemismi) si debba fare sulle inefficienze e non sulle efficienze.
Ad esempio delegare ai singoli comuni la programmazione di un sistema integrato di inserimento lavorativo per i lavoratori svantaggiati (sociale/sanità/lavoro) è efficiente? un piccolo comune può amministrare da solo il ricollocamento di un giovane svantaggiato non in carico ai servizi sanitari? O lo farebbe meglio una Regione che dovrebbe avere il compito di legiferare sulla materia e non di trovare le aziende dove ricollocare... Insomma se le scelte politiche sono chiare, le leggi lo sono di conseguenza e l'amministrazione politica locale le attua con profitto. O almeno così mi piacerebbe che fosse.
Purtroppo i tagli lineari distribuiscono le colpe delle inefficienze su tutti e, a ricaduta, continuano a giustificare i delinquenti e a penalizzare i virtuosi.
Negli enti pubblici le cattive prestazioni lavorative non possono essere sanzionate o eliminate, rovinando l'intero cesto delle mele sane, in nome di una politica lavorativa basata sul privilegio acquisito non sulla competenza, bravura e adeguatezza al compito. Allo stesso modo le amministrazioni locali non possono essere valutate e conseguentemente ridimensionate (anche temporalmente) per la loro inadeguatezza o meglio per la loro non corresponsione al mandato elettorale, squisitamente politico. Così è meglio dare poco a tutti che il giusto a chi se lo merita.
Fosse per me taglierei la Regione FVG, che in uno delle poche intuizioni condivisibili dell'ultimo libro di D'Aronco per il resto inutilmente filoleghista, viene descritta come mostro bicefalo tutta racchiusa nella sua dicitura Friuli-Venezia Giulia, in quel suo trattino che l'onorevole dibisceglie ha stupidamente fatto togliere. Quel trattino raccontava tutta la storia...

giovedì 3 maggio 2012

e i bambini con la barba dove li metti?

c'è una cosa che mi affascina ed è come il tempo faccia da livella e come la retorica ci dia sopra una mano di bianco.
Pordenone, avendo esaurito la spinta over 50 del great complotto, ha scoperto che dopo il fantomatico, strepitoso, fantasmagorico, incredibile, portentoso, rivoluzionario, avanguardista, geniale periodo del punk c'è stato un altro periodo non meno fantomatico, strepitoso, fantasmagorico, incredibile, portentoso, rivoluzionario, avanguardista, geniale periodo della Perseo. Per questioni anagrafiche, sociali, geografiche e delinquenziali ho conosciuto approfonditamente l'ultimo e sopportato di sguiscio il primo.
La Perseo... e la Bilancia dove la mettiamo?
Oggi i miei coetanei, che a mala pena salutavo in cagnesco da adolescente e con cui condividevo il piacere di rovinare le feste di altrettanti coetanei che non erano ne Persici ne Barbuti, son tutti amici, siam tutti amici. Ci accomuna la nostalgia, nostalgia canaglia come diceva il poeta, di anni meravigliosi, frizzanti, alternativi... Alternativi gli anni ottanta? Alternativi i nostri vestiti da vecchi (mod, ska, rockabilly)? Alternativi nella ricerca spasmodica di vinili, cravatte, pantaloni e giacche negli armadi dei genitori, dei nonni? nei negozi demodè fra scarti dimenticati?
Si eravamo alternativi ad altri, alternativi a quei vecchi che pontificavano di quanto figo fosse stato il '77, o il '68. Eravamo alternativi a quei vecchi che ci sfracassavano i cojoni con la loro musica di merda, progressivamente vomitevole. A chi ci guardavano dall'alto in basso perchè scopiazzavamo idoli defunti o sconosciuti. Alternativi perchè preferivamo ubriacarci non ci drogavamo a dovere. Perchè non ci menavamo per la causa ideale, ma, alla buona, per la figa, per divertimento, per  la musica, per futili motivi. Quei scassacazzi ci odiavano perchè eravamo leggeri, disimpegnati, inutili. E noi odiavamo loro, immondi capelloni rivoluzionari che ci avevano fatto passare l'infanzia a suon di bombe, pistolettate e siringhe.
Ed oggi siamo noi i vecchi...che pontifichiamo di quanto figo fosse l'86... che fracassiamo i cojoni con... che diciamo che i giovani sono... che ascoltano musica di ...

