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lunedì 30 agosto 2010

PG Battista è risavito?

cosa fosse successo a PG battista e a tutti i liberali del corriere era un mistero. Erano impegnati da mesi e mesi in un continuo e insostenibile leccamento di culo arcoriano.
Questo articoletto (immagino scappato al direttore sempre preoccupato di non offendere nessuno, soprattutto se al comando) riporta ilcorriere fra i giornali leggibili.
Chissà se durerà.

intanto aspetto il ritorno del giornale di opposizione liberale: il Secolo d'italia abbinato al Fatto quotidiano. L'unico modo, insieme a Bordin, per essere sicuri di non essere presi per il culo.


Ffwebmagazine - Il Pdl a lezione da Putin

Una neo-lingua che ha travolto l'anima liberale del centrodestra italiano

Il Pdl
a lezione da Putin

di Pierluigi Battista
Le lezioni di liberalismo del professor Putin stanno producendo i loro primi, visibili effetti. Un'improvvisa metamorfosi linguistica ha travolto i liberali del Pdl impegnati nella campagna di demolizione (per i più raffinati: “character assassination”) del “rinnegato Fini”. Un'impressionante sequenza di slittamenti semantici. Con il risultato finale di una poderosa “neo-lingua” che ha soppiantato il lessico della vecchia “rivoluzione liberale”, scomparsa con illacrimata sepoltura.

Il dissenso, bollato come sabotaggio e slealtà anti-partito, diventa così, per miracolo lessicale, “controcanto quotidiano”. Chi viene cacciato, un “fuoruscito”, anziché, come vorrebbero la logica e il buon senso, un “fuorimandato”: un espulso, insomma. Chi è a capo dei dissidenti, stando alle dichiarazioni del cattolico-liberale Maurizio Lupi, si trasforma nel “capo di una fazione”. Deve esserci stato però un increscioso errore di traduzione: il professor Putin, memore del suo passato, avrà certamente detto “frazione”.

Se vi capita di sentire che i dissidenti “ostacolano” la marcia del governo, significa che i reprobi vorrebbero, più semplicemente e prima che quest'attività venisse equiparata a un complotto, “discutere”. Le incursioni dei giornali ostili nella vita privata denunciate un anno fa diventano “sacrosanto dovere d'informazione” se l'identico, rude e poco garantista trattamento viene riservato a chi sta ancora nella maggioranza di governo, ma in minoranza nel Partito plasmato a immagine e somiglianza del Capo. Il “gossip quotidiano” propalato dal nemico si trasforma come per magia in intoccabile “diritto di cronaca” quando ad essere presa di mira è, come ha scritto Flavia Perina, la “donna del nemico”. L'ex fidanzato di Noemi era un provocatore, il figlio di Gaucci, cioè dell'ex fidanzato dell'attuale fidanzata del “rinnegato anti-partito”, una affidabile miniera di notizie utili per la lotta politica.

La quale lotta politica subisce un rapido effetto di psichiatrizzazione (do you remember?). Gli umori sostituiscono i contenuti e gli argomenti del “rinnegato” diventano disturbi caratteriali, deplorevoli “ambizioni personali”. Censurabili in un partito i cui dirigenti, come è universalmente noto, sono tutt'altro che tentati dall'ambizione e dall'autoaffermazione personale, è tempo che quelle smodate manifestazioni di egoismo carrieristico siano liquidate come “soggettivismo piccolo borghese”: il professor Putin saprà spiegare esaurientemente il significato storico-politico di questa leggiadra locuzione in auge prima dell`89.
Chi parla, “sparla”. Chi non è d'accordo, “fa ostruzionismo”. Il “moralismo” era un brutta parola, ma si chiedono le dimissioni del presidente della Camera come “obbligo morale”. Chi butta fuori i dissidenti è “liberale”, chi è buttato fuori è “illiberale”. Obiezioni? Deferito ai probiviri.

Pubblicato sul Corriere della Sera del 30 agosto 2010

sabato 28 agosto 2010

Calderisi, lo smemorato 3

Scioglimento delle Camere

Il Quirinale, il voto e "l' esempio inglese"

Il testo inviato a Calderisi (Pdl) e il «sollievo» per la crisi evitata

S e Silvio Berlusconi ieri l' ha definita «una stagione ingannevole» come tutte le estati, durante la quale è riaffiorato il solito «teatrino della vecchia politica» che è tempo di stoppare con un «basta», per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il bilancio è ancora peggiore. Per lui, le scorse settimane sono state un vero e proprio «delirio». Per Napolitano le ultime settimane sono state una sorta di incubo che le conclusioni del vertice tra il premier e Umberto Bossi l' altra sera a Lesa, sul lago Maggiore, sembrano aver interrotto, proiettando sull' autunno ormai vicino la «speranza di una tregua». Al punto da fargli dire: «Tanto rumore per nulla». Certo, il presidente della Repubblica sa bene che il compromesso siglato tra i due leader della maggioranza è provvisorio e si fonda «su basi fragili», perché condizionato da diverse variabili. Tuttavia, il fatto che quell' incontro abbia allontanato lo spettro di una crisi di governo che fino a pochi giorni fa era data per imminente (con relative incognite sulla «piccola ripresa» diagnosticata dagli analisti), gli permette di tirare un respiro di «sollievo». Forse non di «soddisfazione» piena, però, considerati i postumi dell' aggressivo «chiacchiericcio» e della «montagna di dichiarazioni» che hanno assediato lo stesso Quirinale per l' intero mese d' agosto. Al centro delle polemiche - come si ricorderà - il tema dei poteri del capo dello Stato nell' ipotesi di un collasso del governo e una presunta contrapposizione tra la Costituzione materiale (nata dalle prassi e soprattutto dall' ultima legge elettorale) e la Costituzione formale. La pretesa, avanzata nelle forme di un aut aut dal centrodestra, era che, qualora il Cavaliere dichiarasse forfait, Napolitano dovrebbe chiudere subito la legislatura «per non andare contro la sovranità popolare». Tutti a casa senza condizioni. Senza verificare se in Parlamento esistano altre maggioranze. Un argomento rilanciato fino alla nausea, oltre che da parecchi esponenti politici, da quelli che al Quirinale sono considerati degli «improvvisati costituzionalisti». Fino a comporre, attraverso letture distorte della Carta fondamentale, un «florilegio di sciocchezze» secondo cui «s' immagina un presidente della Repubblica con la penna in mano, pronto a decretare lo scioglimento delle Camere quando gli viene detto». Una specie di grigio notaio di campagna, un passacarte. Dichiarazioni «improvvide», tra le quali spiccava quella firmata martedì sul Corriere della Sera da Fabrizio Cicchitto e Giuseppe Calderisi, autori di un lungo articolo per confermare la tesi che a decidere è sempre e solo il popolo. E proprio per far capire come la pensa e approfondire ciò che aveva già spiegato in un colloquio con il Corriere e in una nota ufficiale, il capo dello Stato si è premurato di inviare a Calderisi un testo a suo giudizio illuminante: il «Bill Cameron-Clegg». Cioè l' accordo politico (trasformato in un disegno di legge ora in seconda lettura alla Camera dei Comuni) che è stato stipulato «nel Paese della democrazia liberale per eccellenza», il Regno Unito, per stabilire la durata della legislatura e le modalità per chiuderla in anticipo, ove ciò si rendesse inevitabile. Da noi se ne è parlato forse poco. Quell' intesa fu siglata tra conservatori e liberaldemocratici all' indomani del responso delle urne, dopo che i due partiti si erano presentati l' uno contro l' altro (e mentre Gordon Brown usciva sbaragliato) e dopo che nessun dei due aveva raggiunto la maggioranza assoluta, e naturalmente senza che l' elettore britannico avesse votato per l' inedita coalizione formatasi poi «in nome dell' interesse nazionale». Un patto con il quale, fissando già al primo giovedì di maggio del 2015 il prossimo voto, si vuole garantire al Paese un impegno di stabilità. Ora, se il governo inglese dovesse subire prima di quella data una mozione di sfiducia (che dovrebbe comunque essere approvata da almeno due terzi dei membri del Parlamento), ciò non porterebbe all' automatico congedo delle Camere. Se infatti passasse una simile mozione, ci sarebbero ancora 14 giorni di tempo per formare un' altra maggioranza ed evitare elezioni anticipate. E soltanto a quel punto, se fallisse pure quell' ultima ricerca, si scioglierebbe il Parlamento. Questo - in estrema sintesi - l' esempio britannico che Napolitano ha indirizzato a Peppino Calderisi, il quale vanta qualche competenza sui sistemi elettorali e sul maggioritario. Insomma: un argomento di dissuasione in più per chi, nell' Italia sotto stress di quest' estate, voglia riflettere su come la fatidica sovranità popolare può essere rispettata introducendo variazioni in grado di disciplinarla, senza cadere in tentazioni troppo sbrigative come quelle predicate dal centrodestra con la minaccia del «voto subito». Purché si tenga conto, è il ragionamento del presidente, che la Costituzione parla di «limiti e forme» fissati dalla stessa Carta. E purché finalmente si capisca che è meglio «fare piazza pulita» di tutte le interpretazioni strampalate e «fantasmagoriche» che hanno visto troppa gente (premier compreso) azzardare messaggi contraddittori, non valutandone le conseguenze. Marzio Breda RIPRODUZIONE RISERVATA **** Il «Cameron-Clegg Bill» Le elezioni di maggio 1 In Gran Bretagna i conservatori vincono le elezioni, ma non raggiungono la maggioranza assoluta dei seggi L' accordo di governo dopo il voto 2 Conservatori e liberal democratici, David Cameron e Nick Clegg (foto), avversari alle elezioni, danno vita a un accordo di governo L' impegno per la stabilità 3 L' accordo politico (trasformato in un disegno di legge) fissa al 2015 il prossimo voto, per dare al Paese un impegno di stabilità I numeri della maggioranza 4 I due partiti (lib-dem e conservatori) hanno 363 seggi alla Camera dei Comuni, con una maggioranza di 76 seggi

