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domenica 19 febbraio 2012

Legami da spezzare Azione politica e azione non-violenta


Pubblicato su Ippogrifo 6- Inverno 2011

 

 Premessa

Trovare una forma di associazione che difenda e protegga,mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti non ubbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima
Jean-Jaques Rousseau, Il contratto sociale, 1762

Il mondo, sempre più piccolo e allo stesso tempo sempre più parcellizzato, sembra essere alla disperata ricerca di un nuovo contratto sociale, per legare insieme i fili delle relazioni comunitarie.
La democrazia e la dittatura sono oggi concetti fluidi a volte persino opinabili, se accade che i dittatori vengano lodati come democratici e i democratici vengano trattati come tiranni. Le rivoluzioni sono un accadimento, come lo sono le elezioni, spostano potere, legittimano e delegittimano allo stesso tempo i legami civili, trasformano e distruggono il prima e non assicurano il dopo. La politica, soprattutto in questo tardo '900 e inizio nuovo millennio, è priva di grandi visioni prospettiche, attanagliata da sistemi economici inefficienti e prepotenti, tensioni nazionaliste, ortodossie religiose e approcci da Stato etico.
La primavera araba, così come lo furono le rivoluzioni colorate degli stati ex sovietici, è oggi l'emblema di un profondo ripensamento del metodo rivoluzionario.
Prima di legarsi bisogna perciò sciogliere alcuni nodi.

 

Il nodo slegato


Alessandro si fece condurre al cospetto del nodo, provò forse a tentarne la corda; o forse aveva già deliberato la sua soluzione: sguainò la spada, e recise a mezzo il nodo. Aveva ventitré anni , non aveva tempo da perdere, l'Asia sarebbe stata sua.
Adriano Sofri, Il nodo e il chiodo, 1995

Il legame è ciò che serve a legare, è esso stesso il nodo che unisce.
Il legame ha due terminali, un inizio e una fine, un in mezzo.
In mezzo c'è un filo costituito da un intreccio di materia sociale, politica, economica. Il legame ha come antidoto la slegatura e il taglio.
Il nodo si taglia o si slega? La dicotomia recisione/scioglimento è corrispondente a violenza/non violenza, guerra/pace, sbagliato/giusto?
Pensare in questo modo la struttura del legame, e la sua risoluzione, porta dunque a dare un'accezione etica, diversa da un approccio pragmatico in cui è la sostenibilità delle relazioni a chiarire la dinamica della violenza e della non violenza nei processi politici.
La (in)sostenibilità dei legami politici, e la loro funzionalità materiale, è data dalla pazienza che vogliamo o possiamo investire per risolverli.
La politica è: uomini, mezzi e fini, per dirlo in tre parole. Ovvero, aggiornandola ad oggi, cittadini, legami, sostenibilità.
Proprio perché la politica è costituita da una moltitudine di connessioni che sono indipendenti dalla forma di governo, la realizzazione dei fini della polis o, se vogliamo usare termini oggi più in voga, della comunità, non dipendono dalla forma di governo quanto dalla capacità di governare la sostenibilità stessa delle relazioni.

Dittatura vs democrazia

Se la legalità è l'essenza del governo non tirannico e l'illegalità quella della tirannide, il terrore è l'essenza del potere totalitario
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951.

La dittatura è una struttura di relazioni di grandissima efficienza. Ogni più lontano terminale comunitario (associazione, sezione di partito, circolo ricreativo, luogo di culto, luogo di lavoro o di svago) è strettamente legato al potere. Anzi, ne costituisce, consciamente o meno, il sistema immunitario.
Il legame comunitario all'interno di una dittatura non ammette libertà e sistematicamente usa la violenza come medium, come collante che, nella sua applicazione quotidiana, diventa sinonimo di terrore.
Uno Stato totalitario, etico e necessariamente sociale, individua un nemico, una diversità, e, attraverso il processo del consenso e dell'immedesimazione di massa, instaura legami omologanti che tendono ad escludere le eccezioni che diventano il pericolo identitario, il potenziale distruttore dei legami politici del regime.
La comunità diventa massa, Popolo e dunque Stato, perdendo ogni interesse a legami sociali diversi da quelli finalizzati al bene comune dogmatico. Così l'amore è funzionale allo Famiglia, l'educazione alla Cultura, il lavoro al Progresso, la religione alla Chiesa, la società alla Patria, il diritto alla Verità, il territorio alla Guerra. Il cittadino infine è funzionale allo Stato e non il contrario.

 

L'esempio perfetto

Lo statalismo è la forma superiore che assumono la violenza e l'azione diretta trasformate in norma. Attraverso e per mezzo dello Stato, macchina anonima, le masse agiscono autonomamente.
La ribellione delle masse, Josè Ortega Y Gasset

I regimi dittatoriali trasformano il legame sociale, in funzione del potere carismatico, in comando, ordine e infine in asettica direttiva, circolare, decreto.
L'ordine, che costituisce il legame stesso ed è sempre banalmente violento è distribuito burocraticamente fra l'intera popolazione in una efficacissima riduzione ad inezia di ogni piccola azione.
La deresponsabilizzazione in una catena di comando lunga, complessa e ritualizzata attribuisce direttamente alla Volontà del Popolo, incarnata dal dittatore stesso, la responsabilità. Questo secondo passaggio autorizza tutti ad essere sollevati dalla responsabilità personale, individuale, in nome della più ampia e condivisa Gleichschaltung (sincronizzazione, coordinamento), così come la chiamavano i nazisti.
Verrebbe da dire che i legami, così concepiti, sono sempre politici e sempre violenti e che ognuno ha fatto solo quello che gli è stato ordinato di fare.

