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sabato 18 dicembre 2010

Recensione Ippogrifo- Paola Liberace Contro gli asili nido

Paola Liberace

Contro gli asili nido


Editore Rubbettino
Collana Problemi aperti
Data uscita 22/07/2009
Pagine 88
EAN 9788849824216

10,00

Ci sono libri che suscitano dubbi, provocano ripensamenti, altri che confermano certezze, consolidano convinzioni.

Preferisco sempre di più i primi ai secondi.

Il breve, denso, pamphlet di Paola Liberace, giornalista, blogger e madre di due figli, nell'incipit si chiede “perché una mamma che lavora, soddisfatta utente di un buon asilo nido privato, dovrebbe scrivere un libro contro gli asili nido?”

Già, perché, verrebbe da chiedersi di conseguenza, un genitore che lavora, soddisfatto utente di un asilo nido pubblico, dovrebbe recensire un tale libro?

I motivi sono tanti e ogni pagina letta ne ha aggiunto di nuovi.

L'aspetto politico

Iniziamo con cosa non è il libro: non è una crociata libertaria sul lassaiz faire individualista, ne un'acritica critica anti marxista. É, a discapito del titolo, un excursus storico, legislativo e statistico sull'offerta delle strutture prima infanzia in Italia,ed è soprattutto un'analisi impietosa sul fallimento della politica familiare, della conciliazione, della maternità e della natalità.

La sensazione che rimane dopo un pomeriggio di lettura è che il nostro pensiero politico contemporaneo (italiano intendo) sia lontanissimo da qualsiasi principio liberale di autodeterminazione delle scelte individuali e familiari, sia, sempre il nostro pensiero politico, altrettanto lontano da approcci socialisti e riformisti, capaci di attuare principi di sussidiarietà, solidarietà ed efficienza di un welfare state moderno ed universalistico.

Nonostante i tentativi di inghiottire l'amaro in bocca, il nostro pensiero politico, e, di conseguenza, il nostro apparato politico, statuale, mi sembra ancorato ad un familismo arcaico e incongruente con le evoluzioni sociali, lavorative e culturali degli ultimi decenni. Mi sembra legato ad una concezione del mercato del lavoro keinesiana, quando dovrebbe essere liberista, e liberista quando dovrebbe essere keinesiana, liberista con i precari e keinesiana con monopolisti, infine ad una concezione dei processi decisionali democratici strumentali, localisti ed autoreferenziali.

In questo contesto tutte le scelte, come spesso accade in Italia, appaiono mezzo giuste o mezzo sbagliate, soprattutto non sembrano mai esaustive ne tanto meno risolutive.

Il libro mi ha stimolato lo spolvero di vecchi e desueti classici del pensiero politico: Rossi, Rosselli, Einaudi, Gobetti, Salvemini. L'Italia pare abbia attuato, banalizzandola ed esautorandola di ogni significato positivo, la grande utopia del socialismo liberale che tanta speranza diede ad una minoritaria parte dell'antifascismo italiano. Il peggio del socialismo e il peggio del liberalismo sono in Italia espressione di molte delle politiche di welfare, che oggi, grazie alla crisi economica, stanno mostrando tutta la loro inadeguatezza.

Il ruolo della politica, nelle azioni e negli interventi che riguardano la vita degli individui e delle famiglie è fondamentale, ed appare imprescindibile strumento per arrivare ad uno Stato moderno, efficiente e rispondente alle richieste dei cittadini.

Ma è veramente così? Veramente lo Stato si è preso in carico questo ruolo? Veramente lo Stato deve prendersi in carico la famiglia, la genitorialità, l'educazione fin dalla prima infanzia, fino al lifelong learning?

Lo Stato deve veramente occuparsi dei propri sudditi dalla culla alla tomba? Deve applicare un Welfare fortemente comunitario e relazionale che interviene nell’intero ciclo di vita – dal concepimento alla morte naturale - in modo da rafforzare l’autosufficienza della persona e prevenire il formarsi del bisogno, così come auspicò il Libro Bianco di Sacconi un anno fa?

Oppure come sollecita Paola Liberace in conclusione del libro: essere genitori è una questione di libertà e di responsabilità: non si può coltivare la seconda senza tutelare la prima, e aggiungerei: essere cittadini è una questione di libertà e responsabilità?

Il bambino dove lo metto? Dove lo metto chi lo sa?