Breda Marzio

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(27 agosto 2010) - Corriere della Sera

Calderisi, lo smemorato 2

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IL LEADER DEL PD REPLICA A CICCHITTO E CALDERISI

«Votiamo pure ma governabilità a rischio»

Caro Direttore, vorrei tranquillizzare gli onorevoli Fabrizio Cicchitto e Giuseppe Calderisi (Corriere della Sera, 24 agosto): non ho affatto cambiato le mie idee del 2006 e sono convinto che in una democrazia dell' alternanza, fondata su un sistema bipolare, quando venga meno la maggioranza scelta dagli elettori si debba tornare al corpo elettorale. Dirò di più: proprio perché la crisi che Berlusconi e la sua maggioranza stanno vivendo non è transitoria né momentanea, ma appare ogni giorno di più manifestazione dell' esaurirsi strutturale di un ciclo politico, non si può chiudere la stagione di Berlusconi senza che una nuova leadership abbia una piena legittimazione democratica ed elettorale. Ma vi è un nodo che Cicchitto e Calderisi non possono eludere: l' attuale legge elettorale - voluta, è bene ricordarlo, a suo tempo dal centrodestra per «seppellire il bipolarismo» - non consente agli elettori di scegliere gli eletti né garantisce che chi vincerà le elezioni abbia la legittimazione necessaria a guidare il Paese. Le dinamiche che stanno investendo il panorama politico lasciano prefigurare, in caso di elezioni anticipate, una competizione tra quattro o cinque raggruppamenti elettorali. Il che rende molto probabile che uno schieramento - qualunque esso sia - possa vincere le elezioni con un consenso non superiore al 35%, ottenendo però - con il premio di maggioranza previsto dall' attuale legge - il 55% dei seggi. Un simile scarto tra consenso elettorale e rappresentanza parlamentare non esiste in nessun Paese democratico al mondo. Ed è facile prevedere che, all' indomani di elezioni siffatte, scatterebbe immediata la contestazione di legittimità verso chi, solo per effetto di una forzosa maggioranza assoluta di seggi, governerebbe il Paese rappresentando non più di un terzo dei cittadini. D' altra parte fu il padre di quella legge, il ministro Calderoli, a definirla «una porcata». Per questo - essendo convinto che sia necessario votare per aprire una stagione nuova della vita politica italiana - ho più volte dichiarato in queste settimane che un eventuale esecutivo di transizione dovrebbe avere durata e finalità limitate, esaurendo la sua funzione con l' approvazione in Parlamento di una nuova legge elettorale, che consenta immediatamente dopo agli italiani di scegliere con il voto da chi essere guidati. In ogni caso, se ciò non sarà possibile, il Pd non ha alcuna paura di andare a votare, anche con questa legge elettorale. Le elezioni non le temiamo. Al contrario, nonostante brandisca ogni giorno minacciosamente il voto anticipato, è Berlusconi a temerlo perché sa benissimo che non prenderà mai più quel 37% raccolto nel 2008, che peraltro è via via già sceso al 35% alle europee, a poco più del 30% nelle elezioni regionali del biennio 2009-2010 e, stando ai più recenti sondaggi, oggi è addirittura sotto quella soglia. Tant' è che Berlusconi si guarda bene dal compiere l' unico atto che avvicinerebbe la prospettiva elettorale: salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni. Naturalmente il dibattito su eventuali elezioni non può prescindere in ogni caso dal fatto che, di fronte ad un' eventuale crisi di governo, norme e prassi costituzionali assegnino in modo insindacabile all' imparzialità del presidente della Repubblica la valutazione su quale sia la migliore soluzione percorribile. Chi si riconosce nella Costituzione non può non rispettare rigorosamente questo principio di garanzia democratica.