 

Libertà è violenza: un ossimoro?

L'ottimista proclama che viviamo nel migliore dei mondi possibili, il pessimista teme che sia vero
James Branch Cabell, The Silver Stallion, 1926

La domanda è: come liberarsi della violenza intrinseca nei legami politici (dei regimi)?
Una qualsiasi prospettiva non-violenta della transizione dei regimi da dittatoriali a democratici sconta il dogma: la violenza chiama violenza.
Bisogna allora intendersi sui termini violenza e non-violenza. Affrontare il problema dal punto di vista teorico, dimenticando che la politica è soprattutto prassi comunitaria e non solo etica e morale, porta ad allontanarsi dall'essenza di ciò che più correttamente dovremmo chiamare semplicemente Politica.
Bisogna ripartire dal legame e dalla sua funzione di struttura portante dell'azione politica, insomma ritrovare la democrazia (rappresentativa).
La democrazia funziona su connessioni deboli, continuamente e volontariamente modificabili. É la sua forza e si chiama contratto sociale ed è condiviso attraverso le leggi, le rappresentanze e sopratutto la delega.
Le elezioni slegano i cittadini da ogni subalternità con il proprio rappresentante, gli elettori non perdono responsabilità ma la delegano. Non è un ideale bene comune a rappresentare la comunità, la polis, ma è l'eletto fino al momento in cui smette di essere votato. Almeno così dovrebbe essere.
Il regime democratico trasferisce porzioni di potere secondo criteri condivisi, le elezioni, e resiste fino a che tutti possono sperare di esercitare, a tempo determinato, il potere.
Per questo la democrazia è sostenibile, contrariamente alla dittatura. Perché i suoi legami non sono fondati sull'imposizione, sulla sudditanza, sulla convenienza e sulla sopravvivenza, ma si basano sulla mutabilità, sulla contrattazione, sulla condivisione e il riconoscimento del bene comune.
La democrazia sopravvive agli uomini che la rappresentano, la dittatura assai difficilmente può vantare la stessa longevità.

 

Rivoluzioni e conservazioni

Il colpo di stato, invece, è politicamente neutro, e non esiste alcuna presunzione che, dopo la conquista del potere, si seguirà una particolare politica.
Strategia del colpo di stato, Edward Luttwak ,1972

Quali sono le armi per modificare, sciogliere e recidere i fili che legano il potere alla repressione? Dove sono i terminali delle connessioni? Un organismo complesso come uno Stato può permettersi di perdere legami senza morire?
Vale la pena dissanguare, e non solo metaforicamente, uno Stato per ricostruire da zero i legami comunitari, per riscrivere un nuovo contratto sociale?
Dunque la Libertà è necessariamente violenza?
Cosa succede in un paese quando le forze in campo decidono di cambiare le regole, ovvero di cambiare regime, cosa succede quando dalla dittatura si vuol passare alla democrazia?
La conservazione del potere è la caratteristica principale dei regimi totalitari. Finché il legame politico non viene modificato, controllato e addomesticato il potere non si sposta.
Sciogliere le connessioni con il passato (regime) è sempre una rivoluzione ed è sempre e comunque tranciante, modificante e un cambio di potere non certifica che il risultato sia buono o cattivo.
Le rivoluzioni possono cadere dall'alto, imponendo un nuovo potere, o possono nascere dal basso, rimontando e ricostituendo la struttura politica. Questa schematizzazione semplicistica ha avuto nella realtà storica molteplici variabili, più o meno elitarie, più o meno popolari o militari. É una questione di potere, una traslazione di potere da un gruppo ad un altro, da una persona ad un'altra, da una classe ad un'altra: rivoluzione, pronunciamiento, putsch, guerra di liberazione, insurrezione, rivoluzione, la sostanza non cambia.
Una tabula rasa su cui riscrivere i nuovi contratti comunque dev'essere preparata.