Tu lo mandi al nido o hai qualcuno?” e chi è il qualcuno?

Oggi in Italia la famiglia è allargata, o meglio dire immobilizzata in una struttura composta da nonni, genitori, nipoti e solo tale forma pare assicurare una valida alternativa all'Asilo nido.

In realtà la cura dei figli è gerarchica: madre, tutto il resto.

Grande assente è il padre, volente o nolente. La cura è femminile, il reddito maschile. Questa è la realtà, sottaciuta e non affrontata, di tutta l'analisi dell'autrice.

I nonni sono una risorsa, e lo sono ancor di più se non decrepiti, pensionati baby, attivi e svegli e soprattutto vicini.

Verrebbe da dire: nulla di nuovo sotto il sole. La bella famiglia comunitaria, le generazioni che parlano, condividono spazi e saperi. Verrebbe da dire che così non è. La famiglia dove nonni, nipoti, cugini, fratelli, sorelle, vicini, parenti di generazioni ed età molteplici non esiste più. I nonni sono quasi sempre con un solo nipote e non ci sono cugini. Le variabili della modernità lavorativa non permettono tanta socialità comunitaria. I nonni girano con le carrozzine, custodiscono in casa i bimbi e poco più.

Esistono poi le soluzioni “Mary Poppins” ovvero le baby sitter praticamente perfette. Soluzioni che costano più del nido, quanto uno stipendio, e che corrispondono al criterio: una persona davvero qualificata - magari italiana, magari con il diploma di puericultrice, magari pagandole i contributi (p.7). Assai più comune è rivolgersi a giovani ragazze simpatiche, carine, magari alla pari, ma la puericultura rischia di impattare con l'uso smodato dei social network. Oppure si possono prendere due piccioni con una fava: la colf. Può dare un occhio al bambino mentre rassetta casa, è una persona di fiducia, disponibile. Spesso il lavoro di cura è extracomunitario, o neocomunitario, con risultati simili ai paradossi delle badanti: pazienza se parla male italiano e con il pupo si limita a lunghe, silenti passeggiate in carrozzina senza dare un cenno di presenza (p.8).

Dunque il nido è la soluzione: ambiente sicuro e controllato, crescita relazionale del bambino, professionalità del personale, il costo affrontabile se pubblico, più impegnativo se privato. Insomma perfetto, pubblico o privato che sia.

Ma i posti sono sufficienti? Ad essere buoni arriviamo, così dice puntigliosamente la Liberace, all'11% della copertura sulla fascia 0/3 anni, in regioni e provincie come la nostra un po' di più, comunque lontanissimi dal promesso obiettivo del Trattato di Lisbona (dovrebbero raderla al suolo quella città per tutti gli obiettivi che si ostina a farci mancare) del 33% entro il 2010. Certo non possiamo aspirare al 64% della Danimarca e tanto meno al 29% della Francia, eppure a destra e a manca si promette:

prosecuzioni del piano di investimenti in asili aziendali e sociali (PDL) l'asilo nido deve diventare un servizio universale, disponibile per chiunque ne abbia bisogno (PD).

Lavoro e famiglia: due termini, una soluzione.

La partita della famiglia, o meglio della natalità, si gioca nei primi mesi di vita e in termini sempre femminili. L'assunto pare essere: se riesco a tornare a lavoro entro l'anno sono salva.

Stiamo parlando dell'esercito delle volenterose impiegate, come cinicamente le chiama l'autrice, di donne che esaurito il bonus temporale della maternità, corrono ai ripari presidiando il posto di lavoro, e affidando( potrebbero oggi fare altrimenti?) i piccoli di meno di un anno al nido, ai nonni, etc.

Ciò comporta un enorme sforzo di conciliazione integralmente (o quasi) in carico alle donne, comporta acrobatiche peripezie fra nidi, baby sitter e nonne. La soluzione che ci si ostina a cercare è riassunta in poche ed efficaci parole: flessibilità di orari dei nido, servizi integrativi, aperture estive, orari lunghi. Conciliare la famiglia con il lavoro e non il contrario.

Siamo proprio sicuri che sia questa la soluzione?