Fassino Piero

Pagina 45
(25 agosto 2010) - Corriere della Sera

Calderisi, lo smemorato 1

COSTITUZIONE E VOTO

Scioglimento: anche Fassino la Pensava come Noi

Quando Fassino (per D' Alema) parlava come noi sullo scioglimento

Caro Direttore, sulla questione del potere di scioglimento delle Camere non si tratta di una contrapposizione tra la Costituzione formale e una pretesa nuova Costituzione materiale, ma di un oggettivo problema interpretativo delle norme costituzionali e del conflitto esistente tra una prassi costituzionale, peraltro contraddittoria, e l' evoluzione del sistema politico codificata nell' ordinamento attraverso le modifiche del sistema elettorale. Come ricorda Augusto Barbera, la Costituente si rifiutò di tipizzare i casi di ricorso allo scioglimento e respinse gli emendamenti volti a eliminare la controfirma governativa per evitare un eccessivo potere presidenziale. Furono intenzionalmente concepite norme assai generiche ed elastiche, la cui lettura avrebbe potuto essere aggiornata alla luce dell' evoluzione del sistema politico. Infatti, i padri costituenti erano consapevoli di lasciare aperte alcune pagine, soprattutto quella sulla forma di governo. Per gli articoli sullo scioglimento (88 e 89) ricalcarono sostanzialmente quelli dello Statuto albertino, avendo soprattutto presente la prassi statutaria secondo la quale era il presidente del Consiglio a proporre formalmente al re il decreto di scioglimento. Non a caso nel 1953, nei giorni precedenti al primo scioglimento anticipato del Senato, tutta la stampa - dal Corriere della Sera all' Unità - e tutti gli ambienti politici dell' epoca ritenevano che la titolarità effettiva del potere di scioglimento fosse del governo o quantomeno che esso ne avesse la primaria responsabilità politica (alla fine De Gasperi non propose il decreto solo per evitare la formalizzazione del dissenso dei partiti laici). L' esito delle elezioni con la mancata attivazione del premio di maggioranza previsto dalla cosiddetta legge truffa fu poi decisivo per mutare questa titolarità governativa, per allineare la «sostanza» alla «forma» prevalsa, alla fine, nel 1953 e per troncare ogni possibilità di sviluppo di una idea di democrazia maggioritaria e competitiva. Per i numerosi scioglimenti anticipati delle Camere (dal ' 72 all' 87) divenne decisiva la volontà dei maggiori partiti (solo i primi due per quello dell' 87), irrilevante l' orientamento del presidente del Consiglio, del tutto notarile il ruolo del capo dello Stato. Era la «costituzione materiale» del sistema dei partiti. Il problema interpretativo del potere di scioglimento, non a caso, è esploso quando è venuto meno quel sistema di partiti e quando sono state approvate nuove leggi elettorali maggioritarie che hanno previsto la formazione delle coalizioni prima del voto e l' indicazione preventiva del capo della coalizione candidato alla carica di presidente del Consiglio. Un problema riconosciuto dal relatore della Commissione bicamerale per la forma di governo Salvi: «Quanto al tema dello scioglimento, noi dobbiamo colmare una falla costituzionale che si è aperta in Italia a questo riguardo. So bene che non dobbiamo scrivere la Costituzione sull' onda dello shock del ribaltone, e tuttavia nell' inverno ' 94-' 95 abbiamo attraversato una drammatica crisi in cui non soltanto le forze politiche e parlamentari, ma gli italiani erano divisi su ciò che fosse giusto fare. Noi non abbiamo normato in Costituzione il potere di scioglimento, questo è il punto» (seduta del 28 maggio 1997). Peraltro, la stessa prassi secondo la quale non si può sciogliere se c' è un governo che abbia la fiducia delle Camere è stata apertamente contraddetta dal presidente della Repubblica Scalfaro che nel gennaio ' 94 procedette allo scioglimento anche se il governo Ciampi aveva la fiducia del Parlamento e questo aveva approvato fondamentali manovre economiche e importanti riforme istituzionali. Uno scioglimento con il governo nella pienezza dei poteri che trovò concorde anche il presidente della Camera che non mise neppure all' ordine del giorno la mozione a firma Gerardo Bianco con cui la maggioranza voleva confermare la fiducia al governo. Occorre inoltre ricordare che un «patto-antiribaltone per garantire la stabilità della maggioranza di governo scelta dagli elettori» trovò il consenso dei candidati alla carica di premier per le elezioni del 2001, Berlusconi e Rutelli. Alla domanda del Corriere della Sera (8 maggio 2001) sulla disponibilità a sottoscrivere quel patto, Rutelli dichiarò: «Per noi il rispetto della volontà dell' elettorato è un valore assoluto. Gli elettori hanno diritto di decidere con il loro voto quale governo, quale premier, quale maggioranza vogliono e che le indicazioni popolari non possono essere tradite. Anche la legge elettorale deve servire a questo». Molte altre affermazioni di diversi leader del centrosinistra vanno nella stessa direzione. Particolarmente significativa è quella del segretario dei Ds Fassino quando sul Foglio del 6 maggio 2006 propose la candidatura al Quirinale di D' Alema come «presidente che svolga un ruolo di garanzia». Esponendo i quattro punti di un «manifesto presidenziale» che intendeva «anticipare il modo con cui si propone di interpretare il proprio ruolo», Fassino così enunciò il primo punto: «L' assicurazione che se il governo Prodi dovesse entrare in crisi si tornerà a votare, in base al principio tipico delle democrazie dell' alternanza per cui la legittimità di una maggioranza e di un governo viene dal voto dei cittadini». Se il segretario dei Ds nel 2006 sosteneva questa tesi come punto programmatico della candidatura di D' Alema al Quirinale evidentemente la riteneva pienamente rispondente alla Costituzione e al possibile aggiornamento della sua lettura alla luce dell' evoluzione del sistema politico-istituzionale e delle nuove leggi elettorali. Orbene, perché mai se questa stessa tesi viene oggi sostenuta dal Pdl e dalla Lega si grida allo scandalo e alla violazione della Costituzione? Una tesi è conforme al dettato costituzionale quando serve alla ricerca del più ampio consenso parlamentare per la candidatura di D' Alema al Quirinale e diventa eversiva e contro la Costituzione quando viene sostenuta dal centrodestra, perché magari si ritiene che l' unico modo per cambiare il quadro politico sia una manovra di palazzo? Il principio in base al quale se viene meno la maggioranza di governo scelta dagli elettori si ritorna al voto è un principio fondamentale non solo a tutela della sovranità popolare ma anche a favore della stabilità dell' esecutivo. Del resto, il potere di scioglimento è innanzitutto un potere deterrente contro i fattori di instabilità delle maggioranze e più che a sciogliere il Parlamento serve proprio a «non» scioglierlo. Un potere che, intervenendo negli equilibri interni di maggioranza, ha una valenza prettamente politica che mal si addice a cariche istituzionali di garanzia, in quanto rischia inevitabilmente di esporle nell' agone politico. Infatti, anche un semplice pronunciamento preventivo in una direzione o nell' altra può influire fortemente sulle dinamiche politiche e sugli stessi equilibri parlamentari. Non a caso, la tendenza nettamente prevalente nelle maggiori democrazie parlamentari è quella di porre il potere di scioglimento nella disponibilità del premier. Persino in un Paese retto da un sistema proporzionale come la Germania, il cancelliere dispone di fatto di questo potere, attraverso la richiesta del voto di fiducia, l' assenza programmata dall' aula di una parte dei deputati della maggioranza e la conseguente reiezione della fiducia; reiezione che consente al Cancelliere di chiedere e ottenere lo scioglimento da parte del presidente della Repubblica. Cosi hanno agito sia Brandt, sia Kohl, sia Schröder. Alla luce di queste considerazioni e di queste inequivocabili prese di posizione anche di esponenti della sinistra, emerge con nettezza che la posizione del Pdl e della Lega («o il governo Berlusconi ha la fiducia con una maggioranza stabile in Parlamento oppure bisogna andare al voto, senza operazioni trasformiste») esprime una linea pienamente legittima e dotata di fondamento costituzionale. *capogruppo Pdl alla Camera **parlamentare Pdl RIPRODUZIONE RISERVATA

Cicchitto Fabrizio, Calderisi Giuseppe

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(24 agosto 2010) - Corriere della Sera

giovedì 26 agosto 2010

Ffwebmagazine - Credere, obbedire combattere: ecco la novità della "destra berlusconiana"

Questo l'avrei voluto scrivere io!!!!


Ffwebmagazine - Credere, obbedire combattere: ecco la novità della "destra berlusconiana"


C'è chi non tradisce "i valori" e soprattutto non tradisce Lui. Meno male!

Credere, obbedire combattere: ecco
la novità della "destra berlusconiana"

di Filippo Rossi
Non vi preoccupate, vossignori, la destra c’è. È viva è vegeta. E sta, ovviamente, tutta nel Pdl. Non vi preoccupate, la destra esiste ancora, perché c’è chi non tradisce i valori assoluti, perché le radici profonde non gelano, perché c’è chi non rinnega. La destra cresce e crescerà all’ombra di Silvio Berlusconi, unico sdoganatore, unico comandante (o versione latineggiante della definizione), unico salvatore. Non vi preoccupate, vossignori, i badogliani non vinceranno. Perché i duri e puri, i militanti, quelli delle sezioni, quelli con le palle, fanno la guardia al capo di Arcore, cavalcando la tigre, ergendosi su un mondo di rovine (o veline?). Perché Lui ci ha salvato, ci ha sdoganato, e lo difenderemo fino alla morte: battaglioni compatti, milizia per sempre fedele, per sempre devota.

