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martedì 21 dicembre 2010

e poi ditemi che non avevo ragione...


Mi sono sempre stati sul cazzo. Sul serio, non li reggevo. Arrivavano belli belli, quel tanto consumati dalla vita, sigaretta in mano e voce suadente. Aprivano le loro fogne e via discorsi di lotta dura senza paura, manifestazioni e sprangate, collettivi studenteschi e voti politici, assemblee fiume e letture pallose.

Non li reggevo nell'85 quando ci davano dei disimpegnati, dei fascistelli qualunquisti, dei ragazzini immaturi e borghesi (nient'affatto rivoluzionari). nessuna tolleranza per le nostre idee, per le nostre piccole, ma vere e autogestite, rivoluzioni quotidiane. Manifestare per i cessi che ti cadono addosso non era abbastanza anti sistema. Sprangarsi di botte per il libretto rosso si.

Se non leccavi loro il culo, sbavando agli epici racconti del 77 bolognese (padovano, trentino, romano, milanese bastava che fosse un po' autonomo o neofascista era uguale), eri una merda, un bambino cresciuto a nesquik e goldrake. Dovevi prostrarti alla fortuna loro capitata di essere parte di un grande movimento rivoluzionario, alle vicinanza con epici assassini, con cui passare le notti a costruire un mondo migliore.

Io che nel 77 ero vivo, ricordo la mia infanzia felice, ma anche le sirene a Roma, i blocchi di polizia, la televisione con un morto al giorno. Gente che doveva morire, secondo loro: poliziotti, giudici, sindacalisti, giornalisti, orefici, direttori di banche, sportellisti, guardie giurate, militari, carabinieri. Tutti nemici di una qualche rivoluzione. E poi persone normali, capitate per caso in stazione, in treno, in aereo o aereoporto, in piazza a passeggiare o in banca a versare demoniaci contanti (gli stessi che a fuciliate rubavate dai porta valori).

E poi i ragazzi loro coetanei finiti sprangati a manca e a destra, bruciati in casa o rincorsi in vespa. Tutti degni di morire per una qualche rivoluzione.

Mi stavano sul cazzo, ancor di più dieci anni dopo, arrivavano belli belli, brizzolati e sempre con la cicca in mano, cambiava marca però, a fare i creativi, pacifisti e moderati.
Famigliole allargate, tolleranti, amichevoli, aperte. Di punto in bianco la vostra rivoluzione era diventata "culturale". La musica che solo voi avevate capito, il jazz elettrico, due coglioni di cantautori maturi, il folk, ma quello vero, popolare, il rock impegnato, impegnativo direi più che impegnato. L'arte che solo voi avete intuito. Di colpo tutti amici di Pazienza, lettori di frigidaire, di stampa alternativa, tutti ai campi hobbit (peccato chegli alternativi e non violenti erano i primi, minoritari loro si, che umiliavate). Tutti casa e biennale. La letteratura: tutto un fiorir di autori sconosciuti, e poi i dissidenti (che al solo pensiero vi procuravano in gioventù mal di denti), Kundera e altri poveracci che la rivoluzione ve l'avrebbero volentieri regalata.
La spranga era diventata un pennello con cui adornare le vostre cazzatte. Ma pur sempre cazzate rimanevano.
Voi nell'89 eravate incerti. Sto di quà o stò di là? Io no.

Infine oggi me li ritrovo al potere quella generazione di fiorr fiore di "rivoluzionari".
E mi stanno, se mai fosse possibile, ancora più sul cazzo. Questi fulgidi esempi di democrazia a dettar legge a le nuove generazioni dopo aver rovinato, con le loro stronzate, la mia generazione. Da rivoluzionari a servi.
L'unica vera rivoluzione è non essere servi della "rivoluzione".

Cito qui solo quelli al governo, sapendo che se ci fossero altri al governo rischieremmo di dire cose molto simili.

La Russa (classe 1947, un po' anziano), Gasparri classe 1956, Alemanno classe 1958, e quel genio incredibile di Maroni classe 1955.

Per maggiori informazioni sulle loro vite cito a titolo di esempio Wikipedia...


