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mercoledì 27 giugno 2012

Economia dell'identità


Recensione su Ippogrifo estate 2012 (nuova serie 12)

Economia dell'identità
George A. Akerlof, Rachel E. Kranton
Economia dell'identità
Come le nostre identità determinano lavoro, salari e benessere
trad. di R. Spaventa
Edizione: 2012
Collana: Anticorpi [22]
ISBN: 9788842096153

La parola identità è una parola scivolosa, ambigua e potente. Così come la parola economia. Mettere inseme economia ed identità significa rischiare una doppia scivolata, almeno che voi non siate un premio nobel dell'economia come G.A. Akerlof.
Identità è la parola chiave della storia che Akelorf e Kranton vogliono raccontarci.
Senza non si comprende perché il tentativo dell'economia di prevedere il futuro, di identificare parametri di controllo, indicatori di risultato, incentivi, perdite e profitti non abbia prodotto i risultati sperati.
Per quanto gli uomini comprino, o meglio facciano scelte economiche, su spinte individuali ciò non basta a spiegare come, a parità di condizione, alcuni ottengono risultati migliori di altri.
La teoria economica, almeno quella classica, non riconosce all'identità un peso sostanziale ma piuttosto la spoglia del significato collettivo lasciandola come variabile poco rilevante ai fini dell'utilità. Con un procedimento analitico standardizzato gli autori aggiungono variabili
«-le categorie sociali e la categoria di attribuzione di ciascun individuo, o identità
-le norme e gli ideali per ciascuna categoria
-l'utilità identitaria, vale a dire il guadagno che si ottiene agendo in conformità con le norme e gli ideali, o la perdita che si subisce quando ciò avviene.»
Tutto il saggio gira attorno alla giustificazione di questi parametri, alla loro comprensione in esempi concreti.
«Il consumo di sigarette è un chiaro esempio del ruolo giocato dalle norme sociali. Il cambiamento delle norme di genere è stata la causa più importante nel determinare l'incremento di donne fumatrici negli Stati Uniti. La teoria economica attuale punta sull'aumento della tassazione come fattore per disincentivare il fumo. Ma l'aumento delle tasse è difficile da imporre e da applicare. L'economia dell'identità amplia il campo di ricerca sia delle cause del fenomeno sia dei rimedi da applicare.»
L'identità, nonostante in Italia il dibattito sia stato ottenebrato da identità fittizie, funzionali alla politica e al potere più che al riconoscimento di un aspetto valoriale delle appartenenze, è un aspetto fondamentale delle scelte individuali.
«Nella nostra analisi, le strutture sociali sono fattori che possono limitare le possibilità di scelta. In una società dove le categorie sociali sono definite, ad esempio, da razza, famiglia, ambiente e etnia può essere virtualmente impossibile per un individuo adottare una nuova identità.»
Insomma è grazie all'identità, o per sua colpa, che i nostri comportamenti diventano collettivi.
Spesso mi trovo a discutere nelle scuole di stereotipi di genere e chiedo ai ragazzi di elencarmi le differenze che possono causare discriminazione.
É un esercizio che dà sempre risultati diversi, a seconda della scuola, della prevalenza di donne o di uomini, della presenza o meno di handicap, di stranieri, di alunni negri, ed infine di provenienza proletaria o benestante. Uso volontariamente termini politicamente scorretti perché l'identità serve a marcare la differenza, non certo l'omogeneità, anche nelle parole. Il risultato è straordinariamente simile a quello di cui economia dell'identità parla: le nostre vite prendono la strada dell'insider o dell'outsider.
I miei ragazzi sono terribilmente simili a quelli che descrivono Akelorf e Kranton: alcuni sanno di essere privilegiati altri sanno di non esserlo, o meglio tutti credono di saperlo. Alcuni sanno che per entrare nel sistema (essere insider) dovranno scendere ad un compromesso identitario senza certezza di risultato, altri decidono di rimanere fuori (outsider) ma di mantenere la loro identità.
Quanto la consapevolezza di questi meccanismi (economici) sia presente negli educatori e negli studenti è difficile a dirsi. Eppure dietro la consolatoria parola bullismo si nascondono intrecci assai più complessi che una semplicistica volontà di prepotenza ed emulazione. Gli outsider sono coloro che meglio riconoscono il fattore economico, la capacità di autoaffermazione prima ancora che di spesa, e che meglio ne individuano i limiti identitari.
«Eravamo davvero furiosi per il modo in cui gli insegnanti ci trattavano. Ci guardavano dall'alto in basso. Non ci hanno mai veramente aiutato. Molti di noi erano veramente in gamba. Eppure non c'è mai passato per la testa che la scuola avrebbe potuto fare qualcosa per noi.»
L'Italia è oggi un adolescente nell'affrontare i problemi di diversità, di politiche razziali, di genere, di contrasto alla povertà. Mai, nel corso della storia repubblicana, ci siamo trovati di fronte al dilemma economico identitario. Per venti anni abbiamo fatto finta di interessarci di integrazione, di parità di genere, di multiculturalismo, abbiamo perso venti anni a discutere di eliminazione del problema (povertà, donne o stranieri) e non della sua comprensione. Oggi, e non parlo solo della scuola, il bullismo è la parola burqua che copre l'evidenza dell'inadeguatezza del sistema comunitario, scolastico, formativo, occupazionale, sociale.
Se solo ci si ponesse, come classe dirigente, il problema di comprensione del valore dell'identità nelle azioni individuali, gli stregoni dell'economia comprenderebbero che i cattivi comportamenti, ovvero la spinta autodistruttiva, non può essere spiegata solo con i criteri economici, ma deve essere compresa con altri strumenti, diversi dalla econometria e forse anche dalla sociologia.


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