Non vi preoccupate, vossignori, la destra c’è. E si batterà per quello in cui crede. Sarà una battaglia dura, senza esclusione di colpi. Ma la destra viva e vegeta è così: è eroica, è intrepida. E non tradisce MAI. Perché la destra non tradisce la destra. Non tradisce i suoi Valori, la sua Fede. (E il suo Emilio Fede). La destra non tradisce il proprio Capo. Il proprio Duce. (Battaglioni di Silvio, battaglioni…). Perché la destra è dura e pura, è fedele alla linea. Meglio: è fedele a chi detta la linea. La destra è così: combattente. Va alla guerra. E quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Perché la destra, quella vera, quella fedele, quella genuina, sa prendere ordini; sa obbedire; sa, alla bisogna, turarsi il naso. E sa non guardare a un palmo dal naso.

Non vi preoccupate, vossignori, la destra c’è. Coerente con la propria storia. Coerente con le cose giuste e le cose sbagliate. Coerente con tutto. Perché la destra è così: NON CAMBIA MAI IDEA. Come diceva Giuseppe Prezzolini? “La coerenza è la virtù degli imbecilli”. Ecco cos’è la vera destra. E se lo dice uno di destra come Prezzolini, bisogna credergli! Perché la destra crede, obbedisce e combatte! Al resto ci pensano gli altri. (Meno male che Silvio c’è).

Non vi preoccupate, vossignori. La destra c’è, anche se non sa quel che è.

26 agosto 2010

Secolo d'Italia - Politica

é mai possibile che mi tocchi ammirare sconsideratamente una banda di fascisti!

Secolo d'Italia - Politica

Una tantum, replica ai veleni e alle bugie

Flavia Perina

Dopo l’editoriale che chiedeva alle donne del Pdl di pronunciarsi sul linciaggio di Elisabetta Tulliani e l’intervista a “Repubblica” sullo stesso tema tanti colleghi mi hanno chiesto: perché nessuna risposta? Come mai le destinatarie dell’appello hanno preferito non pronunciarsi, né a favore né contro? Basta leggere “Libero” e “Il Giornale” di oggi per capire il motivo del silenzio. Chi parla è perduto. Chi rompe il fronte è condannato al plotone di esecuzione mediatico. Ed evidentemente l’intimidazione sortisce i suoi effetti: anche io, che una qualche esperienza di prima linea ce l’ho, sono rimasta a bocca aperta davanti alla violenza mistificatoria con cui la fabbrica del fango ha reagito a un appello politico e a un ragionamento sulla concezione della donna coltivata da alcuni settori del Pdl. Non me lo aspettavo. E tuttavia sono contenta di un fatto: nessuna collega del Pdl si è prestata a dare manforte all’operazione di Belpietro e di Feltri, nessuna (almeno in prima battuta) ha messo il suo nome e la sua faccia al servizio dei lapidatori. Ringrazio tutte: so che sono state sollecitate a intervenire e si sono sottratte.
Ma veniamo al punto. Anzi, ai punti che sono essenzialmente due. Il primo è facile da liquidare: Vittorio Feltri accusa il “Secolo” di doppiopesismo, sostenendo che il nostro quotidiano non ha mai difeso Mara Carfagna e altre esponenti del Pdl finite nel tritacarne mediatico della sinistra. È una assoluta menzogna e la collezione del giornale è lì a dimostrarlo con editoriali di prima pagina, interviste, pubbliche prese di posizione per le quali il ministro (che all’epoca nemmeno conoscevamo personalmente) ci ringraziò più volte. Eravamo e siamo convinti che la campagna anti-Mara rispondesse a uno stereotipo sessista che abbiamo sempre contestato – quello secondo cui le donne schierate a destra sono belle oche e fanno carriera ancheggiando – e ripetevamo che la Carfagna (come la Gelmini, come la Prestigiacomo, come tante altre) andasse giudicata sui fatti e non sull’estetica o sulle sue scelte private. Ed è esattamente lo stesso spirito che ha animato l’appello contro la fucilazione quotidiana di Elisabetta Tulliani: una che nemmeno sta in politica e che viene bersagliata solo perché è la compagna di Fini.
E veniamo al secondo punto, cioè al titolo di apertura di “Libero” sulla «pulizia etnica di Fini», relativa al caso di una nostra collega, Priscilla Del Ninno, in causa con il “Secolo d’Italia” per le modalità con cui è stata messa in cassa integrazione quando il giornale aprì lo stato di crisi e poi licenziata alla fine della Cig. La vicenda viene equiparata a quella dei sindacalisti Fiat estromessi dal lavoro (e reintegrati dalla magistratura) perché accusati di aver determinato il blocco di una linea di produzione durante uno sciopero. Con una sostanziale differenza: Priscilla del Ninno non è una sindacalista, non ha mai protestato contro la decisione del “Secolo” di indire lo stato di crisi, non ha nemmeno preso parte alle assemblee del gennaio-febbraio 2007 nelle quali si discusse e si votò liberamente la scelta dell’azienda, la cassa integrazione, la ristrutturazione. Infatti, all’epoca, si mise in malattia. La malattia le consentì di non assumersi la responsabilità – che tutti gli altri redattori si presero – di pronunciarsi sul piano del direttore e dell’amministratore, che prevedeva la riduzione delle pagine culturali (quelle nelle quali lavorava), tre prepensionamenti e la cassa integrazione per tre unità: un piano discusso e approvato non solo dall’assemblea del “Secolo”, ma dal sindacato dei giornalisti e dei poligrafici in sede locale e nazionale dopo minuziose disamine e correzioni. Non solo: grazie allo “status” di malata la Del Ninno fu la sola tra tutti a essere tutelata dalla possibilità di finire in cassa integrazione. E infatti non ci finì: per 9 mesi restò in malattia e solo raggiunto il limite massimo previsto dalla legge entrò in Cig, salvo uscirne di nuovo due o tre mesi dopo perché era rimasta incinta e si mise in maternità. Nel frattempo aveva avviato una causa contro il giornale. Ha vinto in primo grado (l’azienda ha ricorso): avrebbe potuto rientrare in redazione ma utilizzò ancora l’aspettativa per maternità, e finita quella si mise in ferie. Un altro procedimento è in corso: rispetteremo la sentenza, come abbiamo sempre fatto, non perché “femministe” (l’aggettivo usato da Maurizio Belpietro con toni spregiativi) ma perché ci sembra normale fare così.
Non entriamo nel merito delle altre bugie raccontate da “Libero”, a cominciare da quella secondo cui la Del Ninno sarebbe stata defenestrata per sostituirla con persone più “fedeli alla linea” come Filippo Rossi: tra l’altro Priscilla – ed era un suo vanto – una “linea” non l’ha mai avuta, salvo quella di usare fino in fondo le buone relazioni di suo padre con la direzione e l’amministrazione che l’avevano assunta per garantirsi dalle scomodità legate all’esercizio della professione. Ricordo personalmente un durissimo richiamo (all’epoca ero caporedattore) ricevuto perché avevo disposto il suo spostamento nell’open space redazionale dalla stanza “privata” che occupava con una collega. Suggeriamo ai colleghi di “Libero”, se vogliono sollevare scandalo sul tema dei diritti femminili negati al “Secolo”, di prendere in considerazione un altro caso: quello di Annalisa Terranova, che nel 1996, mentre era incinta, fu scavalcata nel suo ruolo di responsabile del servizio politico da un collega che si occupava di tutt’altro ma era più amico del direttore e solo per senso di responsabilità scelse di non rivolgersi al sindacato. Il direttore dell’epoca era Malgieri, ultimamente arruolato proprio da “Libero” come commentatore antifiniano («Fini ha poche idee, confuse e non di destra» è il titolo del suo ultimo articolo).
Comunque, va bene così. L’escalation della fangosa campagna contro Fini e i finiani – comunisti o fascisti, epuratori o clientelari, amici dei magistrati o violatori di sentenze a secondo di quel che serve – dimostrerà alle lunghe una sola cosa: Futuro e Libertà fa paura, al di là delle percentuali elettorali che gli vengono riconosciute in caso di voto, perché rappresenta una prospettiva di destra potenzialmente più credibile di quella rappresentata da “Libero” e dal “Giornale”. Il tentativo di screditare il gruppo di Fli serve a coprire il vuoto di contenuti degli “altri”, la loro incapacità di offrire risposte di merito sui problemi del partito e dell’Italia, ma di questo passo non farà che rendere questo vuoto sempre più evidente, palpabile, verificabile anche dai meno provveduti. E, crediamo, saranno sempre di più gli italiani che si chiederanno: ma davvero la destra deve essere questa babele di veleno e di fango? Poi arriverà un sondaggio e anche il Cavaliere se ne accorgerà. Probabilmente un giorno troppo tardi come è accaduto sui “numeri” dei finiani.