Vi prego fatemi diventare adulto, fatemi ricordare l'adolescenza per quel che è stata: adolescenza! Lasciate che ognuno abbia la sua e che sia la più figa del mondo. Lasciamo la nostalgia ai vecchi. Quando sarò vecchio e non, come dice mio figlio: quando ero vecchio farò...

PS il mio archivio privato è a disposizione solo di chi ha la barba, Radar escluso.



lunedì 3 gennaio 2011

Ma chi c***o erano i Wyld Mammuts?

Ippogrifo 10/10 Come i rock ci ha salvato la vita

Ma chi c***o erano i Wyld Mammuts?

1986, inverno. Vestivo un cappottone, corto e spinato, di seconda mano, tedesco, comprato da Matt, dove oggi c’è il Segno, sezione storia. Vendeva, Matt, vestiti usati, le uniformi di noi piccoli alternativi post punk: parka, giacche a tre bottoni, pantaloni a sigaretta, camicie da bowling, chiodi, teddy. Il mio teddy, giubbotto americano da collegiale, era blu con le maniche bianche, polsini bianchi e rossi e nessuna scritta. R.I.P. nel mio armadio.
[brano 1 FINEYOUNGCANNIBALSSOUSPISCIUOSMIND]

Lo comprai in base alcuni anni prima. Berto, un mio compagno di classe delle medie aveva le entrature giuste per spacciare prodotti nuovi e americani.
Berto viveva a Porcia, a Sant’Antonio, in una villetta da americani, con vicino un’altra villetta con Americani. Gli americani erano latinos di San Antonio (Texas). Scherzi del destino: da San Antonio a Sant’Antonio, casca una T e ti ritrovi a Porcia.
Il capofamiglia era pilota di Cargo, aveva fatto il Vietnam, due volte. Ci raccontò che aveva portato via gli ultimi americani, nel 1975, con gli sporchi Vietcong che sparavano dalla foresta. Il Cacciatore e Apocalipse Now, finalmente una prova tangibile dell’esistenza di Charlie del Colonnello Kurz. Cantai a squarciagola: ailoveiubeby, la la la.
[brano 2 CANTTAKEMYEYESOUTOFYOUFRANKVALLI]

Berto mi procurò un Teddy e un paio di American Optical. Ero una crisalide Rock-a-Billy. Lo divenni poi rock-a-Billy, saltuariamente, mi piacevano anche i New Wave, i Dark, i Mods, gli Ska.
Per confondere le acque mi esibivo inaspettatamente: dark, mod, new wave, Ska.
Fu allora che decisi che gli anni ‘50 erano più rivoluzionari dei sessanta. Una scelta che i più ortodossi Rock-A-Billy vedevano con disprezzo: la vera degradazione erano gli anni rivoluzionari dei capelloni!
[brano 3 MAYBEBABYBUDDYHOLLY]

Non mi potei rassegnare a tale ovvietà e, come solo un sedicenne può fare, analizzai con fervore mistico la musica, la letteratura, la politica, la storia.
Era meraviglioso, tutto ciò che diverrà rivoluzionario dieci, venti anni dopo era stato già stato sperimentato.
Scoprii così, in vecchi dischi di mio padre, la sua musica, la sua rivoluzione adolescenziale: il jazz.
In segreto me ne appassionai irrimediabilmente, di nascosto, e con Donatella amica mulliganiana, con dischi strepitosi del padre, ci nascondevamo a concerti vuoti fra vecchi 50enni.
[brano 4 MYFUNNYVALENTINEBAKERMULLIGANQUARTET]

Il jazz non era di moda. Era troppo, persino per i miei rivoluzionari 16 anni, ed allora optai, pubblicamente, per il Doo Wop. Divenni il maggiore esperto di doo wop di Pordenone (almeno così venni accreditato, per alcune lunghissime settimane, alimentando un fervido scambio di cassette TDK D90 con ammiratori del genere).
Il doo wop, era una perversione, previsione negra ed italoamericana del R&R.
The Flamingos, The Spaniel, The Seminoles, Danny and the Juniors, Vito and the Salutations, Cardinals, Clovers, Drifters per non parlare del miei preferiti: The Chords erano notissimi, arcinoti!
[brano 5 SH-BOOMTHECHORDS]