"Il 12 aprile 1973, quando era uno dei leader del Fronte della Gioventù di Milano, nella manifestazione organizzata dal Movimento Sociale Italiano contro quella che veniva definita "violenza rossa" furono lanciate due bombe a mano Srcm, una delle quali uccise il poliziotto di 22 anni Antonio Marino. La Russa fu indicato come uno dei responsabili morali dei lanci di bombe."

Alemanno entra da giovanissimo in politica, nelle organizzazioni giovanili del MSI-DN diventando segretario provinciale romano del Fronte della Gioventù, il movimento giovanile missino. Negli anni '80 è uno dei leader della corrente rautiana del FdG, insieme a Marco Valle, Riccardo Andriani, Flavia Perina, Antonello Ferdinandi, Paola Frassinetti e Fabio Granata che si contrapponeva all'ala almirantiana guidata da Gianfranco Fini. In quella fase politica tormentata da violenze nel 1981 fu arrestato, insieme a Sergio Mariani, per poi essere subito scarcerato e non indagato successivamente per le violenze nel quartiere di Castro Pretorio di fronte ad un bar denominato "La Gazzella" nel tentativo di aggredire lo studente Dario D'Andrea.

Successivamente nel 1982 fu di nuovo arrestato con l'accusa di aver lanciato una bomba molotov di fronte l'ambasciata dell'unione sovietica. Dopo otto mesi di carcere preventivo sarà completamente scagionato e liberato.

MARONI Inizia la sua esperienza politica nel 1971 militando in un gruppo marxista-leninista di Varese e poi fino al 1979 è nel movimento d'estrema sinistra Democrazia Proletaria

I fatti di via Bellerio e la condanna per resistenza a pubblico ufficiale

Il 12 agosto 1996 il Procuratore della Repubblica di Verona Guido Papalia avviò delle indagini sulla Guardia Nazionale Padana, sospettata di essere un'organizzazione paramilitare tesa ad attentare all'unità dello Stato(articoli 241 e 283 del Codice penale)

Il 18 settembre viene così disposta la perquisizione delle residenze di Corinto Marchini, capo delle "camicie verdi", Enzo Flego e Sandrino Speri, dell'ufficio di Speri nella sede leghista di Verona e di un locale della sede federale di Milano della Lega Nord, ritenuto nella disponibilità dello stesso Marchini. Le operazioni iniziano alle 7 del mattino e alle 11 due pattuglie della Digos di Verona si presentano alla sede della Lega di via Bellerio a Milano con Marchini a bordo.

Qui la Polizia di Stato (Digos di Verona e di Milano, Ufficio prevenzione generale di Milano) incontra sul posto un'opposizione per cui i poliziotti «decidevano di rivolgersi per istruzioni al Procuratore della Repubblica di Verona. Tornavano, quindi, posto nel pomeriggio con il provvedimento integrativo di perquisizione e l'ordine di procedere, trasmesso via telefax, dalla competente Procura di Verona». Nel pomeriggio la Polizia ha un nuovo decreto di perquisizione e «dopo una prima contestazione sulla autenticità del decreto di perquisizione trasmesso da Verona, gli operanti, entrati nell'androne dell'edificio, per eseguire il provvedimento dovettero affrontare e superare un cordone umano formato» da militanti e dirigenti leghisti fra cui Maroni, «e da altri simpatizzanti, postisi innanzi alla scala per impedire la salita degli uomini della Polizia. Superato tale ostacolo, le forze dell'ordine salirono le scale inseguiti e ostacolati dagli astanti». Nel corso del tragitto verso la stanza di Marchini «la Polizia dovette affrontare l'assembramento di persone che si era formato, accompagnata da un coro di insulti» promossi da Borghezio, oltre a «numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali» compiuti da Maroni, Bossi e Calderoli, «episodi tutti documentati dai filmati televisivi».

«Il primo vero e proprio episodio di violenza» fu compiuto da Maroni che «tentò di impedire la salita della rampa di scale (...) bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu».

Quando finalmente ispettori e agenti furono «pervenuti di fronte alla porta del locale da perquisire, gli operanti rinvenivano un cartello cartaceo la cui indicazione dattiloscritta specificava "Segreteria politica - Ufficio on.le Maroni". Il Dott. Pallauro, dopo un ulteriore contatto telefonico con il Procuratore della Repubblica di Verona che dava ordine di portare a termine l'operazione, provvedeva allo sfondamento della porta, operazione che tuttavia era ostacolata violentemente» da Maroni, Bossi, Borghezio, Capanni, Martinelli e Calderoli «che aggredivano principalmente il Dott. Pallauro e l'ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alla spalle. (...) La vicenda vedeva da ultimo l'on.le Maroni subire un malore e venire disteso a terra dall'agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela».