martedì 24 agosto 2010

FLI vero partito di destra... e rimanga tale

oggi leggevo Cacciari parlare di terzo polo (casini, fini e montezemolo)...

Futuro e libertà (se non fosse per quel futuro avrei sperato in Giustizia e Libertà) è un partito di destra. Una destra laica, liberale, moderna, antiautoritara, democratica, garantista, liberista, femminista, rivoluzionaria, sociale, europeista, tollerante.
La vera destra che i problemi li affronta con cognizione di causa, nel ferreo rispetto delle regole, nella ferma volontà di usare gli strumenti legali, costituzionali, legislativi per trasformare questo ridicolo sultanato in un paese democratico.

I finiani stanno conducendo una strepitosa guerriglia parlamentare, giornalistica, mediatica. Sono, questi fascisti, i veri antifascisti del 2010. Non aventiniani, duri e coesi, politici e preparati.

L'unica tattica valida, in questa guerra, è quella di colpire e ritirarsi su posizioni sicure. Lo fecero i partigiani, i vietcong...
Contro il nazismo padano che occupale valli del nord e quello nazionale che occupa televisioni, banche, ministeri, comuni e regioni in tutta Italia.

L'unica forma di lotta che può vincere (come fu per il nazifascismo) è la politica, alla clausewitz se serve, con i suoi strumenti di lotta. Cambiare le leggi in parlamento, cambiare la legge elettorale, restituire il potere di scelta al popolo.

Per questo ogni forma è concessa: rimanere al governo, emendare, provocare, colpire e proporre.

Una destra europea è l'unica modo per avere una sisistra europea in Italia. Fini se non altro ci sta provando.

lunedì 23 agosto 2010

il re è nudo, e non fa una gran bella figura

Il Filippo Rossi non sbaglia un colpo... ne vorrebbero così a palzzo Grazioli. Ma hanno scelto Capezzone... che è causa del suo mal pianga se stesso.

Ffwebmagazine - Storiella di fantapolitica: Lui, il popolo e la libertà

ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale

Storiella di fantapolitica:
Lui, il popolo e la libertà

di Filippo Rossi
Un tizio fonda un partito e dice che è libero e liberale. Talmente libero e liberale che ci vuole la parola libertà anche nel nome. Talmente libero e liberale che non lo chiama nemmeno per nome: lo chiama “popolo”, luogo della differenza per antonomasia, delle idee che s’incontrano e si confrontano. Perché – dice – i partiti sono una cosa vecchia, roba che non può esprimere tutta la libertà che ci serve, roba anti-democratica. Insomma, uno fonda un partito e spiega che è il partito di tutti, che gli italiani ci si potranno riconoscere, dice che è la “casa comune” di idee, storie diverse. Un tizio fonda questo benedetto partito nuovo, laico liberale democratico, e spiega subito che, sì, è vero che è di tutti, ma in fondo uno strappo alla regola si può anche fare. E così impone l’inno del suo vecchio partito: una cosa del tipo “meno male che Lui c’è”. Che poi significa: grazie all’Uomo della Provvidenza. Che poi significa: senza di lui non saremmo nessuno. Qualcuno storce il naso, ovviamente. Qualcun altro ingoia il rospo. Poi lo lasciano fare: in fondo, pensano, è solo il narcisismo di un uomo anziano che sta facendo tanto per tutti noi, per l’Italia, per il mondo. Gli si può ben concedere una canzoncina per aprire e chiudere i suoi comizi. Che differenza fa, pensano. In fondo è uguale: perché la politica, quella vera, è un’altra cosa. Uno fonda un partito, quindi. Laico libero e liberale. Poi sceglie un inno: “Meno male che Io ci sono”. Poi comincia a dire: qui decido io; qui decido tutto io; qui comando io. La gente si guarda sorpresa: ma come, pensa, non dovevamo essere laici liberi e liberali? Tranquilli, rispondo altri, è solo propaganda, è solo facciata, è solo perché Lui sa parlare meglio di tutti al suo popolo, al nostro popolo. Ma in realtà – continuano – in fondo siamo liberali davvero! E Lui è il più liberale di tutti: perché ci sa capire, ci guarda nei cuori, sa cosa vogliamo. Quando parla Lui è come se parlassimo noi. Ci sa spiegare cosa dobbiamo pensare. Si può essere più liberi di così? Chiedono, dandosi già la risposta. Uno fonda un partito. E poi decide che è roba sua. Perché Lui è la gente. Perché Lui è il popolo. Perché lui è la verità, la via e la luce. E chi non ci sta è un eretico, un reietto. Chi non ci sta è messo all’indice. Chi non ci sta è messo alla porta.Uno fonda un partito a sua immagine e somiglianza. E chi non ci s’identifica, peste lo colga. Ok, gli altri pensano. Va bene, il Tuo partito non è quello che pensavamo. Ci abbiamo provato, abbiamo sbagliato, tu ci hai cacciato. Ognuno per la sua strada. Va bene, magari ce ne facciamo un altro, attraverso il quale possiamo dire quello che pensiamo. Così, poi, riusciamo a fare anche politica…E no, dice lui a questo punto. Come vi permettete? Come si permettono? Il mio partito deve essere di tutti, è di tutti. E tutti devono cantare tutti insieme meno male che Io ci sono. Altrimenti che liberali sono? Che italiani sono? Traditori, ecco cosa sono. Perché il mio partito è il partito di tutti. Perché il mio partito è l’unico partito possibile. Anzi, il mio partito è un partito “unico”. L’unico possibile. E chi non ci sta, è un anti-italiano. E chi non ci sta, non può parlare. Chi non ci sta non è liberale! Non è democratico! Chi non ci sta non esiste! Perché la libertà sono io. Perché il popolo sono io. E gli altri? Gli altri non sono un cazzo. Ps.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

23 agosto 2010

domenica 22 agosto 2010

La squadra del cuore...

Il partito dell'amore ha finalmente la sua squadra del cuore. No! non è il Milan ma il nuovo (si fa per dire) strumento della propaganda fide della Chiesa Arcoriana.
Le squadre della libertà! ci mancavano, dopo il Polo della Libertà, la Casa della Libertà, il Partito della libertà, il Popolo della libertà, i Club della libertà, i Promotori della libertà, i Gladiatori della libertà, ancora parole il libertà!