Ovunque andassi cercavo dischi, a Firenze, a Roma, a Milano, ad Udine e a Pordenone.
Davanti alla stazione c’era il piccolo negozio di dischi. Andavamo tutti là, anche i vecchi.
I vecchi erano quelli di 5 o 6 anni più anziani, gente del '64, '65, '66, e qualche antiquato del '67. Gente con un piede nella fossa. Loro erano i veri del Molo, quelli che andavano all'università, facevano dischi, tutto era nato da loro.
Ti guardavano sprezzanti, con ricercata superiorità, nulla di grave, cercavano, bontà loro, di non disprezzarti troppo. Non era colpa tua se eri ancora un bamboccio fra il’77 e l’82. Leggevi nei loro occhi, incorniciati da splendide capigliature naoniane, capigliature che noi invece ammazzavamo in splendidi scalpi a 3mm, sempre la stessa domanda:
Dov’eri tu, quando Pordenone era in competizione con Londra e New York per la supremazia del punk, della new wave mondiale?-
Avrei voluto rispondere:
Ero a giocare a pili, a correre in bicicletta e saltare fossi, a toccarmi, a innamorarmi, a fare a botte, a nascondermi, fumare al parco, a lanciare raudi… No, non credo di essermi perso niente-
Non era colpa mia e neanche me ne sentivo in colpa. Mi limitavo, sfogliando vinili, a sorridere. Agli anziani si doveva rispetto.
Ritenevo il ‘77 una brutta copia del ‘68 a sua volta una brutta copia del ‘56, di conseguenza mi stavano tutti culturalmente sul cazzo. La rivoluzione era morta e sepolta nel 1964, con la morte di JFK!
[brano 6 KEEPONKEEPIN'ON!THEREDSKINS]

Analizzavo dischi con cura leggendo ogni data sul vinile, codici delle registrazioni, le formazioni: nella raccolta della Rhino, c'erano gli stessi pezzi della raccolta della Columbia? L'imperativo era evitare i doppioni.
Era un problema finanziario non indifferente. Nella mia tasca di studente del classico, per quanto di famiglia benestante, c'era il minimo indispensabile. I soldi servivano per dividere la benzina, per le caramelle, e per i vizi: libri, dischi, alcool.

Mio nonno, Lucifero, veniva sempre a trovarci dalla allora lontanissima Sardegna. Passava con noi alcune settimane affascinato dalla pioggia che cadeva ininterrotta. Un giorno, di quelli freddi e piovosi che tanto gli piacevano, mi diede 10.000 lire per comprare uno di quei dischi di cui bramavo il possesso. Era una doppia raccolta di Cuck Berry. L'ascoltammo insieme, io e nonno. Mi chiese enigmatico “ti piace?”. E tornò a guardare la pioggia che cadeva.
[brano 7 SWEETLITTLESIXTEENCHUCKBERRY]

La prima fase di un fanatico adolescente della mia generazione, era ascoltare raccolte a volumi insopportabili, la seconda fase era imparare i nomi delle formazioni, delle case discografiche originali.
Concluso l’autoapprendimento, iniziava la ricerca di qualsiasi riferimento in altre insospettabili raccolte, esauriti i titoli disponibili sopravveniva una senso di sconforto per la saturazione della conoscenza antologica. Iniziava così la raccolta dischi originali dei gruppi, e poi, in un crescendo rossiniano di follia, si comprava tutto ciò che avesse un qualsiasi riferimento alla propria malattia.
Comprai una volta un disco di Bobby Womach (peraltro uno dei dischi più belli della mia collezione) perché la foto, la posa del Gruppo, e soprattutto per quel nome così Doo Wop: The Valentinos…
L'ultima fase era simulare conoscenza intima, personale della vita, della storia dei propri paladini. Si trovava di tutto: alcune carissime edizioni Bootleg degli Stray Cats, di alternare take di Eddie Chocran, di registrazioni inedite di Buddy Holly.
Ed anche i dischi dei Wild Mammouts...
Il loro fantasmagorico concerto aveva occupato la sacra istituzione del Collegio Don Bosco… lasciate che i pargoli vengano a me.
Chi cacchio fossero tali Wylde Mammots non mi è dato ricordare, ho chiesto informazioni ad alcuni miei giovanili coetanei 40enni che ricordano una scandinava provenienza psichedelica.
Al concerto c'ero, tardi per non pagare, mi ricordo poco e male e confondo con altri, ma di certo fu un successo storico.
Di nessun altro gruppo sconosciuto mi è rimasto così impresso il nome.
[brano 7 UNCHAINEDMELODYVITOANDTHESALUTATION]

Nota metodologica: tutti i luoghi e le persone sono reali, i dischi sono in vinile originale, il teddy è ancora nell'armadio. La cronologia degli avvenimenti è approssimativa, tanto la sostanza non cambia. JFK è morto nel 1963 ma il 64 è più significativo.
Uaildmammuts si scrive Wylde Mammoths










Wordle: wyld mammutts



martedì 21 dicembre 2010

e poi ditemi che non avevo ragione...