L'esercito delle donne volenterose impiegate è frutto di lotte per l'emancipazione, per le pari opportunità, per l'eguaglianza di trattamento e salario. La Liberace ci riporta amaramente alla realtà: 20% di donne in posizione manageriale (dati ISTAT 2006), le donne dirigenti sono il 24,5% per di più concentrate nella pubblica amministrazione, e volendo soffrire si continua con differenze nell'ordine del 24% fra retribuzioni maschili e femminili (a favore dei primi ovviamente).

Questo quadro non pare semplificarsi e l'uso degli ammortizzatori sociali, legati alla crisi di questi ultimi due anni, sembra allontanare ancora di più le donne da un mercato del lavoro “conciliante”.

Quello che dovrebbe essere una libera scelta di vita, passare i primi mesi di vita con il proprio figlio, rischia di diventare l'unica soluzione economicamente sostenibile in una famiglia che diventa da plurireddito a monoreddito precario.

Politiche di conciliazione: dov'è il problema?

Il principale fattore di ostacolo tra famiglia e lavoro non è la scarsa disponibilità di posti negli asili nido, ma la strutturazione rigida del lavoro, e l'impossibilità di variare o ridurre l'orario lavorativo (p. 21). Con la forza dei numeri e delle indagini Istat citate, l'autrice ci porta in quella che, dal suo punto di vista liberale, appare essere il vero punto carente del sistema, il nodo irrisolto e non affrontato, delle politiche lavorative, e della famiglia in Italia: la debolezza del mercato del lavoro e del sistema delle opportunità di flessibilità.

Parlare oggi di flessibilità in Italia è pericolosissimo.

Flessibilità è, o meglio è stato fatto diventare, sinonimo di precarietà, ed affidare al precariato la soluzione delle politiche di conciliazione rasenta la bestemmia. Eppure se, come ci invita a fare l'autrice, usciamo da schemi dialettici rigidi e affrontiamo la questione in termini seri e, soprattutto, onesti ci accorgiamo che proprio le donne sono le prime a soffrire di questo paradossale errore.

Il posto fisso è rigido, inchiodato a orari e tempi inconciliabili (se non con un nido ultraflessibile), eppure oggi appare l'unica àncora di certezza della vita familiare.

Il part time è inutilizzato, non richiesto e disincentivato, i congedi un misterioso strumento, il telelavoro eretico, il jobsharing (orribile termine per dire fare in due il lavoro di uno) un mostro in mano ai padroni del vapore e via discorrendo.

Piuttosto si danno bonus una tantum per pagare uno o due mesi di asilo, piuttosto si spendono milioni di euro per raggiungere punti o frazioni di punto percentuali nell'impossibile scalata a Lisbona, piuttosto si escogitano sostegni ed integrazioni al reddito, agevolazioni per far lavorare di più le donne e permettere loro di lasciare i figli ad altri. L'importante è che se hanno un lavoro lo mantengano come prima, più di prima, ma non meglio di prima.

Le donne si preoccupano del ritorno dell'oppressione patriarcale, che le aveva segregate in casa, non battono ciglio di fronte alla segregazione impiegatizia, che la veloce evoluzione delle tecnologie rende ancora più obsoleta della prima- e che per giunta le ha obbligate a disfarsi dei figli.(p.54).

Nonostante la critica ad alcuni aspetti del femminismo, l'autrice ripercorre il solco delle lotte di liberazione femminile più oltranziste degli anni '70, e lo fa abolendo il maschio, dimenticando che le politiche di conciliazione non sono più solo un problema femminile, ma sono sempre più una questione trans-gender, che interessa e coinvolge l'intera struttura delle relazioni sociali.

La Liberace solletica in conclusione la nostra fantasia citando le socialdemocrazie e le liberaldemocrazie: Danimarca, Inghilterra, Francia, DDR. Critica l'approccio universalistico e propone soluzioni differenziate: congedi lunghi per donne e uomini, part time obbligatori, posticipi pensionistici legati a lunghi periodi congedo non retribuito, social networking da casa, lavoro condiviso, banca del tempo e via discorrendo.

Fantasie, fantasticherie per il nostro elefantiaco stato.

Il massimo che l'elefante partorì fu un topolino:

Piccoli ma significativi aggiustamenti nel rigido orario di lavoro possono consentire a molti [sic] la conciliazione tra tempi di lavoro e di famiglia senza compromissione delle possibilità di carriera. (LA VITA BUONA NELLA SOCIETÀ ATTIVA , Libro Bianco sul futuro del modello sociale , maggio 2009 Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali)

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