Mi immagino questi arzilli squadristi, armati di opuscoli, libri, gadget girare per le città. Pronti a convertire, al messia della libertà, i trinaricciuti comunisti che impervesano per l'Italia, colpire a suon di "meno male che Silvio c'è" quei topi di fogna dei fascisti fininani, lisciare il pelo ai democristiani di casini... che meravigliosa visione! Contenderanno il territorio a Testimoni di Geova, ex tossici, grillini e dipietrici, guardie padane, animalisti e postraumatici!
5 per ogni collegio: una gnocca, un GGiovane, un vecchio, un forzaidiota (ex qualcosa) e un ex missino convertito (i convertiti sono sempre i peggiori).
Il grande stratega sa che ha almeno 500 voti per collegio, quindi vuoi non trovare in questa massa di consumatori 5 disposti a diventare Squadristi! è solo l'1% degli elettori!
Allora togliamo i voti truccati (percentuali minime, ovviamente) togliamo gli anziani non autosufficienti, le suore e i preti, i disabili, le donne cesse, i giovani brufolosi, i negri e i froci, rimangono tutti gli altri. Possiamo dividerli tranquillamente per appartenenza:
  • gli ex democristiani? Quelli aspettano che passi il cadavere.
  • gli ex socialisti? Quelli si muovono a babbo morto
  • gli ex comunisti? Corrono subito dal nuovo dittatore e rispondono con sincera devozione
  • gli ex radicali? Quelli buoni son già scappati, gli altri hanno la faccia come il culo e fanno più danni a parlare che a star zitti.
  • gli ex fascisti? I rimasti si defileranno a poco a poco, lasceranno i talebani colonnelli, tenentini e sergenti, a presidiare il fortino
  • gli ex società civile? Quelli ci sono finchè ci sono appalti, incarichi, mazzette, banche, leggine, condonini, partecipate, affitti ed aqcuisti inconsapevoli. Se però nasano puzza di carogna diventano tutti d’emblée antiberlusconiani
Fatta la tara ci troveremo con le solite facce: il fidel promotor-club-squadrista buono per ogni occasione. L'importante è che ci sia la gnocca! si è mai vista la promozione di un prodotto tarocco senza una gnocca mezza nuda ad ammiccare?
Insomma una ronda celestina che sia aggiungerà alla già inutile ronda mista (militari e poliziotti) che cazzeggia per la città in cerca un qualche delitto da segnalare.
Questi cercheranno qualche costituzionalista (inteso come colui che sa che esiste una costituzione scritta) da purgare, metaforicamente si intende, con una sana razione di estratto di costituzione materiale (in soluzione 1% costituzione, 99% materiale di scarto) .



Il povero Duce, buon anima, si sta suicidando nella tomba per tanto offesa alle sue intuizioni.

sabato 21 agosto 2010

Aforisma bismarkiano

“Quando si dice che si è d'accordo su una cosa in linea di principio significa che non si ha la minima intenzione di metterla in pratica„

(Otto von Bismarck)

Aggiungerei


trovo molto interessante il suo punto di visto, e lo condivido...

venerdì 20 agosto 2010

Il berlusconismo... ed ora la nuova destra! a tempo debito

Sembra che non cia sia mai fine al capetto della certosa. E non deve esserci fine prima che una vera destra non si sia radicata e strutturata in Italia. Bisogna andare al sistema uninominale secco all'inglese, o se proprio vogliamo essere buoni alla neozelandese o australiana. Bisogna che il pessimo governo del compratore in saldo di ville nobili, finisca il suo mandato e lo finisca malamente, crolli sotto il peso della sua incapacità politica e imprenditorale del suo maggiore azionista, o meglio del suo monopolista. Questo bisogna sperare. FF sta minando lentamente e inesorabilmente le fondamenta del potere del acquisitore di centinaia di ettari di macchia mediterranea trasformata in disneland del sesso, perchè grida il re è nudo (e la politica è coperta di merda).


Non è una questione politica:adesso, è una scelta di libertà
di Filippo Rossi


Eravamo convinti che fosse un semplice dibattito politico, il confronto tra due idee di centrodestra. Eravamo convinti che si trattasse di un normale dialogo tra idee diverse, opzioni diverse, leadership complementari. Eravamo sinceramente convinti che tutto potesse scorrere tranquillamente nei canali della democrazia interna a un partito. Era una sicurezza che derivava da una certezza cresciuta negli anni: Berlusconi non era il Caimano descritto dagli antiberlusconiani di professione; Berlusconi era un leader atipico ma liberale; Berlusconi non era uno da "editti bulgari"; certo, Berlusconi aveva tante questioni personali e aziendali (quante se ne potrebbero elencare) ma era comunque un leader con una sogno, una lucida follia; Berlusconi, insomma, non era come lo descrivevano i suoi nemici. Ed é in base a queste certezze che lo abbiamo difeso per anni, sperando nella sua capacità di spiccare il volo e diventare un grande politico, uno statista.Adesso è cambiato tutto e niente sarà più come prima. Perché nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non coincida integralmente con le sue espressioni più appariscenti e drammaticamente caricaturali. Nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non coincida con il dossieraggio e con i ricatti, con la menzogna che diventa strumento per attaccare scientificamente l’avversario e magari distruggerlo. Nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non si nutra di propaganda stupida e intontita, di slogan, di signorsì e di canzoncine ebeti da spot pubblicitario. Ma tanto non ci proveranno nemmeno, a convincerci. E, purtroppo, il pensiero corre agli eventi passati, all'editto contro Enzo Biagi, contro Daniele Luttazzi, contro Michele Santoro. Il pensiero corre ai sensi di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa. E oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea. Oggi ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima? Non c'è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore. Eravamo convinti che tutto fosse un semplice dibattito politico. Sbagliavamo. È molto, molto di più. È una questione di civiltà. Di democrazia. E di libertà. Questioni forse più grandi di noi, che impongono una scelta difficile. Intendiamoci, tutto questo poi non impedisce la “politica”, non impedisce di assumersi la responsabilità di trovare accordi per governare il paese. Si parla d’altro. Si parla di qualcosa di più. Perché quello che abbiamo visto in questi ultimi tempi, tra documenti di espulsione e attacchi sguaiati alle istituzioni che sembrano concepite come proprietà privata e non come bene pubblico, relazioni internazionali di dubbio gusto e killeraggi mediatici, per non parlare delle questioni etiche trasformate in propaganda di partito, ecco, tutto questo dimostra che c’è una distanza culturale prima di tutto. E che la scelta, a questo punto, è se stare o meno dalla parte di una politica che si possa dire davvero laica e liberale.

19 agosto 2010

martedì 10 agosto 2010

La lega non fa il suo dovere...

Quindi la lega non è altro che un accozzaglia di intrallazzoni a caccia di potere? Cose dell'altro mondo! il nostro.


10 agosto 2010

“Il Carroccio ha dimenticato le piccole imprese”
Salvatore Cannavò

Il fondatore di 'Imprese che Resistono' dopo due anni di governo dice: Berlusconi e la Lega non hanno fatto nulla per le Pmi
Luca Peotta è un piccolo imprenditore di Villafalletto in provincia di Cuneo, profondo Piemonte. La sua impresa produce forni industriali e nel 2008 ha fatturato 2 milioni di euro con dieci dipendenti. Nel 2009 la crisi l’ha preso in pieno e il fatturato si è ridotto a circa un terzo. Peotta, nel maggio del 2009 ha fondato “Imprese che resistono” un Comitato nazionale di imprenditori piccoli e piccolissimi – ormai 1200, 600 delle quali in Piemonte – e non usa giri di parole per esprimere il proprio stato d’animo sul governo Berlusconi: “Deluso e rammaricato”. Il classico antiberlusconiano per principio? “Si figuri che sulla promessa dell’Iva per cassa Berlusconi ha anche guadagnato il mio voto”, dice Peotta senza alcun imbarazzo. Oggi la situazione è cambiata: gli scandali hanno strappato un velo, le elezioni anticipate sono viste come una sciagura e Peotta è tra quegli imprenditori che sta pensando di andarsene fuori dall’Italia. Magari in Svizzera.

