RECENSIONE DI
TACCUINO SIRIANO su Ippogrifo
di Andrea
Satta
Taccuino siriano (16 gennaio-2 febbraio
2012)
Di Jonathan Littell,
pp. 193
ISBN 9788806213824
La guerra è sempre un gioco al massacro
e Jonathan Littell lo sa.
La Siria di Bashar al-Assad è uno di
quei prodotti della guerra fredda che, finita, si sono scaldati velocemente. Il
mondo arabo, o se si preferisce l'Islam, appare come un uovo nel microonde:
scoppierà sicuramente. Il microonde siamo noi, la nostra terra e la nostra
storia. A scanso di equivoci nostra è
in senso universale, di umanità.
La tragedia siriana, ancora oggi
lontanissima da vedere una soluzione diversa dalla carneficina, altro non è che
lo specchio distorto di un modo di pensare il mondo. Un pianeta in cui pensiamo
di poter giocare alla guerra dividendo il planisfero in settori, regioni,
religioni, razze. Eppure, come qualsiasi buon giocatore di Risiko! sa, per
conquistare un qualsiasi obiettivo bisogna sempre partecipare ad una guerra
totale.
La guerra non è mai giusta o sbagliata
è semplicemente, e banalmente, il peggior metodo per risolvere le controversie,
spesso è l'unico che si vuole o che si può intraprendere. Questa visione cinica
è continuamente presente nei discorsi degli ospiti, delle guide nell'inferno
siriano che accompagnano Littell da un quartiere all'altro. Essere giornalisti
è una strana condizione privilegiata, permette di dire, fotografare, registrare
crudeltà e pietà con lo stesso registro, lo stesso strumento. Eppure proprio
oggi che tutto è comunicazione appare sempre più debole il potere dei media, la
forza della diplomazia e della ragione di fronte all'eccesso dei dittatori,
alla rigidità fondamentalista dei ribelli, alla superficialità e disattenzione
del resto del mondo.
«Usciti
da Homs, quei giornalisti non hanno invece mancato di rendere omaggio a quanti
li avevano aiutati e commentare con parole molto appropriate e molto dure la
carneficina che si svolgeva nell'indifferenza quasi generale. Sì, alcuni
governanti l'hanno violentemente condannata; però hanno lasciato fare. Mi si
dirà che non avevano scelta. Potrei rispondere che una scelta l'abbiamo sempre,
come l'avevano coloro che in Siria si sono ribellati contro Bashar al-Assad e il suo regime marcio,
ammuffito, e comunque, a lungo andare, condannato.»
La scrittura di Littell è spesso
fastidiosa, chi ha affrontato il romanzo fiume Le Benevole lo sa, ricca di riferimenti corporali, quotidiani, solo
apparentemente banali, una scrittura che, pur rasentando la morbosità, non
scade mai nel pornografico.
É questa la forza di chi vuol
raccontare l'ennesima tragedia di quella primavera araba che nessuno, né i
fondamentalisti né la Russia né l'Occidente né la Lega Araba, vogliono non
violenta e democratica.
Appunti di viaggio? Reportage di
guerra? Aneddotica macabra? Pamphlet politico? Littell, come aveva già fatto in
Cecenia, anno III e in Il secco e l'umido. Breve incursione in
territorio fascista affronta la
politica con disincanto, la guerra con maniacale attenzione ai particolari alle
nomenclature, alle sofferenze fisiche.
«In teoria non
dovremmo passare sulle mine. Ci sono altri modi per attraversare, che
funzionano bene, salvo imprevisti. Lui ha dovuto farlo una sola volta. Ma se
proprio non si può evitare, non è un problema: quindici giorni dopo che
l’esercito aveva posato le mine, due mesi fa, l’Esl ha bonificato un corridoio
largo tre metri al centro della zona minata. Un tizio ci ha rimesso le gambe.
Gli uomini scherzano: «Bum!» e con le mani sulle spalle mimano le ali di un
angelo. Il corridoio è segnalato da pietre, e i contrabbandieri lo usano
regolarmente. Collera: «Se bisogna attraversarlo, andrò avanti io. Le vostre
vite sono piú importanti della mia». Ampolloso ma sincero.»
Si percepisce, anche nella
frammentazione continua del taccuino, la volontà di descrivere spezzoni di una
realtà disfatta, parcellizzata, atomizzata in gruppi combattenti, in
comandanti, profeti e agitatori.
Le guerre moderne sono, nonostante le
grandi potenze facciano ancora fatica a comprenderlo, cluster bomb. Sono quel tipo di ordigno che invece che colpire
l'avversario in modo semplice e preciso, disseminano il terreno di mine
microscopiche, frantumano le bombe in schegge onnipresenti, frantumano la
quotidianità trasformando una strada in un inferno e la strada successiva nella
salvezza. Quartiere e vie sono microcosmi dove il venditore di falafel, il pronto soccorso illegale, le
case, i cimiteri, i nidi di cecchini e i posti di blocchi convivono
conquistando legittimità nella conta macabra dei sommersi e dei salvati.
Taccuino
siriano narra
del viaggio di due settimane, da inviato di Le Monde, fra le fila dell'Esl, l'Esercito Siriano Libero. Un
viaggio a Homs, città martire che per qualche mese ha tenuto banco sulle pagine
dei giornali internazionali, e che, per molti versi, è paradigmatica del modo
di fare rivoluzione nel mondo arabo.
Homs non è diversa da Misurata, né da
Bengasi: è un luogo in cui dall'apparente calma si scatena una rivoluzione.
Prima si manifesta, e gli occidentali paternamente approvano la primavera, poi
il regime di turno bombarda, e gli occidentali paternamente rimproverano il
dittatore (amico fino al giorno prima) di essere maleducato, poi gli insorti si
armano, e gli occidentali sganciano mancette sotto forma di armi leggere,
infine, arrivato l'inverno, gli insorti muoiono, il regime s'incattivisce, gli
occidentali pontificano e, se hanno armi in smaltimento, bombardano. Se questo
dura un anno, due anni ciò che rimane sono solo macerie, ottimo presupposto per
un altro regime e un'altra guerra fratricida.
Littell corre da un ospedale all'altro
da un posto di blocco ad una postazione di insorti armati del sovietico Rpg (lanciagranate anticarro portatile),
da una manifestazione ad un funerale, lo fa mangiando falafel, kebab e raccontandoci della sua febbre, delle docce, degli
appartamenti arredati all'occidentale ma senza donne, dei bambini armati e dei
bambini bersaglio dei cecchini. Littell mette tutto sullo stesso piano, come fa
la vita in luoghi di guerra. Nessuna differenza fra vita e morte, solo saper
correre più veloci o trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato.
«La vita dei soldati: dormire,
mangiare, pulire le armi, montare la guardia, e di tanto in tanto combattere.
Molta pazienza e molta noia per poche ore intense, che a volte concludono con
una ferita , o con la morte.»
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