Ne nacque così un procedimento penale per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 del codice penale) perché «gli insulti e gli atti di resistenza e violenza non sono in alcun modo atti insindacabili per i quali possa valere la prerogativa parlamentare».

Maroni sostenne che «fu aggredito e non aggredì gli esponenti della Polizia». Fu invece dimostrato «la non veridicità dell'assunto del Maroni» essendo «documentato che nella ascesa della rampa delle scale trovandosi a terra, e non per le percosse ricevute, tratteneva con la forza gli operanti afferrando la caviglia dell'ispettore Mastrostefano e poi le gambe dell'ispettore Amadu». La magistratura appurò poi che Maroni «era caduto in terra per un improvviso malore nella fase finale dell'accesso degli operanti nella stanza da perquisire, circostanza attendibilmente confermala dalla teste Nuvoloni della Polizia che lo aveva soccorso, e forse colpito anche involontariamente in tale posizione nella ressa creatasi luogo o già raggiunto, presumibilmente, da spinte nel corso della vicenda che vedeva un accalcarsi incontrollato di persone, compresi giornalisti e simpatizzanti della Lega Nord».

Ad ogni modo «i pubblici ufficiali erano comunque tenuti a portare a compimento l'ordine loro impartito. Non era discutibile la legittimità della perquisizione a carico del Marchini nella sua stanza sita nell'immobile anche sede del partito politico, dove lo stesso Marchini accompagnava gli operanti, perquisizione non limitata alla sua abitazione, ma a tutti gli altri luoghi nella sua disponibilita».

In definitiva «la resistenza» di Maroni e degli altri leghisti «non risultava motivata da valori etici, mentre la provocazione era esclusa dal fatto che non si era in presenza di un comportamento oggettivamente ingiusto adopera dei pubblici ufficiali». In modo particolari gli atti compiuti da Maroni sono stati ritenuti «inspiegabili episodi di resistenza attiva (...) e proprio per questo del tutto ingiustificabili».

Il 16 settembre 1998 Roberto Maroni fu così condannato in primo grado a 8 mesi.

La Camera dei Deputati ha deliberato, il 16 marzo 1999, l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, dei comportamenti tenuti dai parlamentari in occasione dell'opposizione alla perquisizione. Ma «la Corte d'appello ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e la Corte costituzionale (sentenza n. 137 del 2001) ha dichiarato che non spettava alla Camera deliberare che i fatti per i quali era in corso il procedimento penale concernessero opinioni espresse dai parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni».

La Corte di appello di Milano il 19 dicembre 2001 ha confermato la decisione di primo grado riducendo la pena a 4 mesi e 20 giorni perché nel frattempo il reato di oltraggio era stato abrogato.

La Camera dei Deputati il 4 febbraio 2003 ha allora chiesto alla Corte Costituzionale di «dichiarare che non spetta all’autorità giudiziaria (ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona) di disporre e di far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare Roberto Maroni, con il conseguente annullamento dei decreti di perquisizione locale e di sequestro emessi dalla Procura il 17 e 18 settembre 1996 - nella parte in cui, senza autorizzazione della Camera dei deputati, si è disposta la perquisizione del locale all’interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Corinto Marchini, ancorché lo stesso fosse nell’effettiva disponibilità dell’on. Roberto Maroni - e di tutte le operazioni di perquisizione svoltesi il 18 settembre 1996 in esecuzione dei decreti stessi».

Il 30 gennaio 2004 la Corte Costituzionale darà ragione alla Camera perché davanti al cartello "Segreteria politica - Ufficio on.le Maroni" «l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto sospendere l'esecuzione della perquisizione e chiedere alla Camera la necessaria autorizzazione; in alternativa - ove avesse nutrito dubbi sull'attendibilità del contenuto dei cartelli - avrebbe potuto disporre gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quei cartelli aveva collocato».

Dieci gioni dopo, il 9 febbraio, la Cassazione ha confermato per Maroni la condanna d'Appello commutandola però in una pena pecuniaria di 5.320 euro.

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