Insomma, il bilancio di questi due anni abbondanti di governo qual è?
Sui nove punti che come piccole imprese abbiamo presentato al governo ne abbiamo ottenuto mezzo: la moratoria sui debiti con le banche sulla quale però ci vengono fatti pagare gli interessi degli interessi. In realtà abbiamo ascoltato una montagna di chiacchiere.

Di cosa parlavano i nove punti?
Puntavamo alla riduzione dell’Irap al 2 per cento e alla sua deducibilità, all’accesso al credito, alla moratoria sui debiti con le banche (qui abbiamo ottenuto qualcosina), al posticipo delle scadenze previdenziali e fiscali, a un credito di imposta che aiutasse a arginare la crisi, all’Iva per cassa, ad ammortizzatori sociali, come la Cassa integrazione, più flessibili. Insomma, un pacchetto di misure non eclatanti e soprattutto sempre considerate centrali dalla politica.

E invece?
Invece niente. Quante volte Berlusconi ha parlato dell’Iva per cassa? Alla fine l’ha resa possibile solo per le aziende che fatturano fino a 200 mila euro l’anno…. Ma chi fattura così poco? Solo chi lavora in nero! Si figuri che su questa proposta Berlusconi ha guadagnato il mio voto. Ma potrei dilungarmi anche sull’altra misura che ci sta a cuore, la certezza dei pagamenti. Secondo l’Europa devono avvenire entro 60 giorni, salvo diversi accordi tra le parti. In Italia se una fattura non viene pagata non abbiamo armi in mano. Grazie ai radicali abbiamo presentato una proposta di legge che però né Pdl né Lega hanno voluto firmare.

Già, la Lega. Non è il partito che si è impegnato di più nei vostri confronti?
Qui in Piemonte ha anche vinto le elezioni. Ma cosa ha mai fatto la Lega per le piccole e medie imprese? La Lega parla tanto di popolo ma a parte le feste di paese non mi sembra in grado di fare altro, non si vede nessuna vicinanza. Lo slogan “Roma ladrona” viene gridato fuori da Roma ma poi quando entrano a Roma stanno zitti. Forse avranno le mani legate ma certo per le Pmi la Lega non ha realizzato nessuna opera benefica.

Eppure Maroni viene indicato come uno dei ministri migliori.
Ho rispetto per Maroni e penso abbia fatto un buon lavoro. Ma la sua lotta alla mafia, ad esempio, non convince, credo che servirebbe uno sforzo in più. Perché non si vanno a guardare davvero gli appalti in Lombardia, nella Sanità, nelle Opere pubbliche? Lì non si tocca nulla e il ruolo dei vari Anemone o Verdini o le lobbies di cugini e parenti continuano a sperperare risorse alla faccia del debito pubblico.

E il resto del governo?
Ma se siamo senza il ministro dello Sviluppo economico! Berlusconi aveva detto che in una settimana sarebbe stato risolto tutto. E invece niente, anche il Capo dello Stato si è dovuto lamentare. In realtà l’insegnamento che si trae da questa vicenda di governo è basato sul motto napoletano “chiagn’e fotte”, piangono ma vanno avanti così. La riduzione di 500 euro dello stipendio per i parlamentari è populista così come la caccia ai falsi invalidi. E perché il ministro Brunetta ci deve mettere tre anni per risparmiare un miliardo e mezzo che se ne va via in auto blu?

Lei è un piccolo imprenditore e ne rappresenta molti altri. In questo clima politico che si è creato cosa pensa di elezioni anticipate?
La crisi non dovrebbe essere neanche permessa. Per noi sarebbe un disastro. Basti pensare alla Regione Piemonte dove il passaggio elettorale tiene fermi da sette mesi i regolamenti attuativi per una legge regionale di sostegno ai debiti con le banche. No, la crisi di governo rappresenterebbe l’ammissione che di fronte alla crisi e alla sua durezza questo governo preferisce scappare. Meglio allora un governo tecnico o ex novo, altrimenti si offende il paese.

Quali sono oggi le sue prospettive di imprenditore?
Intanto va detto che la ripresa non c’è. Se la produzione sale dell’8 per cento è perché comunque era precipitata prima. I magazzini sono ai minimi termini. Servirebbero regole nuove, smetterla con finanziamenti a fondo perduto, con incentivi che drogano il mercato. Di questo passo avrà ragione Marchionne che va a produrre in Serbia, perché lì il governo aiuta l’impresa. Non a caso noi stiamo cercando di verificare la produzione in Svizzera dove il governo punta alla tassazione fissa del 20 per cento e dice all’Italia: con lo Scudo fiscale ci avete tolto i grandi patrimoni? E allora noi cercheremo di portarvi via le imprese.

Da Il Fatto Quotidiano del 10 agosto 2010

Ffwebmagazine - E se Daniele Capezzone avesse (avuto) ragione?

Leccaculo era e leccaculo è rimasto: Pannelliano più di Pannella, Berlusconiano più di berlusconi!


Ffwebmagazine - E se Daniele Capezzone avesse (avuto) ragione?

«In nessun paese al mondo avremmo un premier così. Per essere chiaro, voglio prescindere dall’esito dei processi di ieri e di oggi, e perfino, se possibile, dalla rilevanza penale dei fatti che sono emersi. Ma è però incontrovertibile che Silvio Berlusconi (prescrizione o no) abbia pagato o fatto pagare magistrati; così come da Palermo (ripeto: quale che sia la qualificazione giuridica di questi fatti) emergono fatti e comportamenti oscuri, di cui qualcuno (Berlusconi in testa) dovrà assumersi la responsabilità politica». È Daniele Capezzone che parla, lui il portavoce di questo pensiero tranchant. Capezzone che, di natura più prodigo di parole che no, anche in questo caso non ne risparmia per spiegarsi meglio: «Per capirci – aggiunge – : ve lo immaginate, non dico il presidente, ma un qualunque uomo politico americano di cui fosse provata una attività corrutrice? Avrebbe dovuto o dovrebbe trarne immediate e gravi conseguenze. Oppure: ve li immaginate inquisitori così negli Stati Uniti?» «Neanche a parlarne» sembra dunque concludere. Ma poi ci ripensa e aggiunge, rincarando: «Il vero dolore di queste ore è che si conferma una convinzione e constatazione antica: Berlusconi e i suoi avversari, inquisiti e inquisitori, pm e imputati costituiscono altrettanti capitoli di uno stesso libro, il libro nero del “caso Italia”. Un paese libero, liberale, liberato si sarebbe già – appunto – liberato insieme degli uni e degli altri».Cambia, invece, decisamente il registro, ma abbastanza poco la sostanza in quest’altra affermazione, ugualmente di Daniele Capezzone: «Berlusconi si paragona a Napoleone e Churchill. Mi ricorda la barzelletta dei due matti: uno dice “Io sono Mosè e Iddio mi ha dato le tavole della legge” e l’altro, offeso: “Ma guarda che io non ti ho dato niente!”. Ecco, lui potrebbe essere il secondo matto, mentre per il novello Mosè bisogna scegliere tra Bondi e Fede». Toni frivoli da sotto l’ombrellone che ben si confanno alla leggerezza estiva, ma parole effettivamente piuttosto sprezzanti nei confronti del premier. Offensive verrebbe quasi da dire, se non si avesse in dote una spiccata dose di senso umorismo.Argomenti, poi, nuovamente seri: «Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi contro l’Italia multietnica sono preoccupanti e gravi. Rischiano di spostare la Cdl su un terreno rischioso e sdrucciolevole e dimenticano – ad esempio – che anche all’apertura sull’immigrazione paesi come gli Stati Uniti devono una parte importante della loro grandezza». Copyright anche in questo caso del prolifico Capezzone.Nel prendere con decisione le distanze dalle pesanti dichiarazioni del portavoce del Pdl sul premier, da lui addirittura fastidiosamente appellato «lo sciancato di Arcore», chiediamo scusa per l’imbarazzante errore informatico in cui siamo incorsi, che ha fatto sì che, al posto delle più recenti affermazioni di Capezzone, siano andate inopportunamente online quelle evidentemente superate risalenti al 2004 e al 2006.