Mi sono sempre stati sul cazzo. Sul serio, non li reggevo. Arrivavano belli belli, quel tanto consumati dalla vita, sigaretta in mano e voce suadente. Aprivano le loro fogne e via discorsi di lotta dura senza paura, manifestazioni e sprangate, collettivi studenteschi e voti politici, assemblee fiume e letture pallose.

Non li reggevo nell'85 quando ci davano dei disimpegnati, dei fascistelli qualunquisti, dei ragazzini immaturi e borghesi (nient'affatto rivoluzionari). nessuna tolleranza per le nostre idee, per le nostre piccole, ma vere e autogestite, rivoluzioni quotidiane. Manifestare per i cessi che ti cadono addosso non era abbastanza anti sistema. Sprangarsi di botte per il libretto rosso si.

Se non leccavi loro il culo, sbavando agli epici racconti del 77 bolognese (padovano, trentino, romano, milanese bastava che fosse un po' autonomo o neofascista era uguale), eri una merda, un bambino cresciuto a nesquik e goldrake. Dovevi prostrarti alla fortuna loro capitata di essere parte di un grande movimento rivoluzionario, alle vicinanza con epici assassini, con cui passare le notti a costruire un mondo migliore.

Io che nel 77 ero vivo, ricordo la mia infanzia felice, ma anche le sirene a Roma, i blocchi di polizia, la televisione con un morto al giorno. Gente che doveva morire, secondo loro: poliziotti, giudici, sindacalisti, giornalisti, orefici, direttori di banche, sportellisti, guardie giurate, militari, carabinieri. Tutti nemici di una qualche rivoluzione. E poi persone normali, capitate per caso in stazione, in treno, in aereo o aereoporto, in piazza a passeggiare o in banca a versare demoniaci contanti (gli stessi che a fuciliate rubavate dai porta valori).

E poi i ragazzi loro coetanei finiti sprangati a manca e a destra, bruciati in casa o rincorsi in vespa. Tutti degni di morire per una qualche rivoluzione.

Mi stavano sul cazzo, ancor di più dieci anni dopo, arrivavano belli belli, brizzolati e sempre con la cicca in mano, cambiava marca però, a fare i creativi, pacifisti e moderati.
Famigliole allargate, tolleranti, amichevoli, aperte. Di punto in bianco la vostra rivoluzione era diventata "culturale". La musica che solo voi avevate capito, il jazz elettrico, due coglioni di cantautori maturi, il folk, ma quello vero, popolare, il rock impegnato, impegnativo direi più che impegnato. L'arte che solo voi avete intuito. Di colpo tutti amici di Pazienza, lettori di frigidaire, di stampa alternativa, tutti ai campi hobbit (peccato chegli alternativi e non violenti erano i primi, minoritari loro si, che umiliavate). Tutti casa e biennale. La letteratura: tutto un fiorir di autori sconosciuti, e poi i dissidenti (che al solo pensiero vi procuravano in gioventù mal di denti), Kundera e altri poveracci che la rivoluzione ve l'avrebbero volentieri regalata.
La spranga era diventata un pennello con cui adornare le vostre cazzatte. Ma pur sempre cazzate rimanevano.
Voi nell'89 eravate incerti. Sto di quà o stò di là? Io no.

Infine oggi me li ritrovo al potere quella generazione di fiorr fiore di "rivoluzionari".
E mi stanno, se mai fosse possibile, ancora più sul cazzo. Questi fulgidi esempi di democrazia a dettar legge a le nuove generazioni dopo aver rovinato, con le loro stronzate, la mia generazione. Da rivoluzionari a servi.
L'unica vera rivoluzione è non essere servi della "rivoluzione".

Cito qui solo quelli al governo, sapendo che se ci fossero altri al governo rischieremmo di dire cose molto simili.

La Russa (classe 1947, un po' anziano), Gasparri classe 1956, Alemanno classe 1958, e quel genio incredibile di Maroni classe 1955.