 

La non-violenza è un metodo

La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.
Karl von Clausewitz, Della Guerra, 1834

La non-violenza è un metodo, prima ancora di una filosofia, e come tale ha bisogno di studio, applicazione e disciplina. Esattamente come la guerra.
Non vi sono metodi immorali, ma azioni e politiche immorali si.
Dunque è evidente che non si può imputare al metodo il risultato, come non si può accusare i mezzi dei fini perseguiti.
Il '900 ci ha raccontato che proprio a causa delle migliori intenzioni si sono perpetrate le peggiori nefandezze, ci ha raccontato che la guerra è un metodo efficace ma terribilmente costoso, anche in termini di legami sociali lacerati e mai ricostruibili.
Perché allora scegliere un metodo chiamato non-violenza?
Perché i metodi di Gandhi, Martin Luther King, Lech Walesa, Gene Sharp e dei nostri Danilo Dolci e Aldo Capitini sarebbero più efficaci di quelli di Charles De Gaulle, Malcom X, o dei nostri Giuseppe Garibaldi o Sandro Pertini?
Le azioni di tutti loro sono state modificanti, distruttive e rivoluzionarie. Quando parliamo di cambio di stato dello Stato presupponiamo che la non-violenza non sia pacifismo così come la guerra non sia bellicismo.
La non-violenza è logorare, la guerra è tagliare. La prima usa la pazienza al fine di sciogliere il nodo scorsoio da cui intende liberarsi. Un gioco pericoloso perché come tutti sanno i nodi più tiri più si stringono.
La guerra, d'altra parte, tende ad usare un'ascia per tagliare un filo da pesca...

 

Azione politica, una questione di strumenti e parole

L'azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa, è stata usata per obiettivi vari, sia "buoni" che "cattivi"; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo
Gene Sharp, CORRECTIONS, An open letter from Gene Sharp, 2007

Chi usa la parola non-violenza sa di fare in Italia un'operazione che assorbe i concetti, i retaggi culturali e sopratutto dimostra una profonda ed inequivocabile vena elitaria.
Il nostro Paese non è un Paese per non-violenti, forse perché non è uno Stato compiutamente democratico, ne definitivamente dittatoriale. La non-violenza ha bisogno di chiarezza, puntualità e pazienza, doti che forse oggi (?) non siamo in grado di esprimere.
Per aggirare l'ostacolo dovremmo avere il coraggio di parlare più prosaicamente di azione politica o ancora meglio, come fa Gene Sharp, di political defiance, ovvero dimenticare le ragioni filosofiche e concentrarci su quelle pratiche.
La parola defiance è talmente ricca da essere essa stessa un manuale di azione politica non-violenta: resistenza, opposizione, non complicità, disobbedienza, insubordinazione, dissenso, renitenza, sovversione, ribellione; oltraggio, disattenzione, rifiuto, insolenza.
Proprio l'azione politica va a sciogliere quei legami insostenibili, perversi e immobili che costituiscono la trama di un regime.
Ogni parola diviene strumento applicativo e non mera manifestazione d'intenti, ed è in questo che la (non-violenta) azione politica riesce ad essere assai più efficace della (violenta) azione politica.
Per tagliare la trama del regime si deve costituire una nuova rete di legami solidi, e al contempo elastici, in grado di sostenere durante la lotta i cittadini e allo stesso tempo preparare un nuovo tessuto sociale e un nuovo contratto democratico.
Gli strumenti sono fondamentali per legare i cittadini. Come la prima guerra mondiale ha costituito il primo vero terrificante banco di prova delle masse e dei regimi totalitari, l'89 ha messo alla prova gli individui democratici e continua, in un fenomeno di lunga durata, a sollecitare l'applicazione di metodi di disobbedienza civile.
Come fare azione politica, sapere che esistono metodi, tecniche, manuali è rassicurante per chi, come sempre più spesso oggi pare accadere, ha desiderio di diventare nuovamente azionista del proprio futuro e della propria comunità. Per chi voglia tornare a riprendersi la delega politica, troppo spesso considerata in bianco.
Le primavere arabe, così come le rivoluzioni colorate (le uniche che anagraficamente posso ricordare) hanno dimostrato che nulla è inscalfibile, nemmeno piazza Tienanmen.

 

Bibliografia sragionata.

L'uomo libero conferisce alle armi il loro significato
Trattato del Ribelle, Ernst Jünger

Jean-Jaques Rousseau, Il contratto Sociale, Milano 2010
Karl von Klausewitz, Della Guerra, Milano 1970
Amartya Sen, La ricchezza e la ragione, Bologna 2000
Amartya Sen, Globalizzazione e libertà, Milano 2002
William Volmann, Come un'onda che sale e che scende, Milano 2007
Adriano Sofri, Il nodo e il chiodo. Libro per la mano sinistra, Palermo 1995
José Ortega Y Gasset, La ribellione delle masse, Milano 2001
Curzio Malaparte, Tecnica del colpo di Stato, Milano 2002
Gene Sharp, Come abbattere un regime Manuale di liberazione nonviolenta,Milano 2011
Ernst Jünger, Trattato del ribelle, Milano 1990
Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta voll. I-II-III, Torino 1985
M.K. Gandhi, Teoria e pratica della non-violenza, Torino 1996
Edward Luttwack, Strategia del colpo di stato. Manuale pratico, Milano 1983
Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, Milano 1992
Jean Marie Muller, Manuale di azione nonviolenta per la Lega Nord, Venezia 1993
Morjane Baba, Guerrilla Kit, Milano 2005
Alberto Martinelli e Alessando Cavalli a cura di, Il black panther party, Torino 1974
Ian Kershaw, L'enigma del Consenso, Bari 2007
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino 2009

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