10 agosto 2010

lunedì 9 agosto 2010

l'astensione, e l'ostensione

L'astensione che vale cme un ostensione di libertà

Benedetto della Vedova
Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, il gruppo parlamentare Futuro e Libertà. Per l'Italia è formato da deputati che avrebbero voluto restare nel Popolo della Libertà e lì partecipare ad un vitale confronto di idee e di personalità, che, guardando all'Europa, costruisse il futuro di un grande partito liberale e moderato nell'interesse del Paese. Ci è stato detto in modo categorico che ciò non era ammissibile, che le nostre proposte e le nostre ragioni, i nostri contenuti e le forme che sceglievamo per esprimerli erano incompatibili con il partito e la sua leadership. Il nuovo partito del centrodestra, a quanto pare, non avrebbe potuto tollerare quella dialettica politica, aspra e competitiva, che caratterizza in tutto l'Occidente avanzato la vita politica interna dei grandi partiti di centrodestra.
Non abbiamo capito, ma ci siamo adeguati; ne abbiamo preso atto, ma non ci siamo rassegnati. Ora la maggioranza parlamentare, alla Camera come al Senato, è composta da tre gruppi, compresi quelli di Futuro e Libertà. Per l'Italia. Siamo nella maggioranza e sosterremo lealmente l'Esecutivo, lavorando per migliorare e accelerare l'attuazione del programma di Governo. Per il resto, fuori dal perimetro del programma, andremo ad un confronto aperto, senza pregiudizi e ostilità. Nulla di meno, nulla di più! Veniamo al voto di oggi: siamo garantisti «senza se e senza ma». Lo siamo per le migliaia di persone che stanno in carcere in condizioni incivili, ancora in attesa di un processo; lo siamo per quegli immigrati che vengono respinti come irregolari prima che si verifichi se abbiano o meno i requisiti per ottenere l'asilo politico; lo siamo per quelle decine di migliaia di imputati e vittime di reati che sono condannati dalle inefficienze del sistema giudiziario ad attendere per anni, spesso inutilmente, che la giustizia faccia il suo corso; lo siamo per tutti e lo siamo anche per i politici, che, di fronte ad un'indagine o ad un'imputazione, non sono né più né meno innocenti dei comuni cittadini.
Il perimetro della responsabilità penale non coincide, però, con quello della responsabilità politica. Nessun politico ha il dovere di dimettersi per il solo fatto di essere indagato, ma nessun politico può essere difeso, a prescindere da qualunque altra considerazione, solo perché indagato. L'avviso di garanzia non è una condanna preventiva, ma la presunzione di innocenza non assicura l'impunità politica. Siamo contro gli opposti estremismi di chi ritiene che un avviso di garanzia debba far scattare la tagliola delle dimissioni e, magari, della decadenza dalle cariche pubbliche, e di chi, al contrario, ritiene che, per valutare la responsabilità di un politico indagato, occorra attendere la pronuncia definitiva dell'autorità giudiziaria. Si tratta di due errori, uguali e contrari, in cui la politica italiana è già caduta in passato e da cui deve guardarsi per il futuro. Se oggi la cosiddetta questione morale torna in primo piano, non dobbiamo confondere la causa con l'effetto: sono i fatti a creare allarme, non l'allarme a creare i fatti. La crisi economica sta mettendo alla prova la società italiana: la storia ci insegna che è in questi momenti, quando la disoccupazione cresce, tante imprese sono in difficoltà e le famiglie sono costrette a ripensare i propri progetti di vita, che si diffonde la sfiducia nella politica e nelle istituzioni e che novelli agitatori di piazza hanno gioco facile. Ed è in queste situazioni che la politica ha maggiormente il dovere di dare un'immagine di trasparenza, di correttezza, di legalità nell'esercizio del potere pubblico, di meritocrazia nella selezione della classe dirigente e nella valutazione delle sue responsabilità. È questo un importante capitale sociale fondamentale perché una nazione possa ritrovare la strada della crescita e del benessere. Senza moralismi dobbiamo dire forte e chiaro che la questione dell'etica pubblica e dell'etica politica ci riguarda tutti, perché su questo tutti insieme verremo giudicati. Negli ultimi mesi le inchieste giudiziarie - e non solo queste - hanno fatto emergere condotte, di cui è interamente da accertare il rilievo penale, ma di cui sarebbe da incoscienti sottovalutare la portata politica. È inutile, oltre che dannoso, addebitare la responsabilità a un complotto politico mediatico; altra cosa, che invece va fatta a voce alta, è chiedere che i media raccontino le indagini senza emettere sentenze sommarie in assenza di alcun contraddittorio. In questo clima tornano a soffiare i venti di un giustizialismo aggressivo e di uno pseudogarantismo peloso. Non tutto è uguale, non tutto è ugualmente censurabile, non tutto è ugualmente difendibile, ogni caso fa storia a sé. Per stare alle vicende, che hanno coinvolto membri dell'Esecutivo, bisogna dire chiaramente che il caso Caliendo è diverso dal caso Brancher, che è diverso dal caso Cosentino, che è diverso dal caso Scajola. Il collega Claudio Scajola si è dimesso da Ministro senza aver neppure ricevuto un avviso di garanzia. Ha sbagliato? No, ha fatto bene. Era opportuno che lo facesse e questo gli va riconosciuto. Oggi si chiedono le dimissioni del sottosegretario Caliendo. Non voteremo a favore della mozione dell'opposizione. Come dicevamo, non tutte le vicende sono uguali e questa è molto diversa da quelle che l'hanno preceduta. Quanto emerge ed è dato conoscere, al di là - lo ripeto - del rilievo penale, che non spetterebbe a noi di giudicare, consente di contestare al senatore Caliendo una grave imprudenza e un'eccessiva confidenza con personaggi che non meritavano né ascolto né credito, non la responsabilità di essere venuto gravemente meno ai suoi doveri.Non sussistono i presupposti per chiedere le sue dimissioni e in questo concordo con il Ministro Alfano, ma d'altra parte - e lo diciamo sinceramente - non può essere giudicato irrilevante che proprio il sottosegretario al Ministero della giustizia sia sotto inchiesta per avere tentato di influire su procedimenti che interessavano importanti uffici giudiziari. Tocca al Presidente del Consiglio, al Ministro della giustizia, ma innanzi tutto al sottosegretario Caliendo, valutare serenamente se una sospensione delle sue deleghe fino al chiarimento definitivo della sua posizione non sarebbe la cosa migliore da fare. Per queste ragione il gruppo di Futuro e Libertà si asterrà. Da ultimo, signor Presidente, ma non per ultimo, è molto positivo che su questa posizione equilibrata, su di un terreno dove abitualmente prevale un feroce scontro pregiudiziale, vi sia una convergenza tra gruppi di maggioranza e di opposizione, uniti dalla consapevolezza che serve un sussulto di responsabilità istituzionale in una fase tormentata della Repubblica.
Non è un partito nuovo, non è il terzo polo: noi restiamo senza esitazioni nella maggioranza, i cui numeri oggi non cambiano; altri restano all'opposizione. Ma è una novità importante che, al di là dell'azione del Governo su temi che riguardano le istituzioni e il senso di comune appartenenza ad esse, non vi siano più steccati invalicabili. Questo è nell'interesse della Repubblica italiana. Concludo, signor Presidente, ribadendo il voto di astensione del gruppo Futuro e Libertà. Per l'Italia.