Per maggiori informazioni sulle loro vite cito a titolo di esempio Wikipedia...


"Il 12 aprile 1973, quando era uno dei leader del Fronte della Gioventù di Milano, nella manifestazione organizzata dal Movimento Sociale Italiano contro quella che veniva definita "violenza rossa" furono lanciate due bombe a mano Srcm, una delle quali uccise il poliziotto di 22 anni Antonio Marino. La Russa fu indicato come uno dei responsabili morali dei lanci di bombe."

Alemanno entra da giovanissimo in politica, nelle organizzazioni giovanili del MSI-DN diventando segretario provinciale romano del Fronte della Gioventù, il movimento giovanile missino. Negli anni '80 è uno dei leader della corrente rautiana del FdG, insieme a Marco Valle, Riccardo Andriani, Flavia Perina, Antonello Ferdinandi, Paola Frassinetti e Fabio Granata che si contrapponeva all'ala almirantiana guidata da Gianfranco Fini. In quella fase politica tormentata da violenze nel 1981 fu arrestato, insieme a Sergio Mariani, per poi essere subito scarcerato e non indagato successivamente per le violenze nel quartiere di Castro Pretorio di fronte ad un bar denominato "La Gazzella" nel tentativo di aggredire lo studente Dario D'Andrea.

Successivamente nel 1982 fu di nuovo arrestato con l'accusa di aver lanciato una bomba molotov di fronte l'ambasciata dell'unione sovietica. Dopo otto mesi di carcere preventivo sarà completamente scagionato e liberato.

MARONI Inizia la sua esperienza politica nel 1971 militando in un gruppo marxista-leninista di Varese e poi fino al 1979 è nel movimento d'estrema sinistra Democrazia Proletaria

I fatti di via Bellerio e la condanna per resistenza a pubblico ufficiale

Il 12 agosto 1996 il Procuratore della Repubblica di Verona Guido Papalia avviò delle indagini sulla Guardia Nazionale Padana, sospettata di essere un'organizzazione paramilitare tesa ad attentare all'unità dello Stato(articoli 241 e 283 del Codice penale)

Il 18 settembre viene così disposta la perquisizione delle residenze di Corinto Marchini, capo delle "camicie verdi", Enzo Flego e Sandrino Speri, dell'ufficio di Speri nella sede leghista di Verona e di un locale della sede federale di Milano della Lega Nord, ritenuto nella disponibilità dello stesso Marchini. Le operazioni iniziano alle 7 del mattino e alle 11 due pattuglie della Digos di Verona si presentano alla sede della Lega di via Bellerio a Milano con Marchini a bordo.

Qui la Polizia di Stato (Digos di Verona e di Milano, Ufficio prevenzione generale di Milano) incontra sul posto un'opposizione per cui i poliziotti «decidevano di rivolgersi per istruzioni al Procuratore della Repubblica di Verona. Tornavano, quindi, posto nel pomeriggio con il provvedimento integrativo di perquisizione e l'ordine di procedere, trasmesso via telefax, dalla competente Procura di Verona». Nel pomeriggio la Polizia ha un nuovo decreto di perquisizione e «dopo una prima contestazione sulla autenticità del decreto di perquisizione trasmesso da Verona, gli operanti, entrati nell'androne dell'edificio, per eseguire il provvedimento dovettero affrontare e superare un cordone umano formato» da militanti e dirigenti leghisti fra cui Maroni, «e da altri simpatizzanti, postisi innanzi alla scala per impedire la salita degli uomini della Polizia. Superato tale ostacolo, le forze dell'ordine salirono le scale inseguiti e ostacolati dagli astanti». Nel corso del tragitto verso la stanza di Marchini «la Polizia dovette affrontare l'assembramento di persone che si era formato, accompagnata da un coro di insulti» promossi da Borghezio, oltre a «numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali» compiuti da Maroni, Bossi e Calderoli, «episodi tutti documentati dai filmati televisivi».

«Il primo vero e proprio episodio di violenza» fu compiuto da Maroni che «tentò di impedire la salita della rampa di scale (...) bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu».

Quando finalmente ispettori e agenti furono «pervenuti di fronte alla porta del locale da perquisire, gli operanti rinvenivano un cartello cartaceo la cui indicazione dattiloscritta specificava "Segreteria politica - Ufficio on.le Maroni". Il Dott. Pallauro, dopo un ulteriore contatto telefonico con il Procuratore della Repubblica di Verona che dava ordine di portare a termine l'operazione, provvedeva allo sfondamento della porta, operazione che tuttavia era ostacolata violentemente» da Maroni, Bossi, Borghezio, Capanni, Martinelli e Calderoli «che aggredivano principalmente il Dott. Pallauro e l'ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alla spalle. (...) La vicenda vedeva da ultimo l'on.le Maroni subire un malore e venire disteso a terra dall'agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela».

Ne nacque così un procedimento penale per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 del codice penale) perché «gli insulti e gli atti di resistenza e violenza non sono in alcun modo atti insindacabili per i quali possa valere la prerogativa parlamentare».

Maroni sostenne che «fu aggredito e non aggredì gli esponenti della Polizia». Fu invece dimostrato «la non veridicità dell'assunto del Maroni» essendo «documentato che nella ascesa della rampa delle scale trovandosi a terra, e non per le percosse ricevute, tratteneva con la forza gli operanti afferrando la caviglia dell'ispettore Mastrostefano e poi le gambe dell'ispettore Amadu». La magistratura appurò poi che Maroni «era caduto in terra per un improvviso malore nella fase finale dell'accesso degli operanti nella stanza da perquisire, circostanza attendibilmente confermala dalla teste Nuvoloni della Polizia che lo aveva soccorso, e forse colpito anche involontariamente in tale posizione nella ressa creatasi luogo o già raggiunto, presumibilmente, da spinte nel corso della vicenda che vedeva un accalcarsi incontrollato di persone, compresi giornalisti e simpatizzanti della Lega Nord».

Ad ogni modo «i pubblici ufficiali erano comunque tenuti a portare a compimento l'ordine loro impartito. Non era discutibile la legittimità della perquisizione a carico del Marchini nella sua stanza sita nell'immobile anche sede del partito politico, dove lo stesso Marchini accompagnava gli operanti, perquisizione non limitata alla sua abitazione, ma a tutti gli altri luoghi nella sua disponibilita».

In definitiva «la resistenza» di Maroni e degli altri leghisti «non risultava motivata da valori etici, mentre la provocazione era esclusa dal fatto che non si era in presenza di un comportamento oggettivamente ingiusto adopera dei pubblici ufficiali». In modo particolari gli atti compiuti da Maroni sono stati ritenuti «inspiegabili episodi di resistenza attiva (...) e proprio per questo del tutto ingiustificabili».

Il 16 settembre 1998 Roberto Maroni fu così condannato in primo grado a 8 mesi.

La Camera dei Deputati ha deliberato, il 16 marzo 1999, l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, dei comportamenti tenuti dai parlamentari in occasione dell'opposizione alla perquisizione. Ma «la Corte d'appello ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e la Corte costituzionale (sentenza n. 137 del 2001) ha dichiarato che non spettava alla Camera deliberare che i fatti per i quali era in corso il procedimento penale concernessero opinioni espresse dai parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni».

La Corte di appello di Milano il 19 dicembre 2001 ha confermato la decisione di primo grado riducendo la pena a 4 mesi e 20 giorni perché nel frattempo il reato di oltraggio era stato abrogato.

La Camera dei Deputati il 4 febbraio 2003 ha allora chiesto alla Corte Costituzionale di «dichiarare che non spetta all’autorità giudiziaria (ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona) di disporre e di far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare Roberto Maroni, con il conseguente annullamento dei decreti di perquisizione locale e di sequestro emessi dalla Procura il 17 e 18 settembre 1996 - nella parte in cui, senza autorizzazione della Camera dei deputati, si è disposta la perquisizione del locale all’interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Corinto Marchini, ancorché lo stesso fosse nell’effettiva disponibilità dell’on. Roberto Maroni - e di tutte le operazioni di perquisizione svoltesi il 18 settembre 1996 in esecuzione dei decreti stessi».

Il 30 gennaio 2004 la Corte Costituzionale darà ragione alla Camera perché davanti al cartello "Segreteria politica - Ufficio on.le Maroni" «l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto sospendere l'esecuzione della perquisizione e chiedere alla Camera la necessaria autorizzazione; in alternativa - ove avesse nutrito dubbi sull'attendibilità del contenuto dei cartelli - avrebbe potuto disporre gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quei cartelli aveva collocato».

Dieci gioni dopo, il 9 febbraio, la Cassazione ha confermato per Maroni la condanna d'Appello commutandola però in una pena pecuniaria di 5